APRILE 2022 DALLA CESSIONE DI CUBATURA AL TRASFERIMENTO DIRITTI EDIFICATORI

  1. Dalla «cessione di cubatura» al trasferimento dei diritti edificatori: genesi, evoluzione e problematiche relative all’inquadramento giuridico del fenomeno

La presente disamina, nell’intento di fornire un quadro del complessivo atteggiarsi del fenomeno riconducibile ai cd. «diritti edificatori», seppur senza alcuna pretesa di esaustività data l’ampiezza del tema trattato, vuole soffermarsi tanto sull’aspetto riguardante la prassi negoziale della cd. «cessione di cubatura», quanto sull’utilizzo dei diritti edificatori in chiave compensativa, perequativa ed incentivante nell’ambito delle nuove tecniche di pianificazione urbanistica, ponendo un focus, oltre che sugli scarni profili di legislazione nazionale e sugli arresti giurisprudenziali di maggior rilievo, sulla disciplina dettata dalla regione Lombardia mediante la legge per il governo del territorio, evidenziando esempi di pianificazione attraverso tali tecniche.

Al fine di condurre un’analisi del fenomeno in discorso occorre dare atto, in primis, che i cd. «diritti edificatori» di cui si discute vengono in rilievo rispetto a molteplici fattispecie, di rilevanza tanto privatistica quanto pubblicistica: dalle brevi righe introduttive che precedono può già evincersi, difatti, come il tema trattato investa diversi ambiti giuridici, concernendo sia la normativa civilistica con riguardo alla prassi della cessione negoziale e della libera circolazione sul mercato immobiliare dei diritti edificatori sia i principi della disciplina amministrativa ed urbanistica in materia di edificabilità dei suoli. È bene evidenziare fin da ora, inoltre, che il fenomeno della circolazione dei diritti edificatori comporta significativi risvolti altresì in campo tributario, con riferimento, in particolare, alla sua rilevanza impositiva.

Tanto esposto, può procedersi all’esame della prima delle richiamate fattispecie, rappresentata dal contratto – di vastissima diffusione pratica – di cessione di cubatura o volumetria: si tratta di un atto negoziale di natura privatistica, affermatosi in via di prassi, il quale si caratterizza – ponendo, anche per tale ragione, importanti problematiche di inquadramento giuridico, con tutte le implicazioni che ne conseguono – per il ruolo svolto, nei termini che si illustreranno, dalla pubblica amministrazione nel rilascio di un permesso di costruire cd. «maggiorato».

La questione della natura giuridica di tale fattispecie contrattuale ha dato luogo ad un annoso dibattito tanto in dottrina quanto in giurisprudenza: è proprio quest’ultima ad aver recentemente fornito un importante contributo in materia, non solo mediante una completa ricognizione delle posizioni variamente affermatesi e succedutesi nel tempo, ma soprattutto fornendo una significativa risposta agli interrogativi ancora aperti.

Appare pertanto opportuno prendere le mosse proprio dal pronunciamento in questione, reso nel 2021 dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite[1], che – chiamata ad esprimersi in ordine al profilo fiscale riguardante l’applicazione dell’imposta di registro ai contratti de quibus[2] – ha ritenuto imprescindibile, al fine di dirimere la questione posta alla sua attenzione, procedere ad un previo inquadramento giuridico del contratto di cessione di cubatura.

Richiamando anche l’ordinanza di rimessione[3], le Sezioni Unite hanno così preliminarmente ricordato che «secondo le definizioni che ne sono state date dalla giurisprudenza sia di legittimità sia del Consiglio di Stato, per cessione di cubatura si intende generalmente un accordo tra proprietari di aree dotate del requisito di reciproca prossimità ed aventi la medesima destinazione urbanistica; un accordo, in particolare, in base al quale il proprietario di un’area edificabile (cedente) rinuncia su corrispettivo a sfruttare per sé la cubatura realizzabile sul proprio terreno così da consentire ad altro proprietario (cessionario) di disporre di una maggiore volumetria sul suo terreno: “in altri termini, con la cessione di cubatura il proprietario del fondo distacca in tutto o in parte la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura concessagli dal piano regolatore e, formando un diritto a sé stante, lo trasferisce definitivamente all’acquirente, a beneficio del fondo di costui” […]. In tal maniera, la cubatura viene a costituire una species del genus costituito dai ‘diritti edificatori indistintamente intesi’ ed oggi contemplati, ai fini della trascrivibilità dei relativi contratti traslativi o costitutivi, anche dall’art. 2643 c.c., n. 2 bis, come introdotto dal D.L. n. 70 del 2011, conv. in L. n. 106 del 2011».

