La certificazione dello stato legittimo dell’immobile.
Per effetto dell’esaminata sentenza n. 8230/2019 delle S.U. della Suprema Corte di Cassazione muta la conformazione dei rapporti contrattuali tra le parti, le quali, ai fini della validità dell’atto traslativo o divisionale, dovranno accertare l’esistenza del titolo edilizio e la sua riferibilità all’immobile in oggetto, nonché l’esistenza di eventuali irregolarità per evitare l’irrogazione delle sanzioni amministrative o della modulazione delle conseguenze tecniche ed economiche del difetto di conformità.
Nel contesto delineato, la certificazione di stato legittimo dell’immobile – già richiesta nella prassi degli uffici comunali per ottenere il rilascio di titoli edilizi in forza dei quali effettuare nuovi lavori sull’immobile ed introdotta dal D.L. n. 76/2020 (cd. “Decreto Semplificazioni”) – rientra tra le maggiori novità apportate al D.P.R. n. 380/2001 ed assume particolare rilevanza anche in ambito di commerciabilità degli immobili al fine di garantire maggiore certezza nei trasferimenti immobiliari.
Il nuovo comma 1-bis dell’art. 9-bis del D.P.R. n. 380/2001 – rubricato “Documentazione amministrativa e stato legittimo degli immobili”- dispone che ”Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”.
Al fine della determinazione dello stato legittimo costituisce “titolo abilitativo”, non solo il titolo primario che ha autorizzato l’intervento edificatorio, ma anche quello “che ne ha legittimato la stessa”, ovverosia il titolo sanante successivo. Inoltre, è evidente che un immobile può definirsi urbanisticamente legittimo non solo se si trova in uno stato coerente con l’ultimo titolo edilizio, ma solo se lo è anche rispetto ai titoli edilizi precedenti in quanto la legittimità non è uno stato istantaneo, ma si consolida nel momento in cui si può verificare che tutte le trasformazioni che l’immobile ha subito nel tempo sono state tutte correttamente autorizzate, con istanze prive di vizi e compiutamente istruite.
Nel caso in cui difetti un titolo abilitativo edilizio che attribuisca al bene la qualità dello stato legittimo perché all’epoca non era obbligatorio, l’art. 9-bis specifica che lo stesso “è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”; l’utilizzo di detta documentazione “alternativa” è espressamente ammesso anche “nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia”.
Lo stato legittimo dell’immobile non è escluso dalle irregolarità edilizie più lievi disciplinate dall’art. 34-bis del D.P.R. n. 380/2001[1], che devono però essere dichiarate dal tecnico abilitato al fine dell’attestazione dello stato legittimo dell’immobile nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione ovvero scioglimento della comunione di diritti reali. [2]
Richiamato il quadro normativo di riferimento, si è posto il problema del ruolo svolto nella circolazione immobiliare da una relazione asseverata, diversa da quella tipica di cui all’art. 34-bis del D.P.R. n. 380/2001, funzionale alla produzione dell’effetto tipico suddetto sulle tolleranze costruttive ed esecutive, ma che contenga altresì valutazioni tecniche in ordine allo stato legittimo.
Certamente una siffatta relazione tecnica asseverata non tipica, pur non potendo costituire un atto di certazione formale nei confronti della Pubblica Amministrazione, appare di assoluta utilità per garantire una maggiore sicurezza del commercio immobiliare. Difatti, seppure non vi sia un obbligo di allegazione all’atto di trasferimento della dichiarazione asseverata di stato legittimo del fabbricato, l’allegazione della stessa ha introdotto un nuovo strumento a servizio della contrattazione privata che consente di risolvere problematiche relative al controllo della regolarità urbanistica degli immobili.
In una siffatta ottica, la relazione tecnica in ordine allo stato legittimo svolge un ruolo efficace per attestare in maniera certa che il fabbricato è privo di abusi edilizi nell’interesse sia dell’acquirente che non intenda incorrere, successivamente all’acquisto, in sanzioni di carattere amministrativo (stante la natura “reale” delle sanzioni per abusi edilizi che seguono il bene[3]) o che non intenda vedersi preclusa la possibilità di presentare nuovi progetti edilizi o di fruire di agevolazioni fiscali; sia del venditore che voglia evitare il rischio di incorrere in azioni risarcitorie qualora emergano irregolarità edilizie delle quali si ignora l’esistenza.[4]
A quanto rilevato in materia di certificazione dello stato legittimo, si può peraltro aggiungere che “l’ordinamento non prevede un procedimento che imponga al Comune di attestare la regolarità edilizia di un bene, visto che la stessa si deve ricavare dai titoli abilitativi che ne hanno consentito la realizzazione (soltanto per i terreni si può ottenere una certificazione di destinazione urbanistica, con valore eminentemente dichiarativo: cfr. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001; T.A.R. Campania, Napoli, II, 29 dicembre 2020, n. 6451; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 21 luglio 2017, n. 434)”. Nemmeno sembra imporre detti adempimenti all’Amministrazione comunale l’art. 9-bis, comma 1-bis, del D.P.R. n. 380/2001, visto che dal menzionato art. 34-bis, comma 3, “si evince che è onere della parte privata che si rivolge all’Amministrazione produrre un’attestazione redatta da un tecnico abilitato comprovante lo stato legittimo dell’immobile” (T.A.R. Lombardia 08/11/2021 n. 2479).
[1] L’art. 34-bis del D.P.R. n. 380/2001 dispone al comma 1 che “Il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo”, per poi prevedere al successivo comma 2 che “Fuori dai casi di cui al comma 1, limitatamente agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, costituiscono inoltre tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l’agibilità dell’immobile”.
[2] Come disposto dall’art. 34-bis, comma 3 del D.P.R. n. 380 /2001.
[3] cfr. paragrafo 7.
[4] https://notariato.it/wp-content/uploads/Acquisto_Certificato_Attestazione.pdf.