La pianificazione paesaggistica e il rapporto con gli altri strumenti di pianificazione territoriale
La presente trattazione, avendo ad oggetto la disciplina posta a tutela del paesaggio alla luce dei più recenti pronunciamenti della giurisprudenza, non può che prendere le mosse dalla normativa vigente in materia di pianificazione paesaggistica quale strumento fondamentale al quale viene demandato il compito di apprestare le idonee misure di salvaguardia del paesaggio e al quale il legislatore ha riconosciuto una posizione di primazia rispetto agli altri strumenti di governo del territorio.
A migliore comprensione di quanto si dirà nel proseguo appare opportuno fornire sin da ora un breve excursus dell’evoluzione normativa in materia, ricordando per sommi capi come la – seppur risalente – attenzione al patrimonio storico e culturale italiano abbia trovato un significativo approdo dapprima nella legge n. 778 del 1922 e, successivamente, nelle due leggi del 1939, la n. 1497 («Protezione delle bellezze naturali») e la n. 1089 («Tutela delle cose di interesse artistico e storico»), passando poi per la legge n. 431 del 1985 (di conversione del d.l. n. 312/1985, meglio nota come cd. «Legge Galasso») e per il D.lgs. n. 490/1999 (cd. «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali»), per giungere all’attuale D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 recante il cd. «Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio»[1].
Fermo quanto premesso in termini generali, il principio di pianificazione dei valori paesaggistici – riconosciuto sin dalla legge n. 1497/1939 mediante un piano territoriale paesistico quale atto regolamentare volto ad impedire che le «bellezze naturali» fossero «utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica» – ha assunto una rilevanza centrale nel D.lgs. n. 42/2004 che ha inserito la disciplina della «Pianificazione paesaggistica» all’articolo 135 – tra le «Disposizioni generali» del titolo I relative ai beni paesaggistici – per poi normarla compiutamente al Capo III (articoli da 143 a 145).
L’articolo 135 al primo comma dispone che «lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: “piani paesaggistici”». I piani paesaggistici sono di competenza regionale[2] – salvi i casi nei quali «l’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143».[3]
Passando all’analisi dell’articolo 143 – quale norma di rilievo contenuta nel Capo III – preme qui evidenziare, segnatamente, il disposto di cui al secondo comma secondo cui «le regioni, il Ministero ed il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare possono stipulare intese per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici, salvo quanto previsto dall’articolo 135, comma 1, terzo periodo. Nell’intesa è stabilito il termine entro il quale deve essere completata l’elaborazione del piano».[4]
L’ultimo comma dell’art. 143 si occupa di regolare i rapporti tra piano paesaggistico e gli altri strumenti di pianificazione territoriale e chiarisce come «a far data dalla approvazione del piano le relative previsioni e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici».
L’articolo 145, rubricato «Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione», è dedicato principalmente all’efficacia della pianificazione paesaggistica ed al rapporto, da sempre di difficile coabitazione, con l’urbanistica. In particolare, al comma terzo è previsto che «le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette».
La formula utilizzata dal Codice per affermare la prevalenza del piano paesistico sugli altri strumenti di pianificazione si concretizza nello sviluppo degli effetti di cui esso è capace: immediata prevalenza su disposizioni difformi degli strumenti urbanistici; previsione di norme di salvaguardia; vincolatività per gli interventi settoriali.[5]
In materia, non si può che prendere le mosse dalla nota sentenza n. 387/2007 con cui la Corte costituzionale ha affermato la rilevanza del valore primario e assoluto del paesaggio, in grado di sovrapporsi e prevalere rispetto alle pianificazioni urbanistiche ed in siffatta più ampia prospettiva si colloca il principio della gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali espresso dal citato articolo 145 del D.lgs. n. 42/2004 che, al tempo stesso, è considerata norma interposta in riferimento all’articolo 117 Cost. in materia di «conservazione ambientale e paesaggistica» ed esprime un principio fondamentale in materia di «governo del territorio».
