Strutture edilizie leggere -Modifiche dei prospetti su edifici esistenti- Demolizione e ricostruzione su area diversa o con modifica di sagoma

Strutture edilizie leggere: requisiti, differenze e titoli abilitativi

 La presente disamina intende fornire un approfondimento di ordine pratico alle problematiche che sorgono nella realizzazione di interventi edilizi, condotto muovendo dalle sollecitazioni fornite dall’ampia casistica dei contenziosi in atto e dalle cospicue rassegne giurisprudenziali che interpretano e chiariscono il quadro normativo.

Appare opportuno prendere le mosse della trattazione che segue richiamando quanto statuito dall’art. 6 del D.P.R. n. 380/2001 che, “fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto de le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, le norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, elenca una serie di opere eseguibili senza alcun titolo abilitativo.

 Tra gli interventi edilizi rientranti nella categoria dell’attività edilizia libera, l’art. 6, comma 1 lett. e-quinquies contempla “gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”; tale previsione, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, deve essere coordinata con il principio contenuto nel precedente art. 3, comma 1, lett. e.1)[1], sicché, esso non si riferisce a strutture che ampliano il preesistente edificio, ma a manufatti separati, realizzati a servizio dello stesso nelle aree pertinenziali. E proprio a questi si riferisce il c.d. “glossario” delle opere libere contenuto nel d.m. 2 marzo 2018, che riconduce a tale categoria il gazebo ed il pergolato, purché il manufatto sia «di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo»” (Cassazione penale sez. III, 02/10/2018, n. 54692).

 In tale prospettazione, l’elemento distintivo che differenzia gli interventi edilizi che necessitano di un titolo abilitativo dagli altri è costituito dalla finalità di trasformazione dell’organismo edilizio, in termini di diversità rispetto al precedente.

Orbene,  “Gli interventi consistenti nell’installazione di tettoie o di altre strutture analoghe, comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensione rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell’immobile cui accedono; tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni siano di entità tale da arrecare una visibile alterazione all’edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite” (Consiglio di Stato sez. VII, 09/01/2023, n. 237). E’ dunque necessario il preventivo rilascio dell’atto di assenso edificatorio anche per la realizzazione di una tettoia “quando essa abbia consistenza strutturale e morfologica non riconducibile alla tipologia della tettoia aperta, quale “elemento di arredo” di cui all’art. 3 d. lgs. 25 novembre 2016 n. 222 o, secondo il glossario adottato con il d. min. 2 marzo 2018, quale “pergotenda”” (Consiglio di Stato sez. VI, 14/06/2023, n.5873).

La cd. “pergotenda”, realizzabile liberamente al pari delle tettoie leggere non tamponate lateralmente almeno su tre lati,  è descritta come “una struttura leggera, non stabilmente infissa al suolo, idonea a supportare la «tenda», anche in materiale plastico (c.d. «pergotenda»), a condizione che: — l’opera principale sia costituita, appunto, dalla «tenda» quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata a una migliore fruizione dello spazio esterno; la struttura rappresenti un mero elemento accessorio rispetto alla tenda, necessario al sostegno e all’estensione della stessa; gli elementi di copertura e di chiusura (la «tenda») siano non soltanto facilmente amovibili ma anche completamente retraibili, in materiale plastico o in tessuto, comunque privi di elementi di fissità, stabilità e permanenza tali da creare uno spazio chiuso, stabilmente configurato. In altri termini, per aversi una “pergotenda” e non già una “tettoia”, è necessario che l’eventuale copertura in materiale plastico sia completamente retrattile, ovvero «impacchettabile», così da escludere la realizzazione di nuovo volume” (T.A.R. Salerno, (Campania) sez. II, 03/08/2023, n.1904).

Lo stesso orientamento giurisprudenziale amministrativo conferma nella stessa direzione che “Ai fini edilizi, rientra nella definizione di pergolato, la cui realizzazione non richiede il rilascio di alcun titolo edilizio, il manufatto aperto su tre lati e nella parte superiore realizzato in struttura leggera, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni. Al contrario, qualora il pergolato sia coperto, seppure parzialmente, anche nella parte superiore con una copertura non facilmente amovibile, deve essere correttamente qualificato come tettoia la cui realizzazione soggiace alla disciplina urbanistica e, pertanto, richiede il rilascio del titolo edilizio” (Consiglio di Stato sez. VI, 22/09/2023, n.8475).