Gli orientamenti emersi – e ripercorsi dalla pronuncia richiamata – nella non uniforme giurisprudenza di legittimità sulla natura giuridica della cessione di cubatura o volumetria, hanno visto contrapporsi un primo indirizzo, fatto proprio dalla sezione Tributaria, per il quale oggetto del contratto de quo sarebbe il diritto di edificare quale manifestazione coessenziale ed inerente al diritto di proprietà, assumendo con ciò la natura di atto traslativo di un diritto reale, seppur atipico[4], ad un secondo indirizzo, riconducibile alla seconda sezione Civile, per il quale la cessione di cubatura avrebbe invece natura obbligatoria, «risolvendosi nell’assunzione da parte del proprietario cedente dell’obbligo a prestarsi presso la pubblica amministrazione affinché quest’ultima rilasci il provvedimento concessorio – discrezionale e non vincolato – a favore del proprietario cessionario, ed a titolo di maggiorazione della cubatura già precedentemente a questi riconoscibile in base ai vigenti strumenti di pianificazione urbanistica; l’accordo di cessione avrebbe dunque efficacia solo obbligatoria ed interna tra gli stipulanti (non comportante alcun diretto ed immediato asservimento di un fondo a favore di un altro), posto che il trasferimento di cubatura – non soltanto nei confronti dei terzi, ma anche tra le stesse parti – sarebbe determinato esclusivamente dal provvedimento concessorio rilasciato dall’amministrazione comunale a favore del cessionario e sulla base del programma edificatorio da questi proposto».

Orbene, le Sezioni Unite, nel dirimere detto contrasto, hanno rilevato come la tesi della realità non possa essere accolta, ritenendo che detta impostazione – avallata da parte della dottrina e sostenuta anche dalla prassi notarile – pur fondandosi sulla valorizzazione del carattere prettamente dominicale ascrivibile allo sfruttamento edilizio del suolo ed alla cd. «qualitas fundi»[5], presenti quale limite l’individuazione del diritto reale che verrebbe a costituirsi o a trasferirsi con l’atto di cessione di cubatura, tanto che neppure all’interno dell’indirizzo che la sostiene sono state fornite indicazioni univoche in tal senso.

Le Sezioni Unite hanno difatti osservato che, fermo il limite del regime di numero chiuso che contraddistingue i diritti reali – limite che impedirebbe, contrariamente a quanto sostenuto da parte della dottrina, l’individuazione di un diritto reale atipico – non può essere ritenuto soddisfacente né il richiamo al diritto di superficie, né quello alla servitù prediale: quanto al diritto di superficie, poiché quest’ultimo «presuppone, ex art. 952 c.c., l’alterità tra proprietà del suolo e proprietà della costruzione; mentre è invece connaturato all’istituto che il cessionario della cubatura eserciti il diritto di costruire (seppure incrementato di una quota parte di volumetria originatasi altrove) sul fondo proprio», non potendosi neppure assimilare, pur volendo accedere ad un’ottica di atipicità, «il diritto di costruire su terreno altrui (il che è connaturato alla superficie) ed il diritto del cessionario di costruire sul terreno proprio anche se (almeno in parte) in virtù di cubatura generata da terreno altrui».

