Brevi cenni in tema di tutela paesaggistica: fattispecie di illecito e sanzioni.
Giunti al termine della presente disamina appare opportuno svolgere alcune considerazioni in materia di tutela paesaggistica e delle relative fattispecie di illecito e sanzioni.
In proposito giova prendere le mosse dall’obbligo di autorizzazione paesaggistica imposto dall’articolo 146 del cd. «Codice dei beni culturali e del paesaggio» – rubricato, per l’appunto, «Autorizzazione» – il quale sancisce al primo comma che «i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione», avendo «l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione», come disposto dal secondo comma.
Di estremo rilievo – al fine di cogliere la finalità del provvedimento autorizzatorio in questione – risulta il disposto di cui al successivo comma quarto, il quale afferma prioritariamente che «l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio»: ne deriva – come riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa – che gli interventi eseguiti in ambito soggetto a vincolo paesaggistico necessitano di due distinti e autonomi titoli, il titolo edilizio e l’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che l’opera va sanzionata anche se risulti priva di uno solo di essi (T.A.R. Brescia, sez. I, n. 679/2020).
Il comma in esame risulta notevolmente significativo, inoltre, poiché pone il generale divieto di cd. «sanatoria postuma», prevedendo che «fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi».
Tralasciando ulteriori aspetti, anche di tipo procedimentale, in ordine ai quali si rimanda ad autonoma trattazione, per quanto qui di interesse preme soffermarsi sull’esame di due disposizioni fondamentali del D.lgs. n. 42/2004 inserite nella Parte Quarta del Codice, quella relativa alle «Sanzioni»: si tratta degli articoli 167 e 181 del D.lgs. n. 42/2004, che recano – rispettivamente – le sanzioni amministrative e penali relative alle violazioni della disciplina della Parte Terza del Codice in tema di «Beni paesaggistici».
Con riguardo al primo profilo, invero, l’articolo 167 del D.lgs. n. 42/2004 – rubricato «Ordine di remissione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria» – prevede al primo comma che «in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese, fatto salvo quanto previsto al comma 4».
Al comma secondo si prescrive che «con l’ordine di rimessione in pristino è assegnato al trasgressore un termine per provvedere» ed il comma terzo sancisce che «in caso di inottemperanza, l’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica provvede d’ufficio per mezzo del prefetto e rende esecutoria la nota delle spese. Laddove l’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica non provveda d’ufficio, il direttore regionale competente, su richiesta della medesima autorità amministrativa ovvero, decorsi centottanta giorni dall’accertamento dell’illecito, previa diffida alla suddetta autorità competente a provvedervi nei successivi trenta giorni, procede alla demolizione avvalendosi dell’apposito servizio tecnico-operativo del Ministero, ovvero delle modalità previste dall’articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a seguito di apposita convenzione che può essere stipulata d’intesa tra il Ministero e il Ministero della difesa».
I commi quarto e quinto della norma de qua regolano le limitate ipotesi in cui è ammissibile la cd. «sanatoria paesaggistica postuma». Il comma quarto prevede che «l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:
- a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
- b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
- c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».
In tali ipotesi, qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore – a mente del comma quinto – è tenuto al pagamento di una sanzione pecuniaria: si stabilisce, invero, che «il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L’importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell’articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma».
Come prescritto dal comma sesto – «le somme riscosse per effetto dell’applicazione del comma 5 […] sono utilizzate, oltre che per l’esecuzione delle rimessioni in pristino di cui al comma 1, anche per finalità di salvaguardia nonché per interventi di recupero dei valori paesaggistici e di riqualificazione degli immobili e delle aree degradati o interessati dalle rimessioni in pristino. Per le medesime finalità possono essere utilizzate anche le somme derivanti dal recupero delle spese sostenute dall’amministrazione per l’esecuzione della rimessione in pristino in danno dei soggetti obbligati, ovvero altre somme a ciò destinate dalle amministrazioni competenti».
Con riferimento alle sanzioni penali in caso di abuso paesaggistico, l’articolo 181 del D.lgs. n. 42/2004 – rubricato «Opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa» – stabilisce al primo comma che «chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici è punito con le pene previste dall’articolo 44, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».