Sulla differenza tra pergolati, gazebo e verande si richiama la pronuncia T.A.R. Salerno, (Campania) sez. II, 13/07/2023, n.1682 secondo cui “Il pergolato assolve tendenzialmente una mera funzione ornamentale, allorché però sia realizzato in una struttura leggera in legno o in altro materiale di minimo peso, sia facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, e funga da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni. Dalla pergola si distingue il gazebo quale struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili, che può essere realizzato sia come struttura temporanea, sia in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi. Diversamente la veranda, realizzabile su balconi, terrazzi, attici o giardini, è caratterizzata da ampie superfici vetrate che all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro con la conseguenza che essa, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di costruire[2]”.

 In quest’ottica, il Consiglio di Stato ha chiarito i presupposti per fare rientrare i dehors nell’edilizia libera ex art. 6, comma 1 lett. e-bis)[3]: “i dehors, strutture a servizio di attività commerciali installate su suolo pubblico, che di fatto assumono una consistenza che varia dalla semplice tenda, o ombrellone ad ampie falde, al box munito di infissi chiusi tipo veranda, possono essere installati liberamente ove rispondano alle caratteristiche di cui all’art. 6, comma 1, lett. e-bis), del d.P.R. n. 380 del 2001, dovendo quindi possedere due caratteristiche: uno funzionale, consistente cioè nella finalizzazione alle esigenze dell’attività, che devono tuttavia essere « contingenti e temporanee », intendendosi per tali quelle che, in senso obiettivo, assumono un carattere ontologicamente temporaneo, quanto alla loro durata, e contingente, quanto alla ragione che ne determina la realizzazione, e che in ogni caso (cioè quale che ne sia la « contingenza » determinante), non superano comunque i centottanta giorni (termine che, è bene ribadirlo, deve comprendere anche i tempi di allestimento e smontaggio, riducendosi in tal modo l’uso effettivo ad un periodo inferiore ai predetti 180 giorni); l’altro strutturale, ovvero l’avvenuta realizzazione con materiali e modalità tali da consentirne la rapida rimozione una volta venuta meno l’esigenza funzionale (e quindi al più tardi nel termine di centottanta giorni dal giorno di avvio dell’istallazione, coincidente con quello di comunicazione all’amministrazione competente)” (Consiglio di Stato sez. II, 13/02/2023, n.1489).

 Modifiche dei prospetti su edifici esistenti: la corretta classificazione dell’intervento

Nel corso degli anni l’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, recante “Definizioni degli interventi edilizi”, è stato interessato da progressivi interventi legislativi che hanno inciso sulla configurazione dell’ambito applicativo con particolare riguardo agli interventi di manutenzione straordinaria e ristrutturazione edilizia ampliandone la portata.

In particolare, solo a seguito delle modifiche intervenute per effetto dell’art. 10, comma 1, lett. b) n. 1 del D.L. n. 76/2020, sono stati inserite tra le opere di manutenzione straordinaria ex art. 3, comma 1 lett. b) anche “le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purché l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tuteladi cui al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e del d.lgs. 42/2004”.

 Tanto che, la giurisprudenza formatasi sulla norma nella sua formulazione antevigente escludeva pacificamente che la modifica dei prospetti (quali l’apertura di nuove finestre, la chiusura di quelle preesistenti o il loro spostamento, l’apertura di una nuova porta di ingresso sulla facciata dell’edificio o comunque su una parete esterna dello stesso, la trasformazione di vani finestra in altrettante porte-finestre) fosse riconducibile alla manutenzione straordinaria, richiedendo piuttosto il permesso di costruire (cfr. Consiglio di Stato sez. I, 09/05/2012 n. 380 secondo cui “La creazione di balconi e l’apertura di finestre, modificando il prospetto principale dell’abitazione non sono da considerare quale opera di manutenzione straordinaria e ciò si verifica anche se non venga alterata la volumetria dell’edificio, perché nuovi balconi e nuove finestre ne alterano i prospetti ed, in definitiva, la sagoma”).