Quanto al richiamo allo schema della servitù prediale e, in particolare, alle figure della servitus non aedificandi (in caso di cessione totale della cubatura assentita) ovvero altius non tollendi (nell’ipotesi di cessione parziale), la Corte – evidenziando che si tratta di una concezione fortemente privatistica dell’istituto, la quale pone l’assenso della pubblica amministrazione all’esterno della fattispecie costitutiva – pur riscontrando che l’elemento tipico dato dalla essenzialità della relazione di asservimento di un fondo a vantaggio di un fondo contiguo ben può essere (nelle servitù volontarie) variamente determinato, nel suo contenuto pratico, dall’autonomia della parti a seconda delle più eterogenee esigenze di utilità, conclude per l’inadeguatezza di tale tesi qualificatoria, per tre ordini di ragioni: in primo luogo a causa dell’incidenza esplicata dal ruolo della pubblica amministrazione nel rilascio del permesso di costruire maggiorato, la quale comporta «se non il formale innesto dell’accordo negoziale tra i privati nell’ambito del procedimento amministrativo di rilascio del titolo edilizio, quantomeno la dipendenza degli effetti pratici dell’atto di cessione di cubatura da un elemento estraneo, ma tutt’altro che secondario ed accidentale, all’atto costitutivo o traslativo in sé», ponendo in crisi, nella dialettica pubblico-privato, i requisiti di immediatezza e di assolutezza che contraddistinguono i diritti reali; in secondo luogo poiché l’assunzione da parte del cedente dell’obbligo specifico di prestare il consenso al rilascio, da parte dell’amministrazione comunale, del permesso di costruire per cubatura maggiorata, consistendo in un contenuto di fare, riempirebbe la servitù di una componente positiva (attivazione in sede amministrativa) incompatibile con la sua stessa natura; da ultimo per il requisito della vicinanza dei fondi, postulato cardine delle servitù prediali, ma elemento non necessario nella cessione di cubatura, rispetto alla quale è invece essenziale che i fondi risultino «ricompresi all’interno della medesima zona urbanistica, così da partecipare della medesima destinazione e degli stessi standard edificatori (prossimità di zona). È proprio il collegamento di entrambi i fondi interessati con la stessa zona di intervento e pianificazione che rende legittimo e meritevole di tutela l’istituto (difatti sviluppatosi nella prassi proprio a seguito dell’introduzione delle tecniche di standardizzazione ex L. n. 765 del 1967) facendo sì, per un verso, che l’alterazione privatistica della volumetria fruibile risulti sostanzialmente indifferente, visto il rispetto complessivo della densità edilizia programmata, per le scelte distributive e di governo del territorio; e che, per altro verso, sia evitato ogni fenomeno di migrazione delle cubature verso zone diverse del territorio cittadino, con conseguenti patologici effetti tanto di svuotamento quanto di affollamento del carico edilizio urbano».

Le Sezioni Unite hanno giudicato non praticabile neppure la tesi della realità per abdicazione[6], per poi passare all’esame dell’opposto filone interpretativo, il quale esclude che la cessione di cubatura consista in un atto traslativo ed ancor meno costitutivo di un diritto reale opponibile ai terzi, ritenendo invero che il trasferimento di cubatura – nei confronti dei terzi, così come tra le parti – derivi «esclusivamente dal provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito della rinuncia all’utilizzazione della volumetria manifestata al Comune dal cedente, aderendo al progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere emanato dall’ente pubblico a favore del cessionario», ricavandone così la conseguenza dell’efficacia meramente obbligatoria dell’accordo tra le parti.

Secondo tale filone interpretativo «nella cessione di cubatura si è in presenza di una fattispecie a formazione progressiva in cui confluiscono, sul piano dei presupposti, dichiarazioni private nel contesto di un procedimento di carattere amministrativo»; inoltre «dalla natura, non traslativa né costitutiva di un diritto reale bensì meramente obbligatoria e vincolata all’assenso della PA, vengono poi tratte varie importanti conseguenze, quali: l’atto non richiede la forma scritta ad substantiam ex art. 1350 c.c.; l’interpretazione della reale volontà delle parti può anche desumersi, per facta concludentia, dal comportamento complessivo dei contraenti successivo alla stipulazione (come nell’ipotesi in cui la volontà di cedere la cubatura venga desunta dalla dichiarazione di adesione resa dal cedente direttamente alla PA); il mancato rilascio del permesso di costruire nonostante la conforme attivazione del cedente presso la PA determina l’inefficacia del negozio, non la sua risoluzione per inadempimento».

La sentenza in commento rileva altresì come anche la giurisprudenza amministrativa «premessa la piena legittimità del titolo edilizio autorizzativo che venga rilasciato con riguardo ad una cessione di cubatura assistita dai già richiamati requisiti quali-quantitativi di omogeneità urbanistica» colloca l’atto in questione in un contesto di tipo meramente obbligatorio, ed anzi si spinge sino a ritenere che, al fine di ottenere il rilascio del permesso di costruire maggiorato, tale atto negoziale non sia neppure necessario, reputando sufficiente «l’adesione del cedente, che può esser manifestata o sottoscrivendo l’istanza e/o il progetto del cessionario, o rinunciando alla propria cubatura a favore di questi o notificando al Comune tale sua volontà, mentre il c.d. vincolo di asservimento, rispettivamente a carico e a favore del fondo, si costituisce, sia per le parti che per i terzi, per effetto del rilascio della concessione edilizia, che legittima lo ius aedificandi del cessionario sul suolo attiguo» [7].

