Le nuove tecniche di pianificazione urbanistica basate sull’utilizzo e sulla circolazione dei diritti edificatori
Passando all’esame delle nuove tecniche di pianificazione urbanistica basate sulla circolazione e sull’utilizzo dei diritti edificatori – in chiave compensativa, perequativa ed incentivante – nell’ambito delle nuove tecniche di pianificazione urbanistica, giova ricordare un’importante decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[1], che, al fine di pronunciarsi in ordine ad una questione tributaria, ha ritenuto necessario procedere ad una previa ricognizione dei modelli urbanistici, collocando, ove possibile, i diritti edificatori nell’ambito delle categorie civilistiche di riferimento, col supporto degli istituti di diritto amministrativo[2].
Tale rilevante pronuncia – resa nel 2020 – ha evidenziato, difatti, come i diritti edificatori siano stati oggetto di progressiva diffusione nelle procedure e nelle prassi di pianificazione urbanistica a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, ponendosi quali strumenti di superamento della metodica della cd. «zonizzazione», la quale, pur costituendo anch’essa una tappa evolutiva di modernizzazione e razionalizzazione della pianificazione urbanistica – essendo associata al regime degli standards edilizi di cui all’articolo 17 della L. n. 765/1967 (cd. «Legge Ponte», modificativa della legge urbanistica fondamentale del 1942) e consistendo nella suddivisione del territorio comunale in varie zone di qualificazione, intervento e destinazione d’uso – ha evidenziato determinati limiti, rappresentati tanto «dalla disparità di trattamento riservata ai proprietari di fondi del tutto omogenei a seconda della casualità della loro ubicazione», quanto «dai costi e dai tempi gravanti sugli enti pubblici attuatori per l’acquisizione espropriativa di determinate aree e la loro trasformazione a destinazione pubblica».
Orbene, proprio al fine di superare detti limiti, si è fatta strada la «cd. urbanistica consensuale e postvincolistica», a sua volta espressione della più ampia nozione definita di amministrazione per accordi, la quale ha inteso evitarli o attenuarli «proprio attraverso il riconoscimento ai proprietari chiamati a concorrere alla pianificazione generale di una posizione giuridica qualificata a fronte della cessione pattizia dei suoli, ovvero della imposizione su di essi di restrizioni o anche di vincoli assoluti di inedificabilità»[3].
La sentenza richiamata ha precisato come sia proprio «l’insieme indistinto di queste posizioni giuridiche qualificate» ad essere indicato riassuntivamente con il sintagma «diritti edificatori»: viene specificato – così come ribadito anche da una successiva pronuncia a Sezioni Unite del 2021[4] – che tali diritti edificatori «non negano, ma anzi presuppongono – consentendone variamente l’esercizio delocalizzato – che lo jus aedificandi costituisca una naturale estrinsecazione del diritto di proprietà del suolo, sebbene sottoposto alle condizioni conformative e di utilità sociale previste dalla legge e dagli strumenti urbanistici» e viene individuato, quale «comune denominatore» degli stessi, oltre agli obiettivi di politica generale di governo del territorio, la loro «riconosciuta scorporabilità dal terreno che li ha originati» e la loro conseguente «autonoma cedibilità negoziale» – oggi cristallizzata dall’articolo 2643, n. 2-bis del codice civile – per tale intendendosi la possibilità «del loro trasferimento oneroso tra privati indipendentemente dal trasferimento del terreno. E questa autonomia, in assenza di previsioni normative ostative, viene talora concepita ed attuata in termini estremamente ampi, perché estesi fino alla possibilità di cartolarizzazione del diritto edificatorio (con circolazione assimilabile a quella dei titoli di credito), ovvero anche di sua dematerializzazione (con circolazione attestata dalle annotazioni sui “registri dei diritti edificatori” tenuti dai Comuni così come previsto da talune leggi regionali)».
Con riferimento alla fonte normativa della disciplina dei diritti edificatori, nella sentenza in esame viene evidenziato che essi trovano una regolamentazione estremamente variegata, sul piano strettamente urbanistico, nella legislazione regionale ed in alcuni casi sono previsti direttamente dagli strumenti regolatori generali, senza neppure una specifica copertura da parte della legge regionale[5]: le Sezioni Unite hanno rilevato che «la disciplina di fonte regionale, limitata al governo del territorio ed alle relative prescrizioni conformative, non potrebbe in alcun modo spingersi a riempire di contenuto civilistico o dominicale gli istituti in questione, così da sovrapporsi alla potestà legislativa esclusiva ed unitaria dello Stato in materia di ordinamento civile e di diritto di proprietà; ciò secondo quanto dettato dall’art. 117 Cost., come più volte inteso dal giudice delle leggi, nel senso che la limitazione conformativa del diritto di proprietà volta ad assicurarne la funzione sociale ben può essere esercitata, nelle materie di competenza, dalla legge regionale, ferma però restando la preclusione per il legislatore regionale di interferire sulla disciplina dei diritti soggettivi per quanto riguarda “i profili civilistici dei rapporti da cui derivano, cioè i modi di acquisto e di estinzione, i modi di accertamento, le regole sull’adempimento delle obbligazioni e sulla responsabilità per inadempimento, la disciplina della responsabilità extracontrattuale, i limiti dei diritti di proprietà connessi ai rapporti di vicinato, e via esemplificando” (C.Cost. sent. n. 391/89 ed altre)».
Nel perimetro delle tecniche di pianificazione de quibus rientra l’urbanistica perequativa, in relazione alla quale, come spiega la sentenza richiamata, «si ha distribuzione paritetica e proporzionale, tra tutti i proprietari di un determinato ambito territoriale o lotto, tanto del vantaggio costituito dalla edificabilità, quanto dell’onere di contribuzione ai costi di riqualificazione»: il meccanismo perequativo prevede, in particolare, che a tutti i suoli dell’ambito territoriale di intervento venga riconosciuto un valore edificatorio costante, indipendentemente dalla effettiva e specifica collocazione, all’interno di esso, dei fabbricati assentiti; alla luce dell’effetto distributivo-perequativo che viene a realizzarsi, pertanto, tale collocazione risulta dunque indifferente per i singoli proprietari, i cui terreni sono in ogni caso destinatari di una quota uguale di edificabilità.
In particolare tale meccanismo «consiste nell’assegnare all’insieme delle aree che costituiscono un comparto, pur se con diverse destinazioni pubbliche e private, un indice perequativo, inferiore all’indice fondiario attribuito alle aree destinate all’edificazione. Nella sostanza il privato non subisce un vincolo e non è gravato dall’obbligo di soggiacere all’esproprio, ma sarà titolare dell’onere previsto dal piano perequativo il cui assolvimento gli permetterà di partecipare ai vantaggi del piano stesso».
Accanto a tale tipologia di perequazione cd. «ristretta» – così denominata poiché limitata ad un ambito territoriale omogeneo e composto di terreni contigui, la quale trova radice nell’istituto del comparto edilizio[6] – si rinviene altresì, nelle esperienze delle legislazioni regionali, una tecnica di perequazione cd. «estesa», «in forza della quale l’effetto distributivo, sia della edificabilità sia degli oneri di trasformazione, può coinvolgere anche ambiti territoriali non contigui (dunque non di comparto in senso stretto), eventualmente riferiti all’intero territorio comunale (o anche, come pure talvolta previsto, intercomunale) interessato dalla trasformazione stessa».
Le Sezioni Unite hanno evidenziato, inoltre, che «i diritti edificatori provenienti da interventi perequativi sono assegnati direttamente dal piano urbanistico e sono negoziabili a seguito dell’approvazione di quest’ultimo, ferma restando la possibilità della PA di procedere ad una successiva revisione del potere di pianificazione».
Un’ulteriore modalità di utilizzo dei diritti edificatori nell’ambito delle tecniche di pianificazione è rappresentata dalla compensazione urbanistica: in tal caso la pubblica amministrazione «attribuisce al proprietario un indice di capacità edificatoria (credito edilizio o volumetrico) fruibile su altra area di proprietà pubblica o privata, non necessariamente contigua e di anche successiva individuazione; ciò a fronte della cessione gratuita dell’area oggetto di trasformazione pubblica, ovvero di imposizione su di essa di un vincolo assoluto di inedificabilità o preordinato all’esproprio». La compensazione urbanistica «può fungere da strumento della pianificazione generale tradizionale (compensazione infrastrutturale), ovvero dipendere dall’esigenza di tenere indenne un proprietario al quale venga imposto un vincolo di facere o non facere per ragioni ambientali-paesaggistiche (compensazione ambientale)».
