OTTOBRE 2023 – Vigilanza attività urbanistica edilizia responsabilità sanzioni

Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, responsabilità e sanzioni. Distinzione tra illecito amministrativo e reato urbanistico-edilizio.

 

Il D.P.R. n. 380/2001, recante il cd. «Testo unico edilizia», nella PARTE I disciplina l’«Attività edilizia», trattando al TITOLO IV gli aspetti concernenti la «VIGILANZA SULL’ATTIVITÀ URBANISTICO EDILIZIA, RESPONSABILITÀ E SANZIONI»: più nel dettaglio, al CAPO I vengono dettate le norme in materia di «Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia e responsabilità», mentre al CAPO II si individuano le «Sanzioni».

 

La presente trattazione, premessi brevi cenni sull’attività di vigilanza e sull’individuazione dei soggetti responsabili, intende soffermarsi sugli aspetti riguardanti le sanzioni, distinguendo in particolare quelle di tipo amministrativo da quelle penali ed il loro ambito di applicazione, ricordando che in materia edilizia sussiste il doppio binario sanzionatorio amministrativo e penale[1].

 

L’analisi che segue verrà condotta, inoltre, prescindendo da ulteriori profili riguardanti la normativa tecnica per l’edilizia – quali ad esempio le disposizioni, e relative sanzioni, concernenti le opere in conglomerato cementizio armato, normale, precompresso ed a struttura metallica, la disciplina antisismica, etc. – salvo alcuni brevi cenni alla disciplina paesaggistica.

 

Orbene, il CAPO I innanzi richiamato si apre con l’articolo 27 – rubricato «Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia» – con cui al primo comma si stabilisce che «il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi».

 

Il comma secondo sancisce che «il dirigente o il responsabile, quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490[2], il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa. Per le opere abusivamente realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo. 29 ottobre 1999, n. 490[3], o su beni di interesse archeologico, nonché per le opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincolo o di inedificabilità assoluta in applicazione delle disposizioni del titolo II del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490[4], il Soprintendente, su richiesta della regione, del comune o delle altre autorità preposte alla tutela, ovvero decorso il termine di 180 giorni dall’accertamento dell’illecito, procede alla demolizione, anche avvalendosi delle modalità operative di cui ai commi 55 e 56 dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662[5]».

 

Con riferimento al secondo comma dell’articolo 27 del D.P.R. n. 380/2001 si è osservato che tale norma «riconosce […] all’amministrazione comunale un generale potere di vigilanza e controllo su tutta l’attività urbanistica ed edilizia, imponendo l’adozione di provvedimenti di demolizione in presenza di opere realizzate in zone vincolate in assenza dei relativi titoli abilitativi, al fine di ripristinare la legalità violata dall’intervento edilizio non autorizzato. E ciò mediante l’esercizio di un potere-dovere del tutto privo di margini di discrezionalità in quanto rivolto solo a reprimere gli abusi accertati […]» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1660/2023).

 

Il successivo comma terzo – su cui ci si riserva un ulteriore approfondimento – prescrive poi che, ferma l’ipotesi di cui al comma secondo, in caso di constatata «inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, ordina l’immediata sospensione dei lavori […]».

 

L’articolo de quo si chiude con il comma quarto, a mente del quale «gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono realizzate le opere non sia esibito il permesso di costruire, ovvero non sia apposto il prescritto cartello, ovvero in tutti gli altri casi di presunta violazione urbanistico-edilizia, ne danno immediata comunicazione all’autorità giudiziaria, al competente organo regionale e al dirigente del competente ufficio comunale, il quale verifica entro trenta giorni la regolarità delle opere e dispone gli atti conseguenti».

 

Merita di essere brevemente menzionato anche l’articolo 28 – rubricato «Vigilanza su opere di amministrazioni statali» – il quale sancisce che, per le opere eseguite da amministrazioni statali, qualora ricorrano le ipotesi di cui al precedente articolo 27, «il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale informa immediatamente la regione e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti , al quale compete, d’intesa con il presidente della giunta regionale, la adozione dei provvedimenti previsti dal richiamato articolo 27».

