NOVEMBRE 2023 PDC efficacia e decadenza – attività istruttoria P.A. rilascio titoli – Legittimazione ad impugnare- PDC in deroga

PDC efficacia e decadenza – attività istruttoria P.A. rilascio titoli – Legittimazione ad impugnare- PDC in deroga

 

 

Permesso di costruire: efficacia temporale e decadenza del titolo.

 

In tema di disciplina degli interventi edilizi e dei titoli abilitativi, si intende soffermarsi in particolare sul permesso di costruire, quale unico titolo edilizio rilasciato espressamente dall’Amministrazione su richiesta del cittadino nei termini tassativi di cui all’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001 secondo cui “il termine di inizio lavori non può essere superiore ad un anno del rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non può superare tre anni dall’inizio dei lavori”, decorsi i quali “il permesso di costruire decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga”.

 

Ai fini del decorso del suddetto termine la giurisprudenza ha evidenziato come il permesso di costruire vada considerato alla stregua di un provvedimento amministrativo recettizio che postula l’avvenuta comunicazione ai diretti interessati, non potendosi ritenere sufficiente ai fini della sua esistenza la mera data di emanazione dell’atto: invero,l’art. 21-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, subordina l’efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati alla comunicazione dello stesso al destinatario, atteso che, in assenza della predetta conoscenza, l’atto, seppure validamente costituito, risulterebbe inidoneo a produrre l’effetto giuridico voluto”; seppure il permesso di costruire costituisce un atto ampliativo della sfera giuridica del privato, idoneo a produrre i suoi effetti fin dal momento dell’emanazione, “la suindicata regola deve essere applicata a quelli che sono effetti negativi sanciti nell’ambito del provvedimento ampliativo, come nel caso delle decadenze connesse all’inizio dei lavori assentiti, stante l’illogicità di far decorrere i termini di decadenza dall’adozione di un provvedimento che non è stato portato a conoscenza del destinatario” (Consiglio di Stato sez. VII, 17/04/2023, n. 3823).

 

Di conseguenza, “non può ritenersi che la scadenza dei termini per l’esecuzione dei lavori possa decorrere dalla data di rilascio del titolo, in quanto l’effetto pregiudizievole derivante dalla decadenza conseguente al mancato inizio dei lavori nel termine prescritto dal titolo autorizzatorio, postula l’avvenuta conoscenza del permesso di costruire nei confronti del destinatario, atteso che lo stesso è idoneo a produrre i suoi effetti fin dal momento della sua emanazione soltanto qualora risulti ampliativo della sfera giuridica del richiedente […]  il dies a quo dal quale decorre il termine di ultimazione dei lavori deve essere individuato nella materiale consegna del titolo edilizio, all’esito di una notifica o qualsiasi altra comunicazione che renda l’istante edotto circa l’adozione del titolo autorizzatorio, non potendosi ritenere sufficiente la data di formale adozione del permesso”.

 

In ordine ai caratteri del provvedimento di decadenza, la pronuncia Consiglio di Stato sez. IV, 16/03/2023, n.2757 ha rilevato che “a) in conformità coi principi generali di trasparenza e certezza giuridica ex artt. 1 e 2, l. n. 241 del 1990, è sempre richiesto che l’Amministrazione si pronunci con provvedimenti espressi, sia pure con valenza ricognitiva di effetti discendenti direttamente dalla legge, sicché risulta necessaria l’adozione di un formale provvedimento in relazione all’esercizio del potere attribuito dall’art. 15 t.u.ed.; b) alla luce del tenore testuale delle norme sancite dall’art. 15, commi 2 e 2-bis, del t.u.ed., non può dirsi irrilevante la tardività della istanza di proroga, essendo necessario che essa venga richiesta prima della decorrenza del termine ultimo per la fine dei lavori; c) invero, risponde ad un principio generale dell’ordinamento, la regola secondo cui la proroga del termine per il compimento di una certa attività deve essere richiesta prima della scadenza del termine medesimo, per esigenze di chiarezza, di trasparenza e di pubblicità, a garanzia delle parti e, più in generale, dei terzi; la presentazione della richiesta di proroga è infatti funzionale ad evidenziare la sussistenza e la perduranza dell’interesse del privato alla realizzazione dell’intervento programmato, sia nei rapporti con l’Amministrazione che aveva rilasciato il titolo, sia rispetto ai terzi che, per ragioni di vicinitas, potrebbero avere un qualche interesse ad opporsi all’altrui iniziativa edificatoria”.

 

 

 

 

 

L’attività istruttoria della P.A. nel rilascio dei titoli edilizi.

 

L’art. 11 del D.P.R. n. 380/2001 prevede che il permesso di costruire sia rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, con la precisazione che tale espressione deve intendersi nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria.  Assume rilievo differente l’ipotesi in cui la legittimazione a richiedere l’autorizzazione edilizia si fondi sulla titolarità di un diritto reale rispetto a quella in cui essa attenga una disponibilità del bene a diverso titolo ove “l’Amministrazione è tenuta ad accertare la sussistenza del consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti, non potrà procedere al rilascio del permesso di costruire” (Consiglio di Stato sez. IV, 04/08/2023, n.7537).

