Lottizzazione abusiva: i presupposti
La recente sentenza Consiglio di Stato n. 148 del 4 gennaio 2023 offre lo spunto per tornare sui presupposti per l’integrazione della lottizzazione abusiva per poi soffermarsi sulle differenze tra il sindacato del giudice amministrativo e quello del giudice penale.[1]
Si rammenta che la lottizzazione abusiva, quale fattispecie posta a tutela del potere comunale di pianificazione in funzione dell’ordinato assetto del territorio, viene disciplinata dall’articolo 30 del D.P.R. n. 380/2001 ai sensi del quale:
«Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio». (comma 1)
In relazionale alle conseguenze amministrative,[2] la norma in esame dispone che:
«Nel caso in cui il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione, con ordinanza da notificare ai proprietari delle aree ed agli altri soggetti indicati nel comma 1 dell’articolo 29, ne dispone la sospensione. Il provvedimento comporta l’immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse con atti tra vivi, e deve essere trascritto a tal fine nei registri immobiliari». (comma 7)
«Trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento di cui al comma 7, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere. In caso di inerzia si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all’articolo 31, comma 8». (comma 8)
Fermo il quadro normativo di riferimento, la sentenza in commento effettua preliminarmente un’ampia ricognizione delle varie fattispecie di lottizzazione abusiva individuate da dottrina e giurisprudenza.
In primo luogo, com’è noto, il citato articolo 30 al comma 1 disciplina due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva. Ricorre la lottizzazione abusiva cd. “materiale” con la realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione. Si ha, invece, lottizzazione abusiva “formale” o “cartolare” quando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne sono già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita – o altri atti equiparati – del terreno in lotti che, per le specifiche caratteristiche, quali la dimensione dei lotti stessi, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, l’ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, o per altri elementi, evidenzino in modo non equivoco la destinazione ad uso edificatorio.
A queste fattispecie la giurisprudenza affianca la cd. lottizzazione “mista”, caratterizzata di elementi afferenti ad entrambe le tipologie di lottizzazione suindicate: invero, si ha sia l’esercizio di un’attività materiale di diretta trasformazione del territorio, sia un’attività giudicata di frazionamento e vendita o atti equivalenti.[3] Solitamente, lo schema della lottizzazione mista prevede, dapprima, il frazionamento dell’originario unitario terreno, con conseguente alienazione dei singoli lotti da parte del “venditore-lottizzatore” agli “acquirenti”, e successivamente, la materiale trasformazione del terreno attraverso l’edificazione di manufatti all’interno dei singoli lotti o la realizzazione di opere di urbanizzazione di uso comune. [4]
Precisato ciò – come evidenziato dalla pronuncia in esame – l’interesse protetto dalla norma è quello di garantire un ordinato sviluppo urbanistico del tessuto urbano, in coerenza con le scelte pianificatorie dell’amministrazione. Al riguardo, viene ricordato che «le scelte espresse nel piano urbanistico generale di un Comune, di regola, non possano essere attuate mediante il diretto rilascio di permessi di costruire agli interessati, ma richiedano l’intermediazione di uno strumento ulteriore, rappresentato dai piani attuativi. Il piano attuativo, infatti, ha la funzione di “precisare zona per zona”, con i dettagli necessari, “le indicazioni di assetto e sviluppo urbanistico complessivo contenute nel piano regolatore”, e quindi di attuarle “gradatamente e razionalmente” e di garantire che ogni zona disponga di “assetto ed attrezzature rispondenti agli insediamenti”, ovvero delle opere di urbanizzazione, e tutto ciò, all’evidenza, trascende il possibile contenuto di un singolo permesso di costruire».
In tale contesto, la lottizzazione abusiva sottrae all’amministrazione il proprio potere di pianificazione attuativa e la mette di fronte al fatto compiuto di insediamenti in potenza privi dei servizi e delle infrastrutture necessarie al vivere civile incidendo sul degrado urbano con conseguenti gravi problemi sociali.[5]
La sentenza de qua affronta, infine, il tema dell’ampiezza del sindacato del giudice amministrativo avente ad oggetto la legittimità del provvedimento disposto dall’amministrazione e precisa che «tale sindacato non risulta completamente sovrapponibile a quello svolto dal Giudice penale relativamente alla fattispecie criminosa di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380 del 2001, il quale, seppure in ipotesi avente ad oggetto i medesimi fatti storici, mira ad accertare la responsabilità penale dell’imputato, con le relative conseguenze sulla sua libertà personale e che, pertanto, sul piano processuale esige la dimostrazione della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio del reo (art. 533 c.p.p.)».
