La compravendita di immobili con difformità rispetto al titolo edilizio.
In tema di commerciabilità dell’immobile che presenti irregolarità edilizie, la Corte di Cassazione ha ribadito la validità del contratto di compravendita se nell’atto sono indicati gli estremi del titolo abilitativo che ha autorizzato la costruzione dell’immobile, a prescindere dalla conformità della costruzione al titolo menzionato: in considerazione del fatto che la vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa verso il corrispettivo di un prezzo, l’illecito relativo alla edificazione del bene non può inficiare direttamente il trasferimento medesimo, se non nei casi espressamente previsti dalla legge.
Tuttavia, se da una parte la non conformità dell’oggetto immobiliare al titolo edilizio menzionato non influisce tout court sulla validità dell’atto, la non conformità stessa, qualora non sia mai richiesta in modo assoluto e non opportunamente modulato, finirebbe addirittura per disattivare per contrappasso proprio il requisito della riferibilità del titolo edilizio medesimo al bene immobile, come requisito richiesto per la dichiarazione prevista a pena di nullità dalla Suprema Corte.
È, allora, incongruo affermare che si possa prescindere dal profilo della conformità o della difformità dal titolo edilizio in modo assoluto e acritico: i fabbricati totalmente abusivi, ossia fabbricati costruiti o ristrutturati con ristrutturazione cd. “pesante” in totale difformità rispetto al titolo rilasciato, non pare possano essere oggetto dei contratti di cui agli esaminati artt. 46 del D.P.R. n. 380/2001 e 40 della legge n. 47/1985 poiché, per questi atti, non sussistendo un titolo edilizio effettivamente rilasciato e riconducibile all’edificio negoziato, non sarebbe possibile rendere in atto la dichiarazione “reale e riferibile all’immobile”.
A contrario, in tutte le altre ipotesi, il titolo di trasferimento deve considerarsi valido ed efficace e la mancata corrispondenza dei dati dichiarati rispetto a quelli reali si sposta da un piano di validità del contratto, sanzionato con la nullità dell’atto, ad un piano di natura contrattuale qualificabile come inadempimento. In giurisprudenza, infatti, è costantemente affermato che “la fattispecie dell’abuso edilizio viene comunemente ricondotta nell’alveo dell’art. 1489 cc, secondo cui se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo la disposizione dell’articolo 1480, ciò perché l’abuso edilizio non è configurabile come un vizio redibitorio (ovvero come una mancanza di qualità), e ciò in quanto l’irregolarità dal punto di vista urbanistico non costituisce un’anomalia strutturale del bene in senso stretto, bensì una limitazione gravante su di esso” (Tribunale Vicenza, 02/03/2023, n. 446).
Ciò posto, la giurisprudenza ha escluso che la responsabilità del venditore ex art. 1489 c.c. possa essere invocata dal compratore edotto della difformità al momento dell’acquisto, né è configurabile la buona fede qualora l’acquirente dell’immobile con abuso edilizio (minore) non abbia assunto deliberatamente o per trascuratezza tutte le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo edilizio, nonché sulla compatibilità dell’immobile con gli strumenti urbanistici.
Alla fattispecie dell’abuso edilizio non si applica la garanzia per i vizi della cosa venduta (artt. 1490 ss. c.c.) ovvero quella per la mancanza di qualità (art. 1497 c.c.), di guisa che il compratore non incorre nei brevi termini di decadenza e di prescrizione previsti da tali norme, godendo, per converso, della speciale tutela apprestata dall’art. 1489 c.c.[1] Sul punto, è stato rilevato che l’azione prevista dall’art. 1489 c.c. deve essere proposta entro l’ordinario termine di prescrizione decennale, che decorre non dalla data in cui si verifica l’effetto traslativo, ma dalla manifestazione oggettiva del danno, perché solo da tale momento il danneggiato può conoscerne l’esistenza e le cause .[2]
In proposito, deve osservarsi che il D.P.R. n. 380/2001 all’art. 134 del D.P.R. n. 380/2001 – rubricato “Irregolarità rilevate dall’acquirente o dal conduttore (legge 9 gennaio 1991, n. 10, art. 36)” – pone un termine per evitare la decadenza ad agire contro il venditore disponendo che “Qualora l’acquirente o il conduttore dell’immobile riscontra (difformità dalle norme del presente testo unico), anche non emerse da eventuali precedenti verifiche, deve farne denuncia al comune entro un anno dalla constatazione, a pena di decadenza dal diritto di risarcimento del danno da parte del committente o del proprietario”.
Il predetto art. 134 del D.P.R. n. 380/2001 mira a garantire il rispetto delle norme edilizie sollecitando l’acquirente od il conduttore ad informare l’Amministrazione comunale dell’esistenza dei vizi rinvenuti nell’immobile, consentendole di intervenire verso il proprietario per ripristinare la regolarità edilizia ed irrogare le sanzioni amministrative dovute, giacché, in caso contrario, l’acquirente o il conduttore decadono dal diritto di chiedere il risarcimento del danno per l’immobile difettoso che si trovino ad occupare.[3]
[1] Tribunale Vicenza, 02/03/2023, n. 446.
[2] Come statuito da Cassazione civile sez. II, 15/11/2016, n. 23236: “agli effetti previsti dall’art. 2935 c.c., il termine di prescrizione del diritto dell’acquirente al risarcimento del danno, derivante dall’illegittimità edilizia dell’immobile oggetto di vendita, decorre non dalla data in cui si verifica l’effetto traslativo ma dalla manifestazione oggettiva del danno, perché solo da tale momento il danneggiato può conoscerne l’esistenza e le cause”
[3] Tribunale di Monza, 03/06/2014, n. 1706.