Ciò posto, i successivi commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies – introdotti dall’articolo 1, comma 36 della L. n. 308 del 2004 – dispongono quanto segue.
Il comma 1-bis prevede un’ulteriore fattispecie di reato ed attualmente – per effetto della declaratoria di parziale incostituzionalità di cui alla sentenza n. 56/2016 della Corte costituzionale – sancisce che «la pena è della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1 abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi».
Nell’originaria formulazione la tutela del paesaggio era invero ancor più severa[1]: si è osservato, infatti, che «in precedenza, la fattispecie incriminatrice apprestava una tutela maggiormente rigorosa per i beni vincolati in via provvedimentale e, per i beni vincolati per legge, il delitto di cui al comma 1-bis veniva in rilievo soltanto in caso di opere di notevole impatto volumetrico», mentre «la sentenza della Corte costituzionale ha ricondotto all’area contravvenzionale tutti i lavori eseguiti su beni paesaggistici, sia quelli vincolati in via provvedimentale, sia quelli vincolati per legge» e ad oggi – si badi – «l’unica ipotesi di reato ancora modellata come delitto […] concerne i lavori di qualsiasi genere eseguiti su beni paesaggistici, qualora comportino il superamento delle soglie volumetriche indicate al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-bis» (Cassazione penale, sez. III, n. 20935/2021)[2].
Tornando all’analisi dell’articolo 181 si osserva che il comma 1-ter stabilisce che «ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo 167, qualora l’autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica:
- a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
- b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
- c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».
Il comma 1-quater, nel regolare le predette procedure, sancisce che «il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 1-ter presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi» e che «l’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni».
Di estremo rilievo il comma 1-quinquies, con il quale si stabilisce che «la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1».
Infine, il comma secondo dispone che «con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato. Copia della sentenza è trasmessa alla regione ed al comune nel cui territorio è stata commessa la violazione».
Così brevemente menzionata la disciplina dettata dal cd. «Codice dei beni culturali e del paesaggio» nei suoi articoli di primario rilievo – non potendo, per ovvie ragioni di sinteticità, indugiare oltre su una tematica di estremo interesse e complessità – appare opportuno concludere affidando ad una recente sentenza della Corte di Cassazione alcune considerazioni in argomento.
Come ha infatti evidenziato la Corte «[…] la diversità della disciplina dettata in materia di interventi di tipo edilizio o paesaggistico, che si traduce innanzitutto nella intervenuta redazione di distinti testi normativi (rispettivamente corrispondenti al D.Lgs. n. 42 del 2004 e al D.P.R. n. 380 del 2001), fondamentali, seppur non esaustivi delle predette, complesse materie […] trova peculiare espressione in materia di cd. “sanatoria” in senso stretto, nozione quest’ultima riferibile alle ordinarie procedure amministrative attraverso cui sia possibile, a determinate condizioni, superare e, quindi, “sanare”, l’illiceità o l’illegittimità di determinati tipi di intervento in materia edilizia o paesaggistica. Concetto come tale distinto rispetto ai casi di cd. “condono”, riguardanti procedure amministrative di tipo eccezionale, riconducibili quindi a fattispecie di “sanatoria” in senso lato».
Ciò posto, la Corte ha precisato che «nell’ambito della prima nozione, e con riferimento alla materia edilizia e urbanistica, rileva, con riguardo alle fattispecie di reato, la disposizione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, ai sensi della quale il permesso di costruire rilasciato a seguito di accertamento di conformità estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, ma non i reati paesaggistici previsti dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, che sono soggetti ad una disciplina difforme e differenziata, legittimamente e costituzionalmente distinta, avente oggettività giuridica diversa, rispetto a quella che riguarda l’assetto del territorio sotto il profilo edilizio. […] Proprio il diverso quadro costituzionale e la distinta oggettività giuridica, sottesi alla separata disciplina in materia paesaggistica, spiegano come, diversamente da quanto disposto con il citato art. 36, il rilascio postumo dell’autorizzazione paesistica da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, non determina l’estinzione del reato paesaggistico (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181); ciò in quanto tale effetto non è espressamente previsto da alcuna disposizione legislativa avente carattere generale, atteso altresì il divieto di rilascio postumo dell’autorizzazione paesaggistica fissato dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 146 […]».