Infatti, «procedimento amministrativo e procedimento penale, anche se sono destinati ad incidere sullo stesso bene giuridico, procedono comunque su binari paralleli: il giudizio penale ha riguardo alla responsabilità dell’imputato (e, di conseguenza, alla confisca del bene), mentre il giudizio amministrativo attiene alla legittimità del provvedimento disposto dall’amministrazione, del quale l’acquisizione dell’area è semplicemente una conseguenza automatica (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 marzo 2018, n. 1878)».
Ciò posto, il sindacato del giudice amministrativo attiene dunque alla piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito dall’amministrazione, al fine di verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova invocati dall’amministrazione, la loro affidabilità e la loro coerenza, e se essi sono idonei a corroborare le conclusioni che la stessa amministrazione ne ha tratto secondo il canone di valutazione credibilità razionale della decisione amministrativa alla luce degli elementi posti dall’amministrazione a giustificazione della stessa, essendo poi onere del ricorrente – tramite il ricorso – quello di contestare la veridicità dei fatti, o di rappresentate circostanze atte ad incrinare la credibilità del processo intellettivo sottostante la decisione dell’amministrazione.
In proposito, la giurisprudenza ha chiarito che i principi costituzionali e sovranazionali di buona fede e di presunzione di non colpevolezza invocabili dai contravventori allo scopo di censurare un asserito deficit istruttorio e motivazionale consistente nell’omessa individuazione dell’elemento psicologico dell’illecito contestato possono al più essere spesi al fine dell’applicazione della sanzione penale accessoria della confisca urbanistica contemplata dall’articolo 44, D.P.R. n. 380 del 2001, nel mentre l’argomento medesimo non è utilmente invocabile al fine dell’irrogazione della sanzione ammnistrativa dell’acquisizione coattiva dell’immobile al patrimonio del Comune, contemplata dall’articolo 30, comma 8 del D.P.R. n. 380/2001, in quanto atto vincolato.[6]
Sulla scorta di tali considerazioni, nel respingere l’appello proposto dall’acquirente di un immobile, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la considerazione globale dei fatti che hanno caratterizzato l’area in questione ricedente in area agricola (il mutamento di destinazione d’uso impresso mediante costruzioni abusive e vie d’accesso che dimostrano lo scopo edificatorio dei frazionamenti e delle suddivisioni poste in essere) costituiscono elementi gravi, precisi e concordanti dell’integrazione dell’illecito di lottizzazione abusiva cd. “mista” e della finalità abusiva perseguita dagli autori.
In casi analoghi, infatti, i giudici amministrativi hanno già evidenziato che procedendo alla vendita di lotti di ridotte dimensioni si contraddice esplicitamente la vocazione agricola del terreno, così dando vita a quegli indizi che fanno presumere la volontà di procedere a lottizzazione. Nella logica del mercato agricolo, infatti, possedere un terreno di notevoli dimensioni risulta maggiormente proficuo e dunque il frazionamento planimetrico del fondo fa emergere l’intento di voler procedere a lottizzazione abusiva.
Dal punto di vista amministrativo, inoltre, è irrilevante l’asserita buona fede degli acquirenti, i quali in ipotesi facciano risalire la responsabilità della lottizzazione abusiva esclusivamente ai loro danti causa, trattandosi di una situazione in cui rileva, dal punto di vista urbanistico, la sussistenza di un abuso oggettivo, fermo restando che la tutela dei terzi acquirenti di buona fede, estranei all’illecito, può essere fatta valere in sede civile nei confronti dell’alienante.[7]
[1] Consiglio di Stato, Sez. VII, 4 gennaio 2023, n.148.
[2] La fattispecie risulta altresì sanzionata penalmente dall’articolo 44 del D.P.R. n. 380/2001, il quale la assoggetta alla pena congiunta dell’arresto sino a due anni e dell’ammenda da euro 15.493 a 51.645 euro.
[3] Cassazione Penale, sez. III, 26 ottobre 2007, n. 6080 del; Cassazione Penale, sez. III, 20 maggio 2015, n. 24985.
[4] https://www.ildirittoamministrativo.it/Edilizia-ed-urbanistica-lottizzazione-abusiva-terreni-Romano/gpen621.
[5] Consiglio di Stato sez. VII, 29 dicembre 2022, n. 11628.
[6] cfr. Consiglio di Stato., sez. VI, 23 marzo 2018, n. 1878; id., sez. II, 17 maggio 2019, n. 3196; id. 24 giugno 2019, n. 4320, C.g.a. n. 93 del 8 febbraio 2021.