LUGLIO 2023 – Finalità del Regolamento edilizio inquadramento normativo

Finalità del Regolamento edilizio-tipo ed inquadramento normativo. La giurisprudenza costituzionale sul tema.

 

Si è già brevemente fatto cenno alla pronuncia con cui la Corte costituzionale si è espressa con riguardo all’articolo 17-bis del cd. «Decreto Sblocca Italia[1]», norma che ha inserito il comma 1-sexies all’articolo 4 del D.P.R. n. 380/2001: tale disposizione, come illustrato, costituisce il fondamento legislativo che ha condotto all’adozione del Regolamento edilizio-tipo (R.E.T.) da parte del Governo, delle Regioni e delle autonomie locali, in sede di Conferenza unificata, allo scopo di semplificare ed uniformare la materia edilizia.

 

All’indomani di tale novella sono state avanzate molte osservazioni critiche in merito a tale previsione normativa, asseritamente ritenuta lesiva delle prerogative e delle competenze attribuite alle Regioni, alle Province autonome ed ai Comuni dal dettato costituzionale e legislativo[2]: a fugare ogni dubbio di legittimità costituzionale è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 125 del 2017, che, nel definire le finalità del R.E.T., ne ha finanche chiarito l’inquadramento normativo[3].

 

Intendendo soffermarsi sui profili di maggior interesse emergenti dalla sentenza de qua, occorre precisare che la Corte si è pronunciata – trattandoli congiuntamente – su due ricorsi proposti, rispettivamente, dalla Regione Puglia e della Provincia autonoma di Trento[4].

 

Con riguardo al profilo connesso al riparto di competenze legislative, la Corte ha rilevato che la Regione Puglia ha contestato «[…] in primo luogo, che la disciplina in esame rientri nelle materie «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» e «tutela della concorrenza», di competenza statale esclusiva (art. 117, secondo comma, lettere e e m)», atteso che «la disposizione in esame non individuerebbe una prestazione da erogare, di cui è necessario definire i livelli strutturali e qualitativi capaci di soddisfare i diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione, ma disciplinerebbe una funzione normativa concernente le modalità̀ di adozione e i contenuti del regolamento edilizio-tipo», nonché in quanto «l’intervento legislativo de quo ricadrebbe, invece, nella materia di competenza concorrente «governo del territorio», in riferimento alla quale è attribuito al legislatore statale il potere di dettare i principi fondamentali della materia in forma di legge e non di regolamento», del che «ne discenderebbe, secondo la ricorrente, non solo la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., ma anche del sesto comma dello stesso articolo, il quale stabilisce che la potestà̀ regolamentare spetta allo Stato soltanto nelle materie di legislazione esclusiva».

 

Orbene, sebbene la Corte costituzionale abbia ritenuto «corretta la tesi della Regione Puglia, secondo cui, nonostante la auto-qualificazione legislativa, non è possibile ricondurre la disciplina censurata ai titoli esclusivi dei «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» e della «tutela della concorrenza» […]», la sentenza in esame ha statuito che «nonostante l’impropria auto-qualificazione legislativa e il corretto inquadramento offerto dalla Regione ricorrente, le censure proposte non sono fondate: né quelle relative alla mancata definizione diretta da parte dello stesso legislatore dello schema di regolamento-tipo, né quelle relative all’art. 117, sesto comma, Cost.».

 

Con riguardo al primo profilo, in particolare, si è rilevato che «[…] non può dubitarsi che la disposizione impugnata, introducendo il comma 1-sexies nell’art. 4 del TUE, intervenga in un ambito ricompreso, per giurisprudenza costante, nella competenza concorrente in materia di «governo del territorio» (sentenze n. 196 del 2004, n. 362 e n. 303 del 2003; più recentemente, sentenza n. 233 del 2015). Anche il riferimento alla “sicurezza e al risparmio energetico” delle abitazioni non fa venire meno la pertinenza di tali elementi ai “requisiti prestazionali degli edifici”, e quindi alla materia edilizia.

 

Nel citato testo unico trova sede la legislazione di cornice in materia di edilizia. A prescindere dall’auto-qualificazione di cui all’art. 1, comma 1 («Il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali […] per la disciplina dell’attività edilizia»), molteplici sono le disposizioni dello stesso che questa Corte ha annoverato tra i principi fondamentali del “governo del territorio” (ex plurimis, sentenze n. 282, n. 272, n. 231 e n. 67 del 2016, n. 259 e n. 167 del 2014, n. 64 del 2013 e n. 309 del 2011).