«Cosicchè» – si nota – «il nulla osta paesaggistico sopravvenuto, ove adottato, ha solo l’effetto di escludere l’emissione o l’esecuzione dell’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi limitatamente a quello previsto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 2 […]
Costituisce un’eccezione al predetto principio, la disciplina di cui alla L. n. 308 del 2004, art. 1, comma 36, che ha introdotto la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica, limitata tuttavia solo ad alcuni interventi minori; all’esito della stessa, pur restando ferma l’applicazione delle misure amministrative ripristinatorie e pecuniarie di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 167, non si applicano le sanzioni penali stabilite per il reato contravvenzionale contemplato dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1. Si tratta, in particolare:
– dei lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
– dell’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
– dei lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3.
Nei casi anzidetti, la non applicabilità delle sanzioni penali è subordinata – in ogni caso – all’accertamento della compatibilità paesaggistica dell’intervento “secondo le procedure di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quater” […]
Ulteriore eccezione al principio della non sanabilità dell’illecito paesaggistico in via ordinaria è data dalla previsione di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies, ai sensi del quale la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1».
Rileva, dunque, la Corte che «esprimono la rappresentata diversità di disciplina in materia di abusi edilizi e paesaggistici, anche le disposizioni dettate, tra l’altro, in tema di demolizione e/o ripristino dei luoghi. Infatti, da una parte, per gli abusi edilizi il legislatore ha elaborato al riguardo le norme di cui agli artt. 31 (in tema di demolizione di interventi eseguiti “in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”), 33 (“interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità”), 34 (“interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”) e 35 (“interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici”) del D.P.R. n. 380 del 2001, ed alle stesse ha in alcuni casi ricollegato, a fronte dell’omessa demolizione d’iniziativa dell’interessato, conseguente all’ingiunzione demolitoria comunale, anche l’acquisizione del bene al patrimonio dell’ente locale; dall’altra, con riguardo agli abusi paesaggistici, ha nuovamente formulato una distinta regolamentazione».
«In particolare» – si legge – «con il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 167, comma 1 ha previsto, in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza (inerente i “beni paesaggistici”), l’obbligo del trasgressore di procedere alla rimessione in pristino a proprie spese, fatti salvi i casi di sopravvenuto giudizio di compatibilità paesaggistica dell’intervento, secondo quanto previsto al comma 4 del medesimo articolo. Quindi, con riferimento agli illeciti paesaggistici di cui al cit. D.Lgs. n. 42 del 2004 art. 181, ha stabilito al comma 2 che con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato».
La Corte ha, quindi, concluso sottolineando «anche la diversità dei beni giuridici tutelati: mentre in tema di reati edilizi l’interesse protetto è sia quello formale della realizzazione della costruzione nel rispetto del titolo abilitativo sia quello della tutela sostanziale del territorio, il cui sviluppo deve avvenire in conformità alle previsioni urbanistiche […], in tema di illeciti paesaggistici viene tutelato il paesaggio e l’armoniosa articolazione e sviluppo dell’ambiente […]
Quanto sopra esposto consente di evidenziare, già soltanto attraverso gli istituti rilevanti nel caso in esame, la diversità di disciplina dettata in materia di regolamentazione degli abusi edilizi e paesaggistici; da tale considerazione consegue quella, ulteriore, per cui non è dato rinvenire un’automatica e necessaria correlazione – e quindi una reciproca influenza – tra le vicende giuridiche che possono interessare un medesimo intervento abusivo e che operino nei distinti settori della tutela paesaggistica o della disciplina edilizia ed urbanistica».
«In altri termini» – si è detto – «in assenza di specifiche disposizioni normative, l’assetto normativo dettato in materia paesaggistica e in quella edilizia ed urbanistica emerge e si configura tendenzialmente in piena autonomia» (Cassazione penale, sez. III, n. 29979/2019).
[1] La Corte Costituzionale, difatti, con la sentenza n. 56/2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1-bis nella parte in cui prevede «: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed».
[2] https://www.teknoring.com/news/sentenze/abusi-edilizi-su-beni-paesaggistici-reato-paesaggistico/