APRILE 2023 Il principio di sussidiarietà orizzontale e la giurisprudenza

Il principio di sussidiarietà orizzontale all’esame della giurisprudenza italiana e comunitaria: gli approdi di maggior rilievo.

 

L’analisi dei maggiori arresti giurisprudenziali in tema di sussidiarietà conduce, da un lato, al versante europeo e, dall’altro, a quello nazionale: al riguardo deve essere evidenziato che la giurisprudenza comunitaria si è occupata principalmente dell’applicazione del principio nella sua accezione verticale, atteso che il principio de quo – come si è osservato – nell’esperienza dei Trattati è stato affrontato prevalentemente per trovare un punto di equilibrio tra la sovranità degli Stati nazionali ed una ricerca di  identità dell’ordinamento europeo.

 

Sotto tale punto di vista, raffrontando l’esperienza della Corte di Giustizia dell’Unione europea con quella delle Corte costituzionale, si è osservato – nel delineare assonanze e dissonanze tra la giurisprudenza delle due Corti – che tali posizioni hanno risentito della divergenza di base politico-istituzionale e giuridico-formale del principio di sussidiarietà: la dottrina ha in questo senso posto in luce come in Italia – dove la sovranità storica non era delle Regioni, ma bensì dello Stato – il problema della sussidiarietà fosse per l’appunto quello di «sottrarre qualche  potere amministrativo (e, poi, legislativo) allo Stato centralista, onde la sussidiarietà traduceva il problema del decentramento dei poteri dello Stato», mentre in ambito europeo di «porre un limite ai poteri dell’Unione per salvaguardare la sovranità degli Stati», derivandone un’asimmetria resa evidente proprio ponendo a confronto le principali pronunce emesse in tali contesti[1].

 

Procedendo alla disamina delle più significative decisioni che hanno interessato il principio de quo nella sua accezione orizzontale, ci si può invero concentrare sulla giurisprudenza interna, tanto costituzionale quanto amministrativa.

 

Premesso che – per ovvie ragioni di sinteticità – in questa sede si potrà dare atto solo di alcune tra le più rilevanti questioni insorte, tra la giurisprudenza amministrativa preme citare in primis il Parere n. 1440/2003 reso dalla Sezione Consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, con il quale – nel dichiarare che la nozione di sussidiarietà orizzontale «non può essere utilizzata per fattispecie di aiuti alle imprese» – si è seguito un percorso argomentativo che ha rinviato espressamente alla teoria elaborata da Pierpaolo Donati ne «La cittadinanza societaria».

 

La Sezione, richiamando la definizione di tale dottrina sociologica, aveva affermato che «per cittadinanza societaria deve intendersi l’aspetto relazionale che ai soggetti, prevalentemente comunitari (famiglie, associazioni), è conferito per il solo fatto di porsi nel contesto sociale e di operarvi al di fuori di regole pre-confezionate da autorità munite di pubblici poteri: gli interessi sociali e generali che tali comunità esprimono attraverso l’assunzione di compiti, la risoluzione di problemi pratici compresenti in una collettività, la gestione di attività coerenti allo sviluppo della comunità stessa costituiscono manifestazioni originarie e non comprimibili di cittadinanza societaria che le autorità territoriali sono tenute a favorire e a rispettare, posto che esse si traducono, in una valutazione per dir così a posteriori, in uno svolgimento implicito di funzioni tipiche dell’ente pubblico di riferimento […]», evidenziando che le forme tipiche di cittadinanza societaria fossero ancora tutte da costruire e che la possibilità del cittadino di porsi in relazione con la pubblica amministrazione è qualcosa di ancora diverso dalla promozione dell’autonomia sociale[2].

 

Un altro precedente di rilievo può individuarsi nella decisione del Consiglio di Stato n. 3711 del 2009, con cui si è espresso un approccio piuttosto rigido nel determinare i confini tra attività di interesse generale e funzioni pubbliche, nell’ambito di un caso di specie – piuttosto peculiare – che riguardava il conferimento da parte di un’Amministrazione comunale ad una parrocchia di un terreno di proprietà pubblica mediante atto di donazione.

 

Orbene, il Consiglio di Stato, nell’individuare l’interesse pubblico necessario ai fini della assunzione dell’atto di liberalità, ha sostenuto che questo non potesse coincidere con una sorta di favor verso le finalità perseguite dall’ente ecclesiastico[3]: con riguardo alla nozione di interesse pubblico si legge, difatti, nella richiamata pronuncia che «[…] per tale deve intendersi il valore canonizzato in una norma ed individuato in modo tale da orientare l’intera fattispecie e, per l’effetto, il comportamento dei pubblici soggetti: in un determinato momento storico l’ordinamento annette a un valore un primario rilievo così da imprimere all’agire dei pubblici operatori un modulo comportamentale che non prescinde dal valore medesimo e deve, anzi, curarne la migliore realizzazione nel singolo contesto.

