Novembre 2023 – Abusi edilizi- difformità – ordinanza di demolizione – abusi in contesti di necessità

Abusi edilizi difformità ordinanza di demolizione abusi in contesti di necessità

 

Abusi edilizi: difformità totale, variazioni essenziali e difformità parziale.

 

L’accertamento di un intervento eseguito in totale difformità piuttosto che in parziale difformità dal titolo edilizio genera delle conseguenze ben diverse dal punto di vista delle sanzioni, e lo spartiacque è determinato dalla cd. “fiscalizzazione dell’abuso” disciplinata dall’art. 34 del D.P.R.  n. 380/2001.

 

Tale norma, recante “interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”, dopo aver previsto al primo comma che “gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese del responsabile dell’abuso […] decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell’abuso”, al secondo comma aggiunge che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.

 

La possibilità di accedere alla cd. “fiscalizzazione” – che non equivale ad una sanatoria edilizia dell’abuso in quanto non integra una regolarizzazione dell’illecito e non autorizza il completamento delle opere realizzate – trova applicazione solo agli abusi meno gravi riferibili all’ipotesi della parziale difformità dal titolo abilitativo, in ragione del minor pregiudizio causato all’interesse urbanistico e, come visto al paragrafo precedente, in caso di annullamento in autotutela del permesso di costruire in ragione della tutela dell’affidamento che il privato ha posto nel titolo edilizio a suo tempo rilasciato.

 

Sul punto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito come “il concetto di parziale difformità presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, come si desume in negativo dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001”, in base al quale “mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali sanzionabili con la demolizione quando i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, si configura invece la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera(Consiglio di Stato sez. VI, 06/07/2022, n.5620).

 

In ogni caso si tratta di una categoria che deve essere individuata per esclusione – facendovi rientrare tutte quelle opere o interventi non riconducibili ai casi di totale difformità, oppure di variazione essenziale[1] – sulla base di un esame complessivo e non parcellizzato delle singole difformità, non potendosi dunque ammettere una qualificazione di ognuna di esse solo parziale dell’immobile assentito rispetto a quello realizzato. [2]   Ad ogni buon conto, va da ultimo evidenziato che “la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall’amministrazione nella fase esecutiva del procedimento, che è successiva ed autonoma rispetto a quella che sfocia nell’ordine di demolizione, per cui è in tale fase esecutiva che la parte interessata può, ricorrendone i presupposti, far valere la situazione di pericolo eventualmente derivante dall’esecuzione della demolizione delle parti abusive di un immobile” (Consiglio di Stato sez. VI, 23/05/2023, n.5090).

 

 

I principi giurisprudenziali in materia di ordinanza di demolizione e gli effetti della relativa inottemperanza.

 

Come abbiamo visto al paragrafo precedente, l’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 accorpa le ipotesi della difformità totale dell’opera realizzata rispetto al progetto assentito e dell’intervento eseguito in assenza di permesso ovvero con variazioni essenziali rispetto a quest’ultimo assoggettandole al medesimo procedimento sanzionatorio che segue l’accertamento dell’abuso. Sicché, la P.A. ingiunge al proprietario ed al responsabile dell’intervento la rimozione del manufatto abusivo e, decorso il termine di novanta giorni dalla notifica del provvedimento di demolizione agli interessi, nel caso di inottemperanza allo stesso, rileva che vi è stata l’acquisizione ex lege al patrimonio comunale del bene come descritto nell’ordinanza di demolizione,[3] a cui si aggiunge l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria. [4]

 

Fermo il quadro normativo di riferimento, deve rilevarsi come l’annoso tema della natura della sanzione demolitoria e degli effetti della relativa inottemperanza è stato di recente affrontato dall’Adunanza Plenaria nell’ampia e articolata sentenza n. 16 del 11/10/2023 che ha puntualizzato prioritariamente che “la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione entro il termine da esso fissato comporta la perduranza di una situazione contra ius e costituisce un illecito amministrativo omissivo propter rem, distinto dal precedente illecito – avente anche rilevanza penale – commesso con la realizzazione delle opere abusive”, con la conseguenza che “la mancata ottemperanza – anche da parte del nudo proprietario – alla ordinanza di demolizione entro il termine previsto dall’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, impone l’emanazione dell’atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale, tranne il caso in cui sia stata formulata l’istanza prevista dall’art. 36 del medesimo d.P.R. o sia stata dedotta e comprovata la non imputabilità dell’inottemperanza”.