Preme sottolineare che in caso di compensazione urbanistica, il diritto edificatorio che ne origina viene però assegnato (diventando, dunque, trasferibile, tra privati) solo all’esito della cessione dell’area o dell’imposizione del vincolo: è fondamentale segnalare che l’operatività della fattispecie in commento presuppone un iter perfezionativo suddiviso in tre momenti, rappresentati metaforicamente come fase (o area) di «decollo», costituita dall’assegnazione del titolo volumetrico indennitario al proprietario che ha subito il vincolo; fase (o area) di «atterraggio», data dalla individuazione ed assegnazione del terreno sul quale il diritto edificatorio può essere concretamente esercitato e fase (o area) di «volo», che si ha nell’arco temporale in cui non pur non essendo stata ancora individuata l’area di atterraggio, il diritto edificatorio «è suscettibile di circolare da sé».
Vengono così a delinearsi le differenze tra perequazione e compensazione: in particolar modo occorre porre l’accento sulla diversità di funzioni a cui tali tecniche sono preposte, atteso che la compensazione ha finalità «corrispettiva o indennitaria di un’edificabilità soppressa»; inoltre, «mentre il diritto edificatorio di origine perequativa viene riconosciuto al proprietario del fondo come una qualità intrinseca del suolo (che partecipa fin dall’inizio di un indice di edificabilità suo proprio, così come prestabilito e “spalmato” all’interno di un determinato ambito territoriale di trasformazione), il diritto edificatorio di origine compensativa deriva dall’adempimento di un rapporto sinallagmatico in senso lato, avente ad oggetto un terreno urbanisticamente non edificabile, ristorato con l’assegnazione al proprietario di un quid volumetrico da spendere su altra area[7]».
Orbene, come accennato, l’urbanistica compensativa, perequativa e premiale ha trovato diffusione – ed è stata variamente declinata – se non direttamente negli strumenti di pianificazione comunale, soprattutto nell’ambito della normativa regionale: la Regione Lombardia ha introdotto varie disposizioni, rinvenibili nella legge per il governo del territorio, al fine di disciplinare compiutamente l’utilizzo delle tecniche de quibus.
L’articolo 11 rappresenta, all’interno della legge regionale lombarda per il governo del territorio, la norma cardine in riferimento all’operare delle tecniche di pianificazione finora esaminate basate sull’utilizzo e sulla circolazione dei diritti edificatori: oggetto della disposizione sono infatti – come indicato dalla stessa rubrica – i meccanismi di «compensazione, perequazione ed incentivazione urbanistica».
I commi da 1 a 2-ter dell’articolo in commento sono incentrati sulla perequazione: il primo comma configura, invero, una forma di perequazione cd. «ristretta», stabilendo che «sulla base dei criteri definiti dal documento di piano, i piani attuativi e gli atti di programmazione negoziata con valenza territoriale possono ripartire tra tutti i proprietari degli immobili interessati dagli interventi i diritti edificatori e gli oneri derivanti dalla dotazione di aree per opere di urbanizzazione mediante l’attribuzione di un identico indice di edificabilità territoriale, confermate le volumetrie degli edifici esistenti, se mantenuti. Ai fini della realizzazione della volumetria complessiva derivante dall’indice di edificabilità attribuito, i predetti piani ed atti di programmazione individuano gli eventuali edifici esistenti, le aree ove è concentrata l’edificazione e le aree da cedersi gratuitamente al comune o da asservirsi, per la realizzazione di servizi ed infrastrutture, nonché per le compensazioni urbanistiche in permuta con aree di cui al comma 3».
Il secondo comma della disposizione in commento disciplina una forma di perequazione cd. «estesa», in quanto riferita all’intero territorio comunale: si prevede che «sulla base dei criteri di cui al comma 1, nel piano delle regole i comuni, a fini di perequazione urbanistica, possono attribuire a tutte le aree del territorio comunale, ad eccezione delle aree destinate all’agricoltura e di quelle non soggette a trasformazione urbanistica, un identico indice di edificabilità territoriale, inferiore a quello minimo fondiario, differenziato per parti del territorio comunale, disciplinandone altresì il rapporto con la volumetria degli edifici esistenti, in relazione ai vari tipi di intervento previsti. In caso di avvalimento di tale facoltà, nel piano delle regole è inoltre regolamentata la cessione gratuita al comune delle aree destinate nel piano stesso alla realizzazione di opere di urbanizzazione, ovvero di servizi ed attrezzature pubbliche o di interesse pubblico o generale, da effettuarsi all’atto della utilizzazione dei diritti edificatori, così come determinati in applicazione di detto criterio perequativo».
