SETTEMBRE 2023 – La conformità urbanistica e catastale nei trasferimenti immobiliari

La conformità urbanistica e catastale nei trasferimenti immobiliari.

 

L’intervento normativo di controllo della circolazione immobiliare si svolge in una triplice direzione: verso gli autori degli atti dispositivi con sanzioni per gli illeciti compiuti, verso il bene realizzato – con la demolizione o comunque la esclusione dal mercato –  e verso gli atti dispositivi con la privazione di efficacia degli stessi, intrecciando meccanismi sanzionatori amministrativi con sistemi afflittivi penali, sul cui sfondo opera il controllo dell’autonomia privata con la nullità dell’atto stipulato per incommerciabilità del bene. [1]

 

La presente trattazione intende approfondire l’influenza della normativa urbanistica-edilizia negli atti traslativi, con particolare riferimento al complesso bilanciamento tra la sanzione della nullità dell’atto dispositivo per l’irregolarità urbanistica-edilizia dell’immobile alienato e la difesa della validità dell’atto stipulato per la salvezza degli interessi attuati dal trasferimento, per poi soffermarsi sui  principi affermati dalla più recente giurisprudenza in materia di commerciabilità degli immobili abusivi.

 

Sul punto, giova premettere che l’inosservanza dei precetti posti in materia urbanistica, da sempre sanzionata penalmente con fattispecie contravvenzionali e sotto un profilo amministrativo, solo a partire dal 1977 è stata disciplinata anche con riferimento alla sorte dei rapporti contrattuali aventi ad oggetto diritti reali su fabbricati irregolari sotto il profilo urbanistico.[2]

 

Invero, se nella legge n. 1150/1942 mancava un’espressa considerazione delle sanzioni civilistiche cui dovesse essere sottoposto il negozio traslativo di immobili abusivi, la legge n. 765/1967 (cd. “Legge Ponte”), nel modificare l’art. 31 della legge urbanistica, ha previsto la nullità delle compravendite di terreni abusivamente lottizzati a scopo residenziale nel caso in cui “da essi non risulti che l’acquirente era a conoscenza della mancanza” di una lottizzazione autorizzata. Tale regime giuridico è stato successivamente esteso dalla legge n. 10/1977 (cd. “Legge Bucalossi”) alle compravendite relative a fabbricati abusivi e, più in generale, a tutti gli atti giuridici aventi ad oggetto unità edilizie non in regola con la normativa urbanistica. [3]

 

L’impianto normativo descritto – prioritariamente incentrato sulla tutela del contraente in buona fede – è stato superato dalla legge sul condono edilizio (legge n. 47/1985) che, se da un lato ha inteso garantire l’interesse privato della parte acquirente affinché venisse resa edotta in ordine alla regolarità urbanistica dell’immobile da acquistare, dall’altro, ha mirato a disincentivare l’abusivismo edilizio introducendo una nuova tipologia di nullità, che non consegue più alla mancata menzione della conoscenza dell’assenza di concessione in capo all’acquirente, ma deriva dalla mancata menzione in atto, per dichiarazione dell’alienante o dei condividenti, degli estremi del titolo abilitativo alla costruzione, o della documentazione comprovante l’avvio del procedimento amministrativo di sanatoria, o una dichiarazione sostitutiva di atto notorio che attesti la costruzione dell’immobile in data antecedente al 1 settembre 1967 (artt. 17 e 40, legge. n. 47/1985[4]).

Entrambe tali disposizioni (art. 17, comma 4, e art. 40, comma 3) hanno previsto  la possibilità della “conferma” delle comminate nullità nel caso in cui la mancata indicazione della concessione edilizia, ovvero la mancanza di dichiarazione o il mancato deposito di documenti, non fossero dipesi dall’inesistenza, al tempo della stipula, della concessione, o della domanda di concessione in sanatoria, o, ancora, dal fatto che la costruzione sia stata iniziata dopo il 1 settembre 1967: in tali casi, è possibile la conferma degli atti, anche da una sola delle parti, mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, contenente la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda di concessione in sanatoria.

 

La disciplina suesposta è stata riproposta con il D.P.R. n. 380/2001 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”), il cui art. 46 ha sostituito l’art. 17 della legge n. 47/1985 disponendo che “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù”. Il comma 4 della norma in esame prevede, anch’esso, la possibilità di conferma sancendo che “Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa”.

 

Altro tema strettamente collegato a quello della commerciabilità degli immobili è la conformità catastale che, ai sensi dell’art. 29, comma 1-bis della legge n. 52/1985 sulla meccanizzazione delle Conservatorie dei Registri immobiliari, costituisce condizione essenziale per stipulare un valido atto di trasferimento.

 

Tale norma, introdotta dal D.L. n. 78/2010 (con la rubrica “Aggiornamento del Catasto“), convertito con modificazione dalla legge n. 122/2010, prevede l’obbligo da parte del notaio di procedere alla verifica della conformità oggettiva e soggettiva dal punto di vista catastale dell’immobile da alienare stabilendo che “ gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale” (cd. conformità catastale “oggettiva”) per poi aggiungere che “prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari” (cd. conformità catastale “soggettiva”).