 

[…] Si tratta di norme dalla diversa estensione, sorrette da rationes distinte e infungibili, ma caratterizzate dalla comune finalità di offrire a beni non frazionabili una protezione unitaria sull’intero territorio nazionale. Esse consistono nella formulazione di principi e norme generali che talvolta si traducono nella previsione di determinate procedure, ad esempio nei procedimenti da seguire per il rilascio dei titoli abilitativi, secondo discipline che – come deciso da questa Corte – assurgono a principio fondamentale (fra le tante, sentenze n. 282, n. 272 e n. 49 del 2016, n. 167 del 2014 e n. 64 del 2013)».

 

Ha così affermato la Corte che «tali coordinate consentono di inquadrare il caso in questione: il legislatore statale, infatti, prevedendo che il Governo, le regioni e le autonomie locali «concludono in sede di Conferenza unificata accordi […], o intese […], per l’adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo», ha posto un criterio procedurale, di natura concertativa, finalizzato a semplificare la struttura dei regolamenti edilizi, anche attraverso la predisposizione di definizioni uniformi sull’intero territorio nazionale», con la conseguenza che «la decisione di ricorrere a uno schema “tipo”, riflettendo tale esigenza unitaria e non frazionabile, può essere dunque annoverata a pieno titolo tra i principi fondamentali del governo del territorio. Essa, tuttavia, non pregiudica la possibilità, per le singole regioni, di operare nell’ambito dello schema e di svolgere una funzione di raccordo con gli enti locali operanti sul loro territorio».

 

Si è evidenziato, dunque, che «in questo senso, non può imputarsi alla legge statale […] di essersi spogliata della propria competenza, attribuendo ad un atto sub-legislativo il compito di disciplinare una materia che l’art. 117, terzo comma, Cost. affida al legislatore. La disposizione censurata, infatti, non contiene una autorizzazione “in bianco”. Essa, dopo avere individuato un interesse non frazionabile, teso a unificare e coordinare la struttura e il lessico dei regolamenti edilizi locali, non manca di indicare i soggetti interessati, l’obiettivo da perseguire, il metodo e gli adempimenti procedurali necessari a conseguire siffatte uniformità redazionali.

Vi sono campi, infatti, ove è necessario completare la scelta di indirizzo compiuta dal legislatore con una disciplina che richiede particolari cognizioni tecniche. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, è ben possibile che il legislatore rinvii ad atti integrativi e ad essi affidi «il compito di individuare le specifiche caratteristiche della fattispecie tecnica […] le quali necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale» e «mal si conciliano con il diretto contenuto di un atto legislativo» (sentenza n. 11 del 2014). Se è ovvio che tali atti, «qualora autonomamente presi, non possono assurgere al rango di normativa interposta, altra è la conclusione cui deve giungersi ove essi vengano strettamente ad integrare, in settori squisitamente tecnici, la normativa primaria che ad essi rinvia» (sentenza n. 11 del 2014)».

In questi casi essi, laddove necessari per la ricognizione dei dati, non si pongono come «norma di dettaglio, ma, al contrario, come principio fondamentale» (sentenza n. 121 del 2012). In particolare, è stato ritenuto che la disciplina statale che rimette a decreti ministeriali l’approvazione di talune norme tecniche per le costruzioni costituisce «chiara espressione di un principio fondamentale» (sentenze n. 282 del 2016 e n. 254 del 2010; nello stesso senso, sentenza n. 41 del 2017).

 

Può essere, inoltre, sottolineato che, pur in assenza di un obbligo costituzionalmente imposto, la disposizione impugnata ha prescritto, in alternativa, l’accordo o la intesa (quest’ultima poi lo strumento concretamente adottato) con gli enti territoriali rappresentati nella Conferenza unificata, indicando strumenti che valorizzano al massimo grado l’integrazione delle diverse esigenze emergenti dal sistema delle autonomie (sentenza n. 1 del 2016). La raggiunta intesa conferma quanto già emerge, sotto questo profilo, dalla disposizione legislativa».

 

Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte costituzionale ha reputato, pertanto, di «rigettare la doglianza relativa all’art. 117, terzo comma, Cost.», con riguardo all’asserita violazione della competenza concorrente delle Regioni afferente alla materia «governo del territorio».

 

 

[1] D.L. n. 133/2014, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 164/2014.

[2] Cfr. par. 9.

[3] Cfr. anche paragrafi 1 e 2.

[4] In merito ai rilievi sottoposti dalla Provincia autonoma di Trento cfr. nota a par. 9.