 

L’interesse pubblico così individuato non è, per questo, solo valore di riferimento, ma anche e soprattutto fonte del dovere scaturente dalla stessa attribuzione […] ovviamente l’interesse pubblico può anche risolversi nel mero presidio dello svolgimento di attività private (tale ipotesi è normale e assolutamente preponderante), ma ciò non toglie che ciò sia possibile (e in concreto predicabile) solo ove sia mantenuto lo iato tra i due momenti: l’interesse pubblico sovrasta l’espletamento delle attività private e le convoglia al c.d. bene comune in virtù di una specifica norma attributiva, senza peraltro acquisire quelle attività come proprie».

 

La sussidiarietà orizzontale, da un punto di vista processuale, rileva inoltre anche con riferimento all’interesse ad agire in giudizio di associazioni o comitati et similia: in proposito può citarsi un recente arresto del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 937/2022, ha statuito che «con riferimento alla legittimazione attiva di singole associazioni o comitati, la giurisprudenza, pur riconosciuta la legittimazione processuale “speciale” alle sole associazioni riconosciute ex art. 310 del d. lgs. n. 152/2006 e art. 139 del d. lgs. n. 206/2005 […], ha tuttavia riconosciuto la legittimazione attiva anche a “comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l’ambiente, la salute e/o la qualità della Vi. delle popolazioni residenti” su un territorio circoscritto, oppure di “sodalizi che, pur se articolati, o non possiedono strutture locali, o s’incentrino in forma non occasionale su dati settori di mercato o per argomenti o esigenze consumistiche stabili, e via di seguito”, purché “perseguano nel loro oggetto statutario ed in modo non occasionale obiettivi di tutela” delle predette esigenze […].

 

In questo secondo caso, si è osservato (Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36) che “ciò che sostanzia la posizione di chi – associazione o singolo individuo – agisce in giudizio per la tutela del bene ambiente, è la titolarità di un interesse collettivo (in questo caso come “interesse di tutti” gli aderenti, e dunque come mera somma di interessi legittimi) ovvero un singolo interesse legittimo. Ed il criterio della “vicinitas”, talora utilizzato per “individuare la differenziazione delle posizioni azionate e radicare la legittimazione dei singoli per la tutela del bene ambiente” […], risulta rispondente non già alla definizione della legittimazione attiva (che deriva da una posizione sostanziale in altro modo individuata), quanto più propriamente dell’interesse ad agire” […]».

 

Occorre infine dare atto della dibattuta questione concernente la normativa applicabile agli affidamenti dei servizi sociali, alla luce del D.lgs. n. 50/2016 (cd. «Codice dei contratti pubblici») e del D.lgs. n. 117/2017 (cd. «Codice del Terzo settore»)[4]: a tal riguardo va segnalato come, in un primo momento, il Consiglio di Stato, con il Parere n. 2052/2018 – redatto a partire da una richiesta dell’ANAC sulla compatibilità dell’articolo 55 del cd. «Codice del Terzo settore» con il diritto euro-unitario in tema di concorrenza e sull’adeguatezza della L. n. 241/1990 per regolare i procedimenti di co-progettazione – abbia ritenuto che «le procedure di affidamento dei servizi sociali contemplate nel Codice del terzo settore (in particolare, accreditamento, co-progettazione e partenariato) sono estranee al Codice dei contratti pubblici ove prive di carattere selettivo, ovvero non tese all’affidamento del servizio, ovvero ancora ove il servizio sia prospetticamente svolto dall’affidatario in forma integralmente gratuita […]», mentre «le procedure di affidamento dei servizi sociali contemplate nel Codice del terzo settore (in particolare, accreditamento, co-progettazione e partenariato) sono, viceversa, soggette al Codice dei contratti pubblici, al fine di tutelare la concorrenza anche fra enti del terzo settore, ove il servizio sia prospetticamente svolto dall’affidatario in forma onerosa, ricorrente in presenza anche di meri rimborsi spese forfettari e/o estesi a coprire in tutto od in parte il costo dei fattori di produzione; l’Amministrazione, inoltre, deve specificamente e puntualmente motivare il ricorso a tali modalità di affidamento, che, in quanto strutturalmente riservate ad enti non profit, de facto privano le imprese profit della possibilità di rendersi affidatarie del servizio».