 

Ciò comporta, per un verso che chi richiede il titolo autorizzatorio edilizio deve comprovare la propria legittimazione all’istanza, per altro verso, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali etc.) che fondi una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio. Tale verifica, tuttavia, “deve compiersi secondo un criterio di ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza, ma non comporta anche che l’Amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori) la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo” in quanto l’ordinamento non contempla l’attribuzione all’Amministrazione di un potere di accertamento circa la sussistenza o meno di diritti reali e del loro contenuto, la quale, quando viene a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul richiedente il titolo abilitativo, deve compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, ma senza assumere valutazioni di tipo civilistico sulla “pienezza” del titolo di legittimazione addotto dal richiedente.[1]

 

Del resto, il rilascio del titolo edilizio non incide sui rapporti privati in quanto lo stesso articolo 11 al comma 3 precisa che  “il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi”, con la conseguenza che, in sede di rilascio del titolo abilitativo, sussiste “l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, ma soltanto alla condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici” (Consiglio di Stato, sez. VI, 14/02/2022, n. 1054). Invero, il titolo edilizio esplicito è un provvedimento amministrativo che rende semplicemente legittima l’attività edilizia sotto il profilo pubblicistico e regola solo il rapporto in essere tra l’Autorità amministrativa emanante e il soggetto destinatario, ma non attribuisce a questi alcun diritto soggettivo conseguenti all’attività edilizia, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto privato.[2]

 

In definitiva, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza “il potere di controllo in sede di rilascio dei titoli edilizi (al pari di quello esercitato in sede di inibitoria), quindi, deve sempre collegarsi al riscontro di profili d’illegittimità dell’attività per contrasto alle leggi, regolamenti, piani, programmi e regolamenti edilizi, mentre non può essere esercitato a tutela di diritti di terzi non riconducibili a quelli connessi con interessi di natura pubblicistica, quali ad esempio il rispetto delle distanze dai confini di proprietà o del distacco dagli edifici; fatto salvo il caso in cui de plano risulti l’inesistenza di un titolo giuridico che fondi la legittimazione attiva del richiedente il titolo edilizio” (Consiglio di Stato sez. II, 30/01/2023, n.1029).

 

 

Legittimazione ad impugnare i titoli abilitativi: i chiarimenti del Consiglio di Stato.

 

La questione esaminata al precedente paragrafo, assume rilevo anche con riferimento all’individuazione di coloro che possono legittimare impugnare i titoli rilasciati su cui la recente pronuncia Consiglio di Stato sez. IV, 21/04/2023, n.4084 ha riaffermato i principi di diritto con cui l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 22/2021 ha posto fine alla diatriba giurisprudenziale formatasi circa la possibilità di impugnazione da parte del vicino e sulla sufficienza o meno della mera vicinanza per radicare l’interesse al ricorso. Invero, mentre secondo un primo orientamento giurisprudenziale la vicinitas, quale criterio idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, assorbe in sé anche il profilo dell’interesse al ricorso; un secondo indirizzo la vicinitas da sola non basta a fondare anche l’interesse, dovendo ricorrere la prova concreta di un pregiudizio sofferto.

 

Il descritto contrasto giurisprudenziale ha così portato il Supremo Consesso amministrativo a statuire che il criterio della “vicinitas”, quale elemento di individuazione della legittimazione a ricorrere, non vale da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato.  Invero, l’Adunanza Plenaria ha escluso che il terzo interessato all’annullamento dei titoli edilizi ampliativi della sfera giuridica di altri soggetti possa limitarsi a prospettare in giudizio, quale elemento fattuale sufficiente a riconoscere la sua legittimazione e l’interesse ad impugnare i suddetti titoli, la mera “vicinitas” intesa come stabile collegamento con l’area dove si trova il bene oggetto dei provvedimenti in contestazione.

 

Sicché, “nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato”. D’altra parte, è stato rilevato che “ l’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso”, con la precisazione che “l’interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3 cpa e quindi nel contraddittorio tra le parti”.

 

In termini esemplificativi la sentenza afferma che tale pregiudizio può riguardare “il possibile deprezzamento dell’immobile, confinante o comunque contiguo, ovvero nella compromissione dei beni della salute e dell’ambiente in danno di coloro che sono in durevole rapporto con la zona interessata”, oppure “la diminuzione di aria, luce, visuale o panorama, ma può anche concretizzarsi “nella menomazione di valori urbanistici e nelle degradazioni dell’ambiente in conseguenza dell’aumentato carico urbanistico in termini di riduzione dei servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del traffico, trattandosi di un’indagine strettamente legata al tipo di provvedimento contestato e all’entità e alla destinazione dell’immobile edificando o edificato”. Nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte dalle leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, è stato rilevato che “non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo”.

 

Per quanto concerne le tecniche di tutela azionabili da terzi nei confronti della SCIA, l’art.  19, comma 6-ter della legge n. 241/1990 prevede che “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’articolo 31, comma 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104“, ovvero l’azione avverso il silenzio-inadempimento serbato dall’amministrazione.