 

Passando alla disamina dei soggetti in capo ai quali può essere individuata una responsabilità in relazione ad eventuali abusi posti in essere, assume rilievo l’articolo 29 del D.P.R. n. 380/2001, con il quale viene dettata la disciplina in ordine alla «Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a segnalazione certificata di inizio attività».

 

La norma de qua, difatti, al primo comma stabilisce che «il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. Essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l’esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso».

 

Il comma secondo si concentra sulla figura del direttore dei lavori, prevedendo che «il direttore dei lavori non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni del permesso di costruire, con esclusione delle varianti in corso d’opera, fornendo al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa. Nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto al permesso di costruire, il direttore dei lavori deve inoltre rinunziare all’incarico contestualmente alla comunicazione resa al dirigente. In caso contrario il dirigente segnala al consiglio dell’ordine professionale di appartenenza la violazione in cui è incorso il direttore dei lavori, che è passibile di sospensione dall’albo professionale da tre mesi a due anni».

 

Con riferimento alla figura in esame il Consiglio di Stato «ha chiarito che “Il legislatore, ai sensi del combinato disposto degli artt. 29 e 33 del d.P.R. n. 380 del 2001 (Testo unico Edilizia)…ha configurato in capo al direttore dei lavori una posizione di garanzia per il rispetto della normativa urbanistica ed edilizia, prescrivendo, a suo carico, un onere di vigilanza costante sulla corretta esecuzione dei lavori, collegato al dovere di contestazione delle irregolarità riscontrate e, se del caso, di rinunzia all’incarico, addebitandogli le conseguenze sanzionatorie dell’omesso controllo” (Cons. Stato, sez. VI, 5 novembre 2018, n. 6230)» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 7227/2023)[6].

 

Si è evidenziato anche in ambito penalistico che «all’evidente fine di realizzare una tutela più forte dei beni oggetto di protezione penale, il legislatore ha da tempo configurato in capo al direttore dei lavori una posizione di garanzia per il rispetto della normativa urbanistica ed edilizia […] e lo ha fatto non soltanto addebitandogli le conseguenze penali dell’omesso controllo sulla corretta esecuzione delle opere rispetto al permesso di costruire (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 1), ma imponendogli altresì di “dissociarsi” dalla condotta illecita da altri commessa, anche se trattisi del suo stesso committente» (Cassazione penale, sez. III, n. 38479/2019): «la giurisprudenza di legittimità è ferma, infatti, nel ritenere che il direttore dei lavori non risponde degli illeciti edilizi solo se presenta denuncia di detti illeciti ai competenti uffici dell’Amministrazione comunale e se rinuncia all’incarico osservando per entrambi gli adempimenti l’obbligo della forma scritta» (Cassazione penale, sez. III, n. 46477/2017).

 

Si è così ritenuta «configurabile la responsabilità del direttore dei lavori per le contravvenzioni in materia di edilizia ed urbanistica, indipendentemente dalla sua concreta presenza in cantiere, in quanto sussiste a carico del medesimo un onere di vigilanza costante sulla corretta esecuzione dei lavori, collegato al dovere di contestazione delle irregolarità riscontrate e, se del caso, di rinunzia all’incarico […]» e rilevato che «questi, oltre ad essere il referente del committente per gli aspetti di carattere tecnico, assume anche la funzione di garante nei confronti del Comune dell’osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all’esecuzione dei lavori» (Cassazione penale, sez. III, n. 7406/2015)[7].

 

Il comma terzo dell’articolo 29 si concentra, infine, sulla figura del progettista, sancendo che «per le opere realizzate dietro presentazione di segnalazione certificata di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli articoli 359 e 481 del codice penale. In caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all’articolo 23, comma 1, l’amministrazione ne dà comunicazione al competente ordine professionale per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari».

 

Si ricorda che l’articolo 359 c.p. individua, agli effetti della legge penale, le «Persone esercenti un servizio di pubblica necessità[8]» e che l’articolo 481 c.p. codifica il reato di «Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità», statuendo al primo comma che «chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da 51 euro a 516 euro»: la giurisprudenza ha così ritenuto che «[…] risponde […] del reato di falsità ideologica in certificati, il progettista che, nella relazione iniziale di accompagnamento di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23, comma 1, renda false attestazioni, sempre che le stesse riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici e non anche la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità di quest’ultima rispetto a quanto poi in concreto realizzato […]» (Cassazione penale, sez. III, n. 3067/2016)[9].

 

Tanto esposto, appare infine di estremo interesse soffermarsi sulla giurisprudenza di legittimità «in materia di affermazione della penale responsabilità per reati urbanistici ed edilizi del comproprietario dell’autore materiale del reato».

 

In proposito la Corte di Cassazione ha da tempo composto un contrasto che aveva visto contrapporsi due diversi orientamenti: «Secondo una prima tesi, il proprietario che, essendo consapevole che sul suo terreno viene eseguita da un terzo una costruzione abusiva e potendo intervenire, deliberatamente se ne astiene, realizzerebbe una condotta omissiva che renderebbe possibile la commissione dell’abuso, il quale, quindi, sarebbe conseguenza diretta anche della sua omissione, sicchè l’ipotesi si inquadrerebbe nella previsione del primo e non del secondo comma dell’art. 40 cod. pen., senza che per l’esistenza del rapporto di causa-effetto occorra un ulteriore obbligo giuridico di impedire l’evento […] In ogni caso – aggiungeva la citata giurisprudenza – la posizione di garanzia sarebbe ricavabile dall’art. 42, secondo comma, Cost., nella parte in cui pone limiti al diritto di proprietà ai fini di assicurarne la funzione sociale, sicchè la responsabilità deriverebbe comunque dalla generale previsione di cui all’art. 40 cpv. cod. pen. Da ultimo si poneva in luce che in tali situazioni sarebbe comunque ravvisabile un concorso morale, poichè “grazie alla tolleranza del proprietario, l’autore dell’illecito è lasciato nella disponibilità del terreno che gli consente di costruire l’opera senza concessione: il che è assai più che dar luogo ad un rafforzamento della volontà dell’autore” […].

 

Secondo un opposto orientamento, invece, “il proprietario di un’area su cui viene realizzata una costruzione abusiva, il quale sia rimasto estraneo alla relativa attività edificatoria anche in veste di semplice committente dei lavori, non ha – perchè non impostogli da alcuna norma di legge – l’obbligo giuridico di impedire o di denunciare l’attività illecita di costruzione abusiva da altri su detta area posta in essere” […]. Anzi, si osservava richiamandosi la previsione oggi contenuta nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, la legge, “pur indicando alcuni soggetti (il titolare della concessione edilizia, il committente, il costruttore, il direttore dei lavori) che sono tenuti a garantire la conformità dell’opera alla concessione edilizia e pertanto sono da ritenere responsabili dell’eventuale costruzione in assenza di concessione, tra essi non include il proprietario del terreno. Or se non v’è alcuna norma di legge che impone a carico del proprietario dell’area l’obbligo di impedire la costruzione abusiva, è da escludere che un tale soggetto possa rispondere del reato edilizio sol perchè è rimasto inerte dinanzi all’illecito commesso da altri” […].