Inoltre, il comma 2 bis stabilisce che i Comuni possono determinare nel documento di piano i criteri uniformi di applicazione della perequazione urbanistica di cui al comma secondo in aree di trasformazione concordemente individuate nel territorio di uno o più di essi: in tal caso, le aree cedute alla rispettiva amministrazione comunale a seguito della utilizzazione dei diritti edificatori sono utilizzate per la realizzazione di servizi pubblici o di interesse pubblico o generale, di carattere sovracomunale, consensualmente previsti nel piano dei servizi del comune stesso. Il medesimo comma prevede altresì che «nel territorio della provincia di Sondrio i criteri di applicazione della perequazione urbanistica di cui ai commi 1 e 2 possono essere determinati, con caratteri ed effetti sovracomunali o coordinati tra diversi comuni, dalla Provincia, d’intesa coi comuni, all’interno del PTCP. Sempre presso la Provincia, d’intesa con i comuni, possono essere istituiti fondi, dotazioni o incentivi previsti in materia urbanistica ed edilizia per finalità di riduzione del consumo di suolo, di perequazione o in genere per tutte quelle finalità di ricomposizione che possono essere meglio assolte in via coordinata tra gli enti locali del territorio provinciale mediante l’attribuzione su base consensuale delle funzioni gestionali alla stessa Provincia».
Da ultimo occorre soffermarsi sulla disposizione, di recente introduzione, di cui al comma 2-ter, che allarga ulteriormente il meccanismo perequativo, stabilendo che i Comuni, anche in accordo con altri enti territoriali, possono prevedere, in relazione alle specifiche competenze e nel rispetto dei vincoli di destinazione previsti dalla normativa vigente, «forme di perequazione territoriale intercomunale», anche attraverso la costituzione di un fondo finanziato con risorse proprie o con quote degli oneri di urbanizzazione e altre risorse conseguenti alla realizzazione degli interventi concordati. «A tal fine definiscono, d’intesa tra loro, le attività, le modalità di finanziamento e ogni altro adempimento che ciascun ente partecipante si impegna a realizzare, con l’indicazione dei relativi tempi e delle modalità di coordinamento. Il Piano territoriale metropolitano (PTM) determina i casi nei quali la gestione unitaria del fondo è affidata alla Città metropolitana di Milano al fine di sviluppare progetti e attuare interventi di rilevanza sovracomunale». Giova rammentare che la forma perequativa intercomunale in discorso si realizza efficacemente attraverso i piani associati, secondo quanto previsto dal comma 3-bis dell’articolo 7 della L.R. 12/2005[8].
Al terzo comma dell’articolo 11 viene disciplinata la compensazione, stabilendosi che «[…] alle aree destinate alla realizzazione di interventi di interesse pubblico o generale, non disciplinate da piani e da atti di programmazione, possono essere attribuiti, a compensazione della loro cessione gratuita al comune, aree in permuta o diritti edificatori trasferibili su aree edificabili previste dagli atti di PGT anche non soggette a piano attuativo. In alternativa a tale attribuzione di diritti edificatori, sulla base delle indicazioni del piano dei servizi il proprietario può realizzare direttamente gli interventi di interesse pubblico o generale, mediante accreditamento o stipulazione di convenzione con il comune per la gestione del servizio[9]»: in linea con quanto sin qui esplicato, si prevede pertanto la possibilità di attribuire diritti edificatori – trasferibili su aree edificabili previste dal P.G.T. – a fronte della cessione gratuita al Comune delle aree destinate a realizzare interventi di interesse pubblico o generale. Preme evidenziare come tale meccanismo compensativo, così come quello perequativo, non è configurato come obbligatorio dal legislatore regionale, essendo contemplate dalla norma in parola ulteriori alternative.
Il comma quarto della disposizione de qua affronta il tema della commerciabilità dei diritti edificatori, disciplinando il relativo registro comunale.
La formulazione odierna del comma de quo è quella risultante dalle modifiche apportate dalla L.R. n. 18 del 2019: la disposizione attualmente prevede in primo luogo che «i diritti edificatori attribuiti a titolo di perequazione e di compensazione, nonché, per i comuni sopra i 5.000 abitanti, quelli attribuiti ai sensi del comma 5[10], sono commerciabili e vengono collocati privilegiando gli ambiti di rigenerazione urbana», di cui all’articolo 8 della L.R. n. 12/2005, lettera e-quinquies) ed in secondo luogo stabilisce che «i comuni istituiscono il registro delle cessioni dei diritti edificatori, aggiornato e reso pubblico secondo modalità stabilite dagli stessi comuni».