 

Sul punto la Corte di Cassazione ha precisato che “il mancato inserimento, nel contratto preliminare di compravendita immobiliare, delle indicazioni circa la c.d. conformità catastale oggettiva, ovvero l’identificazione catastale del bene, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto, la dichiarazione o attestazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto, non ne comporta la nullità, in quanto le prescrizioni previste dall’art. 29, comma 1-bis, della l. n. 52 del 1985, aggiunto dall’art. 19, comma 14, del d.l. n. 78/2010 conv., con modif., dalla l. n. 122 del 2010 si riferiscono ai soli contratti traslativi non trovando quindi applicazione ai contratti aventi effetti meramente obbligatori”(Cassazione civile sez. II, 08/03/2022, n. 7521).

 

Per quanto attiene al profilo patologico, solo con l’entrata in vigore della legge n. 96/2017 è stata prevista nell’ambito della disciplina di cui all’art. 29, comma 1-bis legge n. 52/1985 una norma che consentisse di “sanare” la nullità in caso di mancanza in atto delle dichiarazioni ivi previste: nel dettaglio, con l’introduzione del comma 1-ter è stata ammessa la possibilità di confermare gli atti pubblici e le scritture private autenticate carenti del riferimento alle planimetrie depositate in catasto, della dichiarazione sulla conformità catastale, nonché, dell’attestazione di conformità resa dal tecnico abilitato, a condizione che tali “mancanze” non siano dipese dall’inesistenza delle planimetrie o della loro difformità dallo stato di fatto.[5]

 

Nella fattispecie di cui al nuovo comma 1-ter dell’art. 29 della legge n. 52/1985, condicio sine qua non, perché l’atto nullo possa essere confermato è che, prima dell’atto da confermare, la planimetria dell’immobile risulti regolarmente depositata in catasto e che alla data di stipula dell’atto l’immobile sia conforme alle risultanze della planimetria depositata e dei dati catastali. Tale norma ricorda sotto molteplici aspetti la disciplina sulla conformità degli atti nulli per difetto delle dichiarazioni urbanistiche di cui agli esaminati artt. 40, comma 3 della legge n. 47/1985 e 46, comma 4 del D.P.R. n. 380/2001, per i quali la conferma è possibile a condizione che i provvedimenti urbanistici formalmente omessi esistano sotto il profilo sostanziale alla data dell’atto.

 

Orbene, il quadro delineato porta ad osservare in merito al rapporto tra conformità urbanistica e conformità catastale che, “per consolidata giurisprudenza, i dati catastali non possono ritenersi, neppure dal punto di vista topografico, fonte di prova certa della situazione di fatto esistente sul piano immobiliare, rappresentando l’accatastamento un adempimento di tipo fiscale-tributario che fa stato ad altri fini, senza assurgere a strumento idoneo, al di là di un mero valore indiziario, ad evidenziare la reale consistenza degli immobili interessati e la relativa conformità alla disciplina urbanistico-edilizia” (T.A.R. Salerno, (Campania) sez. II, 06/03/2023, n. 525).

 

I dati catastali costituiscono, infatti, gli elementi da cui desumere le caratteristiche patrimoniali del bene rilevanti ai fini fiscali, ragione per cui l’omissione della dichiarazione determina la nullità assoluta dell’atto, avendo la norma finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale. L’obbligo delle visure non è quindi finalizzato all’esclusivo soddisfacimento di interessi di parte, ma persegue altresì il pubblico interesse alla completezza, conservazione e aggiornamento dei registri catastali, oltre a consentire un corretto esame delle formalità pubblicitarie relative all’immobile nel ventennio.

 

[1]  Fernando Bocchini, “Alienazioni di edifici abusivi: nullità degli atti e pubblicità dei titoli abilitativi”, Rivista Giuridica dell’Edilizia, fasc., 2019, pag. 625.

[2] Maria Cristina Gruppuso, “Le nullità delle menzioni urbanistiche negli atti traslativi”, in Riv. Not., fasc., 2019, pag. 341.

[3] L’art. 15 della legge n. 10/1977 disponeva che “Gli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione sono nulli ove da essi non risulti che l’acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione”

[4] La legge n. 47/1985 ha disposto all’art. 17, comma 1, che: “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria rilasciata ai sensi dell’art. 13. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù”, e al successivo art. 40, comma 2 che “gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’articolo 31 ovvero se agli atti stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui al sesto comma dell’articolo 35” con la precisazione che “per le opere iniziate anteriormente al 1° settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967. Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all’atto medesimo”.

[5] L’art. 29, comma 1-ter della legge n. 52/1985 dispone che “Se la mancanza del riferimento alle planimetrie depositate in catasto o  della  dichiarazione,  resa  dagli  intestatari,  della conformità  allo  stato  di  fatto  dei  dati  catastali   e   delle planimetrie, ovvero dell’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato non siano dipese dall’inesistenza delle planimetrie o dalla loro difformità dallo stato di  fatto,  l’atto  può  essere confermato anche da una sola delle parti  mediante  atto  successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga gli  elementi omessi. L’atto di conferma costituisce atto direttamente conseguente a quello cui si riferisce, ai sensi dellarticolo 10,  comma  3,  del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23)”.