In questo senso, i giudici costituzionali hanno evidenziato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica «è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale».[6] Come anche più recentemente affermato dalla Consulta «il principio di prevalenza della tutela paesaggistica deve essere declinato nel senso che al legislatore regionale è impedito non solo adottare normative che deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono obblighi o divieti, ossia con previsioni di tutela in senso stretto, ma, altresì, introdurre limiti o condizioni, in qualsiasi forma, senza che ciò sia giustificato da più stringenti ragioni di tutela, le quali possono se del caso trovare riconoscimento anche negli strumenti urbanistici regionali o comunali, tanto più, poi, se dette limitazioni trovino giustificazione in mere esigenze urbanistiche» (Corte Costituzionale, 21 aprile 2021, n.74).
I giudici amministrativi si sono posti nel medesimo solco e hanno affermato che «i piani paesaggistici sono in cima alla piramide degli strumenti di pianificazione del territorio e ad essi devono conformarsi in caso di contrasto gli altri strumenti urbanistici».[7] In proposito, il Consiglio di Stato ha evidenziato che i principi cardine ai quali detto coordinamento si ispira sono:
«a) il riconoscimento in capo all’organo ministeriale del potere di individuare le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio;
- b) il rilievo nazionale e accentrato dell’esercizio del potere in questione, con precipue finalità di indirizzo della pianificazione e di direzione ai fini del conferimento di funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti locali;
- c) il principio del coordinamento dei piani paesaggistici rispetto agli altri strumenti di pianificazione territoriale e di settore, nonché rispetto a piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico;
- d) l’espressa inderogabilità delle previsioni contenute nei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 del medesimo Codice da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico; l’espressa cogenza delle previsioni medesime rispetto agli strumenti urbanistici degli Enti territoriali minori (comuni, città metropolitane e province); l’espressa prevalenza delle stesse sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici e sulle normative di settore;
- e) l’obbligo di conformazione e di adeguamento degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale degli Enti locali minori alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale». (Consiglio di Stato sez. IV, 14 maggio 2021, n.3820).
Al termine della presente disamina si evince che il «Codice dei beni culturali» ha attribuito al piano paesaggistico straordinarie potenzialità e ciò deve spingere alla creazione di piani in grado di realizzare un assetto territoriale soddisfacente, orientati verso un’idea di sostenibilità che tuteli il territorio e favorisca allo stesso tempo lo sviluppo della qualità paesaggistica attraverso la valorizzazione della risorsa-paesaggio.[8]
[1] https://rivista.inarcassa.it/professione/normativa-paesaggistica-storia-ed-evoluzione.
[2] Rimane comunque ferma la competenza statale nell’individuazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale in materia di tutela del paesaggio.
[3] L’articolo 143, comma 1 alle lett. b), c) e d) dispone che: «L’elaborazione del piano paesaggistico comprende almeno: (…)
- b) ricognizione degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell’articolo 136, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione delle specifiche prescrizioni d’uso, a termini dell’articolo 138, comma 1, fatto salvo il disposto di cui agli articoli 140, comma 2, e 141-bis;
- c) ricognizione delle aree di cui al comma 1 dell’articolo 142, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione di prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione;
- d) eventuale individuazione di ulteriori immobili od aree, di notevole interesse pubblico a termini dell’articolo 134, comma 1, lettera».
[4] La norma prosegue prevedendo che «Il piano è oggetto di apposito accordo fra pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241. L’accordo stabilisce altresì i presupposti, le modalità ed i tempi per la revisione del piano, con particolare riferimento all’eventuale sopravvenienza di dichiarazioni emanate ai sensi degli articoli 140 e 141 o di integrazioni disposte ai sensi dell’articolo 141-bis. Il piano è approvato con provvedimento regionale entro il termine fissato nell’accordo. Decorso inutilmente tale termine, il piano, limitatamente ai beni paesaggistici di cui alle lettere b), c) e d) del comma 1, è approvato in via sostitutiva con decreto del Ministro, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare».
[5] «Il paesaggio nel titolo V della costituzione e nel D. lgs. 42/2004 “codice dei beni culturali e del paesaggio” a cura di Paride Cesare Credi.
[6] Corte Costituzionale, 29 gennaio 2016, n.11.
[7] Consiglio di Stato, sez. IV, 24 febbraio 2020, n. 1355.
[8] «Il diritto al paesaggio. Tutela, valorizzazione, vincolo ed autorizzazione», MAGNOSI F., Exeo edizioni, Padova, 2011.