Si prevede altresì che la Città metropolitana di Milano e le province possano istituire i rispettivi registri delle cessioni dei diritti edificatori per l’applicazione della perequazione con caratteri ed effetti sovracomunali di cui al comma 2-bis, provvedendo al loro aggiornamento e pubblicità, nonché alla definizione di criteri omogenei per l’aggiornamento e la pubblicità dei registri comunali.
Da ultimo, con il comma in esame si introduce un’ulteriore ipotesi di utilizzo dei meccanismi finora analizzati, in quanto viene disposto che «i comuni, le province e la Città metropolitana di Milano individuano nei propri strumenti di pianificazione le aree destinate alla creazione di parchi anche sovracomunali. Al fine di favorirne la realizzazione, i comuni possono attribuire a tali aree un incremento massimo del 20 per cento degli indici di edificabilità, da perequare entro tre anni dall’individuazione delle aree nel PGT, prioritariamente negli ambiti di rigenerazione urbana. Tali diritti edificatori acquisiscono efficacia, previo inserimento nel registro comunale istituito ai sensi dell’articolo 11, comma 4, ad avvenuta cessione delle aree».
Nei commi da 5 a 5-octies viene in rilievo una importante ipotesi di premialità urbanistica, introdotta ad opera della cd. «Legge sulla rigenerazione» del 2019.
Il comma 5, in particolare, è stato oggetto di diversi interventi normativi che ne hanno modificato la formulazione originaria, con la quale si era stabilito che il documento di piano potesse prevedere, a fronte di rilevanti benefici pubblici, una disciplina di incentivazione in misura non superiore al 15 per cento della volumetria ammessa per interventi ricompresi in piani attuativi finalizzati alla riqualificazione urbana ovvero alla promozione dell’edilizia bioclimatica e del risparmio energetico: tale disciplina di incentivazione consisteva «nell’attribuzione di indici differenziati determinati in funzione degli obiettivi di cui sopra».
Orbene, tale disposizione – come detto già interessata da alcune modifiche normative – è stata da ultimo sostituita dall’articolo 3, comma 1, lettera p) della richiamata L.R. n. 18 del 2019 ed allo stato attuale prevede che «per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente l’indice di edificabilità massimo previsto dal PGT è incrementato fino al 20 per cento, sulla base di criteri definiti dalla Giunta regionale che attribuisce ai comuni la facoltà di modulare tale incremento, in coerenza con i criteri previsti ai sensi dell’articolo 43, comma 2 quinquies, ove perseguano una o più delle finalità di seguito elencate:
- a) realizzazione di servizi abitativi pubblici e sociali, ai sensi della legge regionale 8 luglio 2016, n. 16 (Disciplina regionale dei servizi abitativi);
- b) aumento della sicurezza delle costruzioni relativamente al rischio sismico e riduzione della vulnerabilità rispetto alle esondazioni;
- c) demolizione o delocalizzazione di edifici in aree a rischio idraulico e idrogeologico, anche comportanti la riqualificazione degli ambiti fluviali;
- d) rispetto del principio di invarianza idraulica e idrologica, gestione sostenibile delle acque meteoriche, risparmio idrico, conseguimento del drenaggio urbano sostenibile;
- e) riqualificazione ambientale e paesaggistica, utilizzo di coperture a verde, interconnessione tra verde e costruito per la realizzazione di un ecosistema urbano sostenibile, anche in attuazione della Rete Verde e della Rete Ecologica;
- f) [11];
- g) demolizione di opere edilizie incongrue, identificate nel PGT ai sensi dell’articolo 4, comma 9, della l.r. 31/2014;
- h) realizzazione di interventi destinati alla mobilità collettiva, all’interscambio modale, alla ciclabilità e alle relative opere di accessibilità, nonché di riqualificazione della rete infrastrutturale per la mobilità;
- i) conferimento di rifiuti, derivanti da demolizione selettiva, a impianti di recupero e utilizzo di materiali derivanti da operazioni di recupero di rifiuti
- j) bonifica degli edifici e dei suoli contaminati, fatta salva la possibilità di avvalersi, in alternativa e ove ne ricorrano le condizioni, degli incentivi di cui all’articolo 21, comma 5, e all’articolo 21 bis, comma 2, della l.r. 26/2003, nel caso in cui gli interventi di decontaminazione vengano effettuati dal soggetto non responsabile della contaminazione;
- k) interventi di chiusura di vani aperti finalizzati alla riduzione del fabbisogno energetico dell’edificio;
- l) applicazione di sistemi integrati di sicurezza e di processi di gestione dei rischi dei cantieri, basati sulla tracciabilità e sulle attività di controllo, con particolare attenzione al movimento terra e alla tracciabilità dei rifiuti, che si basino su tecnologie avanzate, utilizzando strumenti come la geolocalizzazione, la videosorveglianza e la protezione perimetrale, al fine di prevenire il rischio di reato nel corso di tutte le fasi dei cantieri relativi agli interventi finalizzati alla rigenerazione urbana;
- m) eliminazione delle barriere architettoniche».
