GIUGNO 23 – Piani di recupero

La riabilitazione del patrimonio edilizio e urbanistico degradato mediante i Piani di recupero.

Tra gli strumenti pianificatori attuativi delle scelte urbanistiche primarie contenute nel P.R.G., il Piano di recupero assolve ad una funzione “riparatoria” del tessuto urbano tenendo in considerazione, oltre all’esigenza di recupero dei nuclei abusivi, anche delle generali esigenze di pianificazione del territorio comunale.

Il presupposto principale per il Piano di recupero è l’ambito applicativo di ogni Comune, ovvero le zone in cui, per le condizioni di degrado, si rende necessario il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente: in questo senso, la legge n. 457/1978[1] ha disciplinato il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente ed ha previsto che lo stesso si debba realizzare individuando le zone di recupero nell’ambito degli strumenti urbanistici generali vigenti (articolo 27, comma 1), con facoltà per i Comuni di individuare poi, nell’ambito di dette zone, «gli immobili, i complessi edilizi, gli isolati e le aree per i quali il rilascio della concessione è subordinato alla formazione dei piani di recupero di cui al successivo articolo 28» (comma 3).

L’obbligo di formazione del Piano di recupero, discende, dunque, non dalla mera individuazione delle zone di recupero (nelle quali in ogni caso «per le aree e gli immobili non assoggettati al piano di recupero e comunque non compresi in questo si attuano gli interventi edilizi che non siano in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici generali» secondo quanto disposto dal primo periodo dell’articolo 27, comma 4 cit.), ma dall’individuazione, contestuale o successiva, degli immobili o aree da ricomprendere nel Piano di recupero.[2]

È importante evidenziare che entrambe dette individuazioni sono chiaramente vincolate al rispetto del P.R.G. stante la necessità logica di coordinamento con detto strumento urbanistico generale e la conseguente esigenza che il Piano di recupero garantisca la piena osservanza delle scelte urbanistiche già esistenti, limitandosi a stabilire regole speciali per l’eliminazione del degrado edilizio presente al suo interno.[3]  Invero, il comma 1 del richiamato articolo 28 dispone che «i piani di recupero prevedono la disciplina per il recupero degli immobili, dei complessi edilizi, degli isolati e delle aree di cui al terzo comma del precedente articolo 27, anche attraverso interventi di ristrutturazione urbanistica, individuando le unità minime di intervento».

Ciò posto, il Comune, nei termini assegnati dalla legge[4], provvede all’approvazione del Piano di recupero seguendo la procedura dei Piani particolareggiati. Infatti, in ragione dell’espressa previsione contenuta al quarto comma dell’articolo 28[5], il Piano di recupero  è uno strumento equivalente sotto il profilo dell’efficacia giuridica al Piano particolareggiato, dal quale si differenzia perché «finalizzato piuttosto che alla complessiva trasformazione del territorio, al recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente con interventi rivolti alla conservazione, ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso».  (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 12/05/2022, n.5917).

Lo stesso costituisce, infatti, «lo strumento individuato dal legislatore per attuare il riequilibrio urbanistico di aree degradate o colpite da più o meno estesi fenomeni di edilizia “spontanea” e incontrollata, legittimati, appunto ex post. Il piano cioè ha sì l’obiettivo di “recupero fisico” degli edifici, ma collocandolo in operazioni di più ampio respiro su scala urbanistica, in quanto mirate alla rivitalizzazione di un particolare comprensorio urbano».[6] In ogni caso, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire che «l’approvazione [di varianti speciali] e piani di recupero è finalizzata esclusivamente alla riqualificazione sotto il profilo urbanistico delle aree interessate da abusi edilizi, già sanati, ma non consente di considerare legittimati i restanti manufatti abusivi ivi presenti, i quali rimangono assoggettati alla disciplina edilizia e alla normativa di sanatoria». (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 02/03/2020, n. 2666).

In definitiva,  solo il Piano di recupero è deputato alla riconversione delle zone caratterizzate da condizioni di degrado a norma dell’esaminato articolo 27, comma 1 della legge n. 457/1978[7]: quest’ultimo, pur rientrando nel più ampio genus dei Piani attuativi attraverso i quali i Comuni attuano le proprie scelte di programmazione e pianificazione urbanistica, si caratterizza come una species a se’ stante, alla cui ricorrenza l’ordinamento riconnette un effetto ostativo rispetto al compimento degli interventi edilizi, anche nelle ipotesi in cui il Comune non abbia ancora approvato il Piano attuativo cui lo strumento urbanistico generale abbia condizionato il rilascio del titolo edilizio.[8]

 

[1] Legge 5 agosto 1978, n. 457 – «Norme per l’edilizia residenziale».

[2] Si evidenzia, peraltro, che nell’ipotesi che il Comune non si avvalga della facoltà di subordinare il rilascio della concessione alla formazione di detto strumento attuativo, ai sensi dell’articolo 30, comma 1 della legge n. 457/1978 in ogni caso i privati «proprietari di immobili e di aree compresi nelle zone di recupero […] possono presentare proposte di piani di recupero».

[3] Consiglio di Stato, Sez. IV, 29/07/2009, n. 4756.

[4] Al terzo comma dell’articolo 28 legge n. 457/1978 è previsto che ove la delibera di approvazione del Piano di recupero «non sia assunta per ciascun piano di recupero, entro tre anni dalla individuazione di cui al terzo comma del precedente articolo 27 ovvero non sia divenuta esecutiva entro il termine di un anno dalla predetta scadenza, l’individuazione stessa decade ad ogni effetto. In tal caso, sono consentiti gli interventi edilizi previsti dal quarto e quinto comma del precedente articolo 27».

[5] Il quarto comma dell’articolo 28 legge n. 457/1978 dispone infatti che «per quanto non stabilito dal presente titolo si applicano ai piani di recupero le disposizioni previste per i piani particolareggiati dalla vigente legislazione regionale e, in mancanza, da quella statale».

[6] T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 12/05/2022, n.5917.

[7] Consiglio di Stato, Sez. IV, 05/03/2019, n. 1533.

[8] cfr. paragrafo 8.