 

Quest’ impostazione – divenuta largamente maggioritaria nella giurisprudenza di legittimità – è senza dubbio condivisibile, poichè l’inerzia di chi non rivesta una posizione di garanzia ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29 non ha rilievo penale. La vera natura di tale disposizione, di fatti, non è quella assegnatale dalla giurisprudenza tradizionale – di individuare i soggetti attivi di un presunto reato proprio che, salvo specifiche ipotesi, tale invece non è […], bensì quella di estendere la responsabilità penale delle figure indicate nel caso di omesso, costante, controllo, anche sulla condotta altrui, circa la conformità delle opere in corso d’esecuzione ai parametri di legalità sostanziale contenuti nel titolo, negli strumenti urbanistici, nelle disposizioni di legge. Tale forma di responsabilità non può dunque essere ascritta a soggetti diversi da quelli indicati nell’art. 29 TUE, e quindi non può riguardare il (com)proprietario dell’immobile sul quale si eseguono i lavori abusivi che – non rivestendo alcuna delle altre qualità indicate nella disposizione – resti del tutto inerte rispetto all’altrui condotta illecita». Tale conclusione, logicamente, «non esclude la possibile responsabilità penale del proprietario che – pur non essendo committente, costruttore o titolare del permesso di costruire (nè, ovviamente, direttore dei lavori) – ponga in essere qualche contributo, materiale o anche soltanto morale, all’attività di illecita trasformazione del territorio posta in essere direttamente da terzi. […]

 

Si è dunque affermato che in tema di reati edilizi, l’individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell’abuso edilizio può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria della compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, desumibili dalla presentazione della domanda di condono edilizio, dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo, dall’interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, dai rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, dalla presenza di quest’ultimo in loco e dallo svolgimento di attività di vigilanza nell’esecuzione dei lavori o dal regime patrimoniale dei coniugi […]. Pena la sostanziale applicazione del ripudiato principio della responsabilità formale per il mero possesso della qualità, si è successivamente chiarito che la prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere abusive non può essere desunta esclusivamente dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e dall’interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, ma necessita di ulteriori elementi, sintomatici della sua compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto quali quelli più sopra indicati […]» (Cassazione penale, sez. III, n. 33387/2018)[10].

 

Giunti a questo punto della trattazione appare utile concentrarsi sulle sanzioni che l’ordinamento appresta in caso di violazioni alla disciplina urbanistico-edilizia, seppur senza alcuna pretesa di esaustività, data l’ampiezza e la portata del tema trattato: al riguardo, avendo già anticipato la fondamentale distinzione tra sanzioni amministrative e sanzioni penali – la cui applicazione consegue al fatto che l’abuso edilizio viene in rilievo nell’ordinamento giuridico sia come illecito amministrativo che come reato – si cercherà di evidenziare come convivono questi duplici profili – rectius doppio binario sanzionatorio – anche alla luce del rapporto tra esercizio dell’azione penale e procedimento amministrativo di sanatoria.

 

[1] https://ceridap.eu/sanzioni-urbanistico-edilizie-e-canone-di-proporzionalita-alla-luce-dei-principi-sovranazionali/?lng=en

[2] Il riferimento, attualmente, deve intendersi al cd. «Codice dei beni culturali e del paesaggio» di cui al D.lgs. n. 42/2004.

[3] Il riferimento, attualmente, deve intendersi agli articoli 13 e 14 del cd. «Codice dei beni culturali e del paesaggio» di cui al D.lgs. n. 42/2004.

[4] Il riferimento, attualmente, deve intendersi alla Parte Terza del cd. «Codice dei beni culturali e del paesaggio» di cui al D.lgs. n. 42/2004.

[5] Comma integrato dall’articolo 32 del D.L. n. 269/2003. Vedi articolo 32 del D.L. n. 269/2003.

[6] https://www.lavoripubblici.it/news/abusi-edilizi-responsabilita-direttore-lavori-31526

 

[7] https://studiolegaleberto.net/2019/01/abuso-edilizio/

[8] La norma stabilisce che «Agli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità:

1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell’opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi;

2) i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione».

[9] https://studiolegaleberto.net/2019/01/abuso-edilizio/

[10] https://studiolegaleberto.net/2019/01/abuso-edilizio/