 

Sul punto, nella pronuncia n. 45/2019 la Corte Costituzionale si è espressa in merito ai termini entro cui effettuare le verifiche a seguito di presentazione di SCIA statuendo che “in caso di presentazione della segnalazione certificata d’inizio attività, le verifiche cui è chiamata l’amministrazione sono quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, legge n. 241/1990, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis) e, poi, entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies)”.[3] Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’Amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo che, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, si estingue.[4]

Fattispecie eccezionali al permesso di costruire: il perimetro applicativo del permesso di costruire in deroga.

 

Il D.P.R. n. 380/2001 contempla l’istituto del permesso di costruire in deroga, quale fattispecie distinta ed autonoma per ratio e disciplina dall’ordinario permesso di costruire, volto a consentire l’autorizzazione interventi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi alle condizioni previste dall’art. 14.

 

Tale norma, nel prevedere che “il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (ora decreto legislativo n. 42 del 2004) e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia” , al comma terzo stabilisce espressamente che “la deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi nonché le destinazioni d’uso ammissibili fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444”.

 

Al fine di potere emanare il permesso di costruire in deroga è ineludibile il passaggio procedimentale della delibera del Consiglio Comunale, il quale è titolare del potere-dovere di operare una valutazione comparativa tra l’interesse pubblico alla pianificazione urbanistica e l’interesse privato ad attuare il proprio interesse edificatorio e, come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga è espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui l’Amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall’evidente travisamento dei fatti.

 

In proposito, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che “la deroga al permesso di costruire non può incidere sulle scelte di tipo urbanistico, potendo operare solo nel caso in cui l’area sia edificabile secondo le previsioni di piano, con la conseguenza che non può ritenersi ammissibile il rilascio di permessi di costruire in deroga, ad esempio, per aree a destinazione agricola o a verde pubblico o privato mancando in tal caso il presupposto dell’edificabilità dell’area necessario non per il rilascio in deroga del permesso di costruire ma per il permesso stesso. Analogamente, si è escluso che la deroga possa riguardare aumenti di volumetria rispetto a quelli oggetto di pianificazione potendo consentire soltanto, a parità di volume edificabile, che l’intervento si concretizzi, ad esempio, con altezza, superficie coperta, destinazione diverse da quelle previste dal PRG”, con la conseguenza che, “al di fuori dei limiti indicati dalla disposizione contenuta nell’art. 14 D.P.R. n. 380/2001, viene a configurarsi un’ipotesi di variante urbanistica la cui approvazione è soggetta alla specifica disciplina” (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. II, 05/01/2023, n.117).

 

Secondo il giudice amministrativo, infatti, l’eventuale sussistenza dei presupposti per il rilascio dei permessi di costruire in deroga costituisce condizione minima necessaria ma non sufficiente per assentire l’intervento richiesto, avendo il Comune, in una situazione diversa dalla sanatoria, un’amplia discrezionalità circa l’an ed il quomodo della presentazione dell’eventuale assenso; deve peraltro rilevarsi come “la disciplina del silenzio-assenso ex art. 20, comma 8, del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 non si applica alle ipotesi di permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 del medesimo d.P.R., in considerazione del percorso procedurale che connota le stesse, in cui si innesta una imprescindibile valutazione ampiamente discrezionale del Consiglio comunale in ordine all’interesse pubblico dell’intervento” (Consiglio di Stato sez. IV, 28/01/2022, n.616).

 

Allo stesso modo, il permesso di costruire in deroga non può essere rilasciato in sanatoria dopo l’esecuzione delle opere in quanto deve necessariamente precedere la realizzazione dell’intervento edilizio e non può indirettamente comportare quale effetto la sanatoria dell’eventuale illecito: invero, “il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è istituto di carattere eccezionale giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primati garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, e mediante la specifica procedura. Ciò porta ad escludere che possa essere rilasciato “in sanatoria” dopo l’esecuzione delle opere e che, anzi, sia esclusa, pertanto, nel vigente ordinamento l’esistenza di poteri di sanatoria in deroga” (Consiglio di Stato sez. VI, 03/08/2020, n.4898).

 

 

[1] Consiglio di Stato sez. IV, 04/08/2023, n.7537.

[2] Consiglio di Stato sez. II, 01/09/2022, n.7648.

[3] Corte Costituzionale, 13/03/2019, n.45.

[4] In relazione alla necessità di tutelare la situazione giuridica soggettiva del terzo è stato rilevato che “nella prospettiva dell’interesse legittimo, il terzo potrà attivare, oltre agli strumenti di tutela già richiamati, i poteri di verifica dell’amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell’art. 21, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (in questo caso «non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge»); potrà sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all’amministrazione, ai sensi dell’art. 21, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, come, ad esempio, quelli in materia di edilizia, regolati dagli artt. 27 e seguenti del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia. (Testo A)», ed espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis. Esso avrà inoltre la possibilità di agire in sede risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica (l’art. 21, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990 fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non fosse conforme alle norme vigenti)”.