 

In proposito, è stato altresì argomentato che l’ordine di demolizione e l’atto di acquisizione al patrimonio comunale costituiscono due distinte sanzioni che rappresentano la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla: va precisato che “la sanzione disposta con l’ordinanza di demolizione ha natura riparatoria ed ha per oggetto le opere abusive, per cui l’individuazione del suo destinatario comporta l’accertamento di chi sia obbligato propter rem a demolire e prescinde da qualsiasi valutazione sulla imputabilità e sullo stato soggettivo (dolo, colpa) del titolare del bene”; mentre “l’acquisizione gratuita, quale conseguenza dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e della relativa omissione, ha natura afflittiva (così come la correlata sanzione pecuniaria)” e deve esservi l’imputabilità dell’illecito omissivo della mancata ottemperanza.

 

Ciò posto, “l’atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale, emesso ai sensi dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha natura dichiarativa e comporta – in base alle regole dell’obbligo propter rem – l’acquisto ipso iure del bene identificato nell’ordinanza di demolizione alla scadenza del termine di 90 giorni fissato con l’ordinanza di demolizione. Qualora per la prima volta sia con esso identificata l’area ulteriore acquisita, in aggiunta al manufatto abusivo, l’ordinanza ha natura parzialmente costitutiva in relazione solo a quest’ultima (comportando una fattispecie a formazione progressiva”.

 

Con l’ulteriore corollario che “l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione comporta la novazione oggettiva dell’obbligo del responsabile o del suo avente causa di ripristinare la legalità violata, poiché, a seguito dell’acquisto del bene da parte dell’Amministrazione, egli non può più demolire il manufatto abusivo e deve rimborsare all’Amministrazione le spese da essa sostenute per effettuare la demolizione d’ufficio, salva la possibilità che essa consenta anche in seguito che la demolizione venga posta in essere dal privato”. Infatti, al di fuori del caso eccezionale in cui l’Amministrazione ritenga di evitare la demolizione deliberando ai sensi dell’art. 31, comma 5 del D.P.R. n. 380/2001 per il mantenimento in essere dell’immobile abusivo – giustificato dalla presenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrologico – l’esito finale ordinario dell’abuso edilizio è costituito dalla demolizione del manufatto abusivo, la cui inottemperanza comporta un secondo illecito di natura omissiva a cui consegue la perdita del diritto di proprietà.[5]

 

Inoltre, poiché il responsabile dell’illecito ha cagionato un vulnus al paesaggio, all’ambiente ed all’ordinario assetto del territorio, in contraddizione con la funzione sociale della proprietà, il legislatore con la riforma del 2014 ha inteso sanzionarlo – oltre con la perdita della proprietà – anche con una sanzione pecuniaria ai sensi del richiamato articolo 31, comma 4-bis del D.P.R. n. 380/2001. Tuttavia, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – in ossequio ai principi di irretroattività, di certezza dei rapporti giuridici nonché ai principi di tipicità e di coerenza –  ha statuito che “la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001 non può essere irrogata nei confronti di chi – prima dell’entrata in vigore della l. n. 164 del 2014 – abbia già fatto decorrere inutilmente il termine di 90 giorni e sia risultato inottemperante all’ordine di demolizione, pur se tale inottemperanza sia stata accertata dopo la sua entrata in vigore”.

 

La valutazione degli abusi edilizi maturati in contesti di “necessità”.

 

Posto quanto sin ora rappresentato in ordine alla natura della sanzione demolitoria, occorre dare atto di un’ulteriore tematica afferente i limiti all’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo costituente l’unica abitazione familiare e sulla corretta applicazione del “principio di proporzionalità” così come interpretato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale si è pronunciata in più occasioni contro l’assolutezza del potere delle Amministrazioni di ordinare la demolizione di costruzioni abusive evidenziando l’importanza, per un individuo, di disporre di un luogo sicuro in cui vivere, la gravità della perdita della casa intesa quale “forma più estrema di interferenza con il diritto al rispetto della casa stessa, inteso sia come diritto di proprietà che come diritto di abitazione”, e la necessità di verificare la proporzionalità della demolizione rispetto al caso singolo, anche in relazione alla possibilità di perseguire soluzioni alternative alla demolizione.[6]

 