Il comma 5.1 – inserito ad opera della L.R. n. 13/2020 – in ordine ai criteri relativi all’incremento dell’indice di edificabilità massimo stabilisce che, con riferimento agli interventi sul patrimonio edilizio esistente che perseguono le finalità di cui alla lettera e) del comma 5, detti criteri siano «definiti dalla Giunta regionale di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, a tutela del rispetto della disciplina a salvaguardia dei beni paesaggistici e culturali».
Si segnala che i criteri de quibus sono stati definiti dalla Giunta Regionale con la D.G.R. n. XI/3508/2020, con la quale, in ordine alle modalità di utilizzo dei diritti edificatori ex comma 5 dell’articolo 11, si è specificato che l’incremento dell’indice di edificabilità fino al 20 per cento previsto dalla disposizione in commento «è riferito all’indice massimo del PGT. Pertanto, laddove il PGT regolamenti, per l’area su cui insiste l’edificio oggetto di intervento, sia l’Indice Territoriale IT, sia l’Indice Fondiario IF, l’incremento sarà riferibile all’indice che produce la massima edificabilità sull’area stessa». È stato stabilito, inoltre, che la capacità edificatoria derivante da detto incremento potrà essere utilizzata «per l’ampliamento dell’edificio oggetto di riqualificazione o, laddove possibile, anche per la realizzazione di nuovi edifici all’interno della stessa area pertinenziale (ad esempio a seguito di demolizione con ricostruzione degli edifici esistenti) fatto salvo il rispetto dell’indice di permeabilità dei suoli previsto dal PGT o da normative più restrittive di settore», specificando che, nei Comuni sopra i 5.000 abitanti, è anche possibile, in alternativa, «la commercializzazione dei diritti edificatori generati dall’incremento dell’indice massimo di PGT, a valle della loro iscrizione nel registro dei diritti edificatori di cui al comma 4 art.11 della l.r. 12/05».
Il comma 5-bis prevede la non cumulabilità degli incentivi volumetrici previsti al comma quinto con altri eventualmente definiti dal P.G.T. per i medesimi interventi, mentre il seguente comma 5-ter consente la realizzazione degli interventi de quibus «anche in deroga all’altezza massima prevista nei PGT, nel limite del 20 per cento, nonché alle norme quantitative, morfologiche, sulle tipologie di intervento, sulle distanze previste dagli strumenti urbanistici comunali vigenti e adottati e ai regolamenti edilizi, fatte salve le norme statali e quelle sui requisiti igienico-sanitari», stabilendo altresì che i Comuni possano escludere aree o singoli immobili dall’applicazione di tutte o alcune delle disposizioni derogatorie previste dal comma in esame, con motivata deliberazione del Consiglio comunale in relazione a specifiche esigenze di tutela paesaggistica; inoltre il comma 5-quater prevede che i Comuni, sempre con deliberazione del Consiglio comunale, possano escludere aree o singoli immobili dall’applicazione del comma 5 «nei casi non coerenti con le finalità di rigenerazione urbana» ed il comma 5-quinquies esclude dai benefici di cui al comma quinto gli interventi riguardanti le grandi strutture di vendita.
Un’ulteriore norma derogatoria è contenuta nel comma 5-sexies, a mente del quale i volumi necessari per consentire la realizzazione degli interventi edilizi e l’installazione degli impianti finalizzati all’efficientamento energetico, al benessere abitativo, o anche all’aumento della sicurezza delle costruzioni relativamente al rischio sismico sul patrimonio edilizio esistente, «non sono computati ai fini del calcolo delle altezze minime dei locali previste dai regolamenti comunali, ferme restando le vigenti previsioni igienico-sanitarie poste a tutela della salubrità e sicurezza degli ambienti; in alternativa, per le medesime finalità, è consentita la deroga all’altezza massima prevista nei PGT, nel limite del 10 per cento».
Il comma 5-septies dispone che qualora gli interventi di cui ai commi 5, 5-ter e 5-sexies siano in contrasto con disposizioni contenute in piani territoriali di enti sovracomunali, «l’efficacia del titolo abilitativo è subordinata all’assunzione di una deliberazione derogatoria del piano territoriale da parte dell’organo dell’ente sovracomunale competente alla sua approvazione, fatto salvo quanto previsto al comma 5 octies»: quest’ultima disposizione stabilisce che, nel caso in cui gli interventi citati siano in contrasto con «disposizioni contenute nei piani territoriali di coordinamento dei parchi regionali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), della l.r. 86/1983, la deliberazione derogatoria di cui al comma 5 septies è approvata dall’ente gestore del parco regionale interessato, che ne dà informazione alla Regione».
[1] Cassazione civile, sez. un., n. 23902/2020.
[2] «Natura giuridica e regime impositivo dei diritti edificatori in tema di “compensazione urbanistica”: profili di diritto civile, amministrativo e tributario (a margine di Cass., ord. 15 ottobre 2019, n. 26016)», REPORT a cura del dott. Aldo Natalini, magistrato addetto all’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione.
[3] Cassazione civile sez. un., 29/10/2020, n. 23902, cit.
[4] Cassazione civile, sez. un., 09/06/2021, n. 16080.
[5] Così come accade nella fattispecie oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite in commento, «caratterizzata da una compensazione urbanistica introdotta nel Piano Regolatore Generale del Comune di Roma (adottato nel 2003 ed approvato con Delib. Consiliare 12 febbraio 2008, n. 18), a sua volta inscrivibile tra i procedimenti di perequazione urbanistica di natura consensuale e concordata, come definiti dalle Delib. Consiglio Comunale di Roma n. 176 del 2000 e Delib. Giunta Capitolina n. 811 del 2000, e già ritenuti legittimi dal giudice amministrativo (Cons. Stato Sez.IV 13 luglio 2010 n. 4545)».
[6] Cfr. art. 870 c.c. e art. 23 Legge urbanistica n. 1150/1942.
[7] Cassazione civile sez. un., 29/10/2020, n. 23902, cit.
[8] Tale comma – modificato, da ultimo, dalla L.R. n. 18/2019 – prevede, invero, che «la Regione promuove la pianificazione coordinata volta alla condivisione delle politiche territoriali, ambientali, paesaggistiche e infrastrutturali tra più comuni. Si definiscono piani associati gli atti di pianificazione sviluppati tra più comuni secondo le modalità di cui all’articolo 13, comma 14. In applicazione di quanto disposto dal PTR, il piano associato rappresenta lo strumento efficace per conseguire un uso razionale del suolo, la realizzazione di efficienti sistemi insediativi e di razionali sistemi di servizi, elevati livelli di tutela e valorizzazione delle aree agricole, naturali e di valore paesaggistico, nonché per prevedere le forme di perequazione territoriale di cui all’articolo 11, comma 2 ter; nel territorio della provincia di Sondrio i contenuti dei piani associati tra più comuni possono essere sviluppati dalla Provincia, su accordo con i predetti enti, anche contestualmente all’elaborazione del PTCP o di sue varianti, fermo restando il rispetto delle procedure di approvazione dei singoli strumenti pianificatori associati previste dalle leggi vigenti».
[9] La Corte Costituzionale con sentenza 23 marzo 2006, n. 129 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 9, comma 12, e dell’art. 11, comma 3, della L.R. n. 12/2005, nella parte in cui non prevede l’obbligo di procedure ad evidenza pubblica per tutti i lavori, da chiunque effettuati, di importo pari o superiore alla soglia comunitaria.
[10] Il comma 5 dell’articolo 11 prevede l’incremento dell’indice di edificabilità massimo previsto dal P.G.T. fino al 20 per cento per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente, ove essi perseguano una o più delle finalità elencate, volte a promuovere alti livelli di qualità edilizia.
[11] Lettera abrogata dall’articolo 13, comma 1, lettera a), numero 1) della L.R. n. 13/2020.