Le Sezioni Unite, tuttavia, non lasciano indenne da critiche o perplessità neppure il filone interpretativo da ultimo esaminato, il quale sposterebbe eccessivamente il baricentro della fattispecie sul suo lato pubblicistico – come osservato anche dalla dottrina – attribuendo all’accordo tra i privati una natura meramente preparatoria, atteso che la volontà delle parti assumerebbe rilievo solamente nel momento in cui, venendo comunicata all’amministrazione comunale, verrebbe a costituire un elemento interno al procedimento amministrativo: il che – come afferma la Corte – «sembra non dare compiutamente contezza di un atto di disposizione patrimoniale di estremo rilievo sul piano privatistico, nel suo risvolto sia giuridico (trattandosi pur sempre di comprimere ovvero incrementare la potestà edificatoria insita nel diritto di proprietà) sia economico (posto che non di rado il valore della cubatura assorbe ed esaurisce la massima parte del valore di mercato del suolo)»

Così ripercorso il dibattito sviluppatosi intorno al contratto di cessione di cubatura, le Sezioni Unite arrivano dunque ad affermare il principio di diritto, destinato – insieme alle affermazioni contenute in altri recenti pronunciamenti – ad assumere rilevanza cardine nel sistema dei cd. «diritti edificatori», e lo fa muovendo da una norma in materia di trascrizione, contenuta nel codice civile al numero 2-bis dell’articolo 2643[8], da cui trae importanti contributi interpretativi, sia nel senso del definitivo allontanamento dell’istituto dall’ambito di realità nel quale secondo alcuni si collocava, sia nella definitiva qualificazione dei diritti edificatori – appunto – come «diritti», discostandosi da quelle impostazioni dottrinarie che individuavano, nella figura in esame, «ora una posizione giuridica soggettiva meno piena (perché di interesse legittimo pretensivo sul piano pubblicistico e di semplice chance o aspettativa edificatoria su quello negoziale), ora il prodotto ultimo di un processo di oggettivazione ex art. 810 c.c., che renderebbe il bene-cubatura più simile ad una cosa oggetto di diritti (salvo poi disputarne l’essenza immobiliare, mobiliare, virtuale, immateriale o di frutto del fondo) che ad un diritto in sé», sia rivalutando il sostrato privatistico della cessione di cubatura, ricollocandone l’effetto traslativo nell’ambito di autonomia negoziale delle parti e non già nel procedimento amministrativo.

Il principio di diritto cristallizzato dalla pronuncia in esame, pertanto, per quanto qui di interesse, stabilisce che «la cessione di cubatura, con la quale il proprietario di un fondo distacca in tutto o in parte la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di altro fondo urbanisticamente omogeneo, è atto: – immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale; – non richiedente la forma scritta ad substantiam ex art. 1350 c.c.; – trascrivibile ex art. 2643 c.c., n. 2 bis; […]»[9].

 

[1] Cassazione civile, sez. un., 09/06/2021, n. 16080.

[2] Per quanto attiene alla disamina dei profili fiscali, cfr. par. 4.

[3] Cassazione civile, sez. VI, 15 settembre 2020, n. 19152.

[4] «[…] ora qualificato come servitù atipica (Cass.n. 2743/73), ora come diritto di superficie atipico (Cass.1655/53), ora come limitazione legale al diritto di proprietà (Cass.3334/76), ora come rinuncia abdicativa del cedente notificata al Comune (9081/98); in altri casi (Cass.nn. 2235/72, 641/73, 802/73, 1231/74, 250/75, 3416/75, 2017/75, 6807/88) la giurisprudenza non ha ritenuto necessario inquadrare giuridicamente ed in via generale la natura del trasferimento di cubatura nell’ambito di un particolare diritto reale tipico, osservando che, ai fini dell’imposta di registro secondo la disciplina ratione temporis applicabile, assumeva valore dirimente non tanto questo inquadramento, quanto l’accertamento dei presupposti minimi per la sua assimilazione ai negozi certamente traslativi o costitutivi di diritti reali, come tali assoggettabili alla corrispondente tariffa proporzionale di registro» (Cass.civ., sez.un. n. 16080/2021, cit.)

[5] Definita dalla sentenza in oggetto come «considerazione della edificabilità in termini di utilità intrinseca ed inerente a quest’ultimo».

[6] Cfr. pag. 14 della sentenza in esame.

[7] Le Sezioni Unite del 2021, nell’illustrare tale filone interpretativo, richiamano, fra le altre Cass. n. 20623 del 2009; Cass. n. 12631 del 2016; Cass. n. 24948 del 2018; per quanto attiene alla giurisprudenza amministrativa viene citata la pronuncia Cons.Stato 3636/00 e, tra le molte, vengono richiamate: Cons. Stato nn. 15767/20; 4861/16; 530/91.

[8] Su cui cfr. par. 3.

[9] Cassazione civile, sez. un., 09/06/2021, n. 16080, cit.