 

Successivamente è intervenuta la sentenza n. 131/2020 della Corte costituzionale che – muovendo dal contenzioso tra Stato e Regione Umbria relativamente ad una norma che rendeva applicabile l’istituto dell’articolo 55 alle cooperative di comunità, senza specificare la necessità che esse dovessero assumere la qualifica di impresa sociale e quindi essere incluse nel perimetro del Terzo settore – ha sancito la coesistenza di due modelli organizzativi alternativi per l’affidamento dei servizi sociali, l’uno fondato sulla concorrenza, l’altro sulla solidarietà e sulla sussidiarietà orizzontale[5].

 

La Corte ha affermato che «è in espressa attuazione, in particolare, del principio di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost., che l’art. 55 CTS realizza per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria […]», rilevando che «il citato art. 55, che apre il Titolo VII del CTS, disciplinando i rapporti tra ETS e pubbliche amministrazioni, rappresenta […] una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.[…]».

 

Con riguardo alla norma costituzionale si è posto in luce che essa ha «identificato così un ambito di organizzazione delle «libertà sociali» […] non riconducibile né allo Stato, né al mercato, ma a quelle «forme di solidarietà» che, in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere «ricomprese tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» […]», mentre con riferimento alla disposizione del cd. «Codice del Terzo settore» è stato evidenziato come si instauri «in questi termini, tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico»[6].

 

Sulla scorta di tale pronunciamento il Consiglio di Stato, nel Parere reso dalla Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, n. 802/2022 – avente ad oggetto «Autorità nazionale anticorruzione – ANAC Schema di linee guida recanti “Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali”» ha dunque rivisto la sua precedente posizione, preliminarmente ricordando che «la sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 26 giugno 2020 […] recita testualmente che l’art. 55 del Codice del terzo settore “realizza per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria”, integrando “una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.” […] “si è identificato così un ambito di organizzazione delle libertà sociali non riconducibile né allo Stato, né al mercato, ma a quelle forme di solidarietà che, in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere ricomprese tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente”», nonché che «sulla scorta dei predetti principi è conseguenziale per la Corte costituzionale delineare la natura della relazione tra ente pubblico e terzo settore sottolineandone la differenza rispetto alle relazioni basate sullo scambio di mercato. Afferma la Corte che “si instaura, in questi termini, tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la ‘co-programmazione’, la ‘co-progettazione’ e il ‘partenariato’ (che può condurre anche a forme di ‘accreditamento’) si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico. Il modello configurato dall’art. 55 CTS, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico”»: si è sottolineato, pertanto, che «la sentenza n. 131 del 2020 dissipa, inoltre, anche il dubbio sulla compatibilità con il diritto euro unitario delle modalità di affidamento dei servizi sociali, previste dal Codice del terzo settore, avanzato da questo Consiglio nel richiamato parere n. 2052 del 2018, evidenziando che “lo stesso diritto dell’Unione … mantiene, a ben vedere, in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà”».

 

A quanto sopra va aggiunto che, come si è già avuto modo di precisare[7], tale posizione è stata recepita nello «Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante “Delega al Governo in materia di contratti pubblici”» attualmente in corso di approvazione finale[8].

 

[1] BOCCHINI F., La sussidiarietà tra asimmetrie giudiziali ed asimmetrie sostanziali della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione europea, in http://www.nomos-leattualitaneldiritto.it/wp-content/uploads/2018/05/Bocchini.pdf

[2] RAZZANO G., Il Consiglio di Stato, il principio di sussidiarietà orizzontale e le imprese in https://www.associazionedeicostituzionalisti.it/old_sites/sito_AIC_2003-2010/materiali/anticipazioni/sussidiarieta/index.html

[3] PELLIZZARI S., Il principio di sussidiarietà orizzontale nella giurisprudenza del giudice amministrativo: problemi di giustiziabilità e prospettive di attuazione in https://www.regione.emilia-romagna.it/affari_ist/Rivista_3_2011/Pellizzari.pdf.

[4] Cfr. par. 6.

[5] https://www.vita.it/it/article/2023/01/17/la-sussidiarieta-entra-nel-codice-dei-contratti-pubblici-ma-ce-un-ma/165441/

[6] https://www.cantiereterzosettore.it/la-sentenza-131-2020-della-corte-costituzionale/

[7] Cfr. par. 6.

[8] https://www.vita.it/it/article/2023/01/17/la-sussidiarieta-entra-nel-codice-dei-contratti-pubblici-ma-ce-un-ma/165441/