In questo contesto, merita particolare attenzione la recente pronuncia Consiglio di Stato sez. VI, 09/06/2023, n. 5705 che, in linea con la giurisprudenza consolidata, afferma che il diritto all’abitazione non ha portata assoluta, tale da rendere illegittimi gli ordini di demolizione degli abusi ogni qualvolta l’immobile sia adibito a casa familiare e non risulti che i proprietari dispongono di un ulteriore immobile da destinare a residenza. L’ordine di demolizione, infatti, è espressione del diritto della collettività a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato dall’abuso, che ben può prevalere sul diritto all’abitazione dei singoli che hanno edificato in violazione degli strumenti urbanistici ed in assenza di un idoneo titolo abilitativo.[7]

 

Sotto tale aspetto, è stato riaffermato che l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 CEDU, posto che, “non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto assoluto ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio”; ed inoltre “l’emergenza abitativa non può essere invocata per paralizzare la demolizione di un immobile abusivo, stante l’inammissibilità di condoni atipici ed extra-ordinem (ferma restando la possibilità per gli indigenti di sollecitare gli ausili eventualmente messi a disposizione dalle autorità amministrative competenti)”.

 

Del resto, si è osservato che la stessa Corte E.D.U. ha di recente affermato che “deve escludersi la violazione del diritto all’abitazione tutelato dall’art. 8 Cedu nell’ipotesi in cui l’ordine di demolizione dell’abuso edilizio riguardi un immobile costituente l’unica abitazione del contravventore e quest’ultimo sia un soggetto in età avanzata e si trovi in precarie condizioni reddituali, qualora la situazione personale del destinatario dell’ordine demolitorio non assuma un peso determinante a fronte della consapevole realizzazione della costruzione edilizia in un’area vincolata paesaggisticamente, in assenza di qualsivoglia autorizzazione” (Corte europea diritti dell’uomo, sez. II, 04/08/2020, n. 44817); in ossequio a quanto statuito dalla Corte E.D.U., anche la Corte di Cassazione si è espressa nel senso che il principio di proporzionalità nell’applicazione dell’ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, adottato da una Pubblica Autorità al fine di contrastare la realizzazione di opere senza permesso di costruire, opera esclusivamente in relazione all’immobile destinato ad abituale abitazione di una persona, ed implica, principalmente, garanzie di tipo “procedurale”.

 

Sulla scorta di tali considerazioni, secondo l’elenco esemplificativo indicato dai giudici di Strasburgo ai fini della proporzionalità della misura si deve valutare: “la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilità di un tempo sufficiente per “legalizzare” la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un’altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l’esigenza di evitare l’esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante è stato attribuito alla consapevolezza della illegalità della costruzione da parte degli interessati al momento dell’edificazione ed alla natura ed al grado della illegalità realizzata”.[8]

 

[1] Si ricorda che le “variazioni essenziali” al permesso di costruire – che sono da tenere distinte dalle cd. “varianti leggere o minori” e dalle cd. “varianti in senso proprio” – costituiscono una tipologia intermedia tra la difformità totale e quella parziale disciplinata dall’art. 32 del D.P.R. n. 380/2001 e “sono caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall’art. 32 del d. P.R. n. 380 del 2001, sono soggette al rilascio di permesso di costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto a quello originario e per il quale valgono le disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante” (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 07/04/2023, n.3596

[2] Consiglio di Stato, sez. VI, 6432/2020.

[3] Nel dettaglio l’art. 31, comma 2 dispone che “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”, il quale prevede che “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”; ai sensi del comma 4 “l’accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente”.

[4] La legge n. 164/2014 ha integrato l’art. 31 con il comma 4-bis secondo cui “L’autorità competente, constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”.

[5] L’’art. 31, comma 5 dispone che “l’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico”.

[6] sentenze: Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria; Corte EDU, 04/08/ 2020, Kaminskas c. Lituania; Corte EDU, 23 /03/2021, Ghailan e altri c. Spagna.

[7] Nella pronuncia de qua i giudici di Palazzo Spada hanno escluso in radice la violazione dell’art. 8 CEDU sulla base della circostanza della realizzazione dell’immobile in assenza di alcun titolo abilitativo, posto che il diritto all’abitazione deve coniugarsi con l’esigenza di rispetto della legalità e in nessun caso può essere invocato a fronte di una condotta consapevolmente contrastante con le norme edilizie.

[8] Consiglio di Stato sez. VI, 09/06/2023, n. 5705.