Ora, in considerazione di questa diversa qualificazione dell’intervento, per la modifica dei prospetti è sufficiente la presentazione di una SCIA semplice ex art. 22, comma 1, lett. a) del D.P.R. n. 380/2001 secondo il quale “sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di attività di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente: a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell’edificio o i prospetti; […][4]”.

Diversamente, in mancanza dei presupposti prescritti dall’art. 3, comma 1, lett. b), le modifiche potrebbero essere considerate quali interventi di ristrutturazione edilizia leggera per i quali è necessaria la presentazione della SCIA ai sensi dell’art. 22, comma 1 lett. c) del D.P.R. n. 380 /2001[5], ma solo quando tali interventi non ricadano nel regime degli interventi di ristrutturazione pesante soggetti a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, comma 1 lett. c) del D.P.R. n. 380/2001[6].

 

Demolizione e ricostruzione su area diversa o con modifica di sagoma e prospetti

Per effetto della modifica all’art. 3, comma 1 lett. d)[7], rientrano nella nozione di “ristrutturazione edilizia” anche “gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.

Tale flessibilità derogatoria non è stata ammessa “con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo decreto legislativo, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico”; ne deriva che, in tali ipotesi, “gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.

 Sul perimetro applicativo di tale norma, il T.A.R Palermo (Sicilia), sez. II 20/07/2023 n. 2409 ha osservato che tale modifica normativa “non ha affatto inteso ricomprendere in tale fattispecie il – diverso caso – della demolizione di un edificio sito in un luogo, da ricostruire in un luogo del tutto diverso (più o meno distante dal primo); essa, piuttosto, ha ampliato la possibilità di riutilizzare, anche in modo particolarmente ampio, il suolo già consumato”. Invero, “diversamente opinando, andrebbe quasi a svanire il confine tra ristrutturazione edilizia e nuova edificazione [si rammenta che quest’ultima tuttora ricomprende, senza distinzioni, la costruzione di manufatti edilizi fuori terra ex art. 3, co. 1, lett. e. 1), D.P.R. n. 380/2001]; distinzione che, invece, rimane ferma anche nel sistema definito dalle recenti modifiche al testo unico dell’edilizia”.

Può, quindi, considerarsi tuttora valida la distinzione tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione, più volte delineata dalla giurisprudenza amministrativa a mente della quale “sussiste una ristrutturazione edilizia nel caso in cui viene modificato un immobile già esistente, ma nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso, nel caso in cui invece il manufatto sia stato totalmente trasformato, non solo con un apprezzabile aumento volumetrico, ma anche mediante un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria, l’intervento deve essere considerato quale intervento di nuova costruzione” (Consiglio di Stato sez. VI, 13/06/2023, n.5769).

 In ossequio ai principi sovente ribaditi dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato può concludersi che “occorre conservare sempre una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all’organismo preesistente”, con la conseguenza che “nella nozione di nuova costruzione possono rientrare anche gli interventi di ristrutturazione qualora, in considerazione dell’entità delle modifiche apportate al volume e alla collocazione dell’immobile, possa parlarsi di una modifica radicale dello stesso, con la conseguenza che l’opera realizzata nel suo complesso sia oggettivamente diversa da quella preesistente”. In ogni caso, “rientrano nella diversa categoria della cosiddetta ristrutturazione edilizia “pesante”, contemplata dall’art. 10 t.u. ed., norma che sostanzialmente assimila l’intervento di ristrutturazione edilizia caratterizzato da incrementi volumetrici ovvero di sagoma e prospetti a quello di una nuova costruzione, quantomeno per le porzioni che costituiscono un novum rispetto alla preesistenza, subordinandone la realizzazione al previo rilascio del permesso di costruire[8]”.

[1] L’art. 3, comma 1, lett. e) dispone che sono da considerarsi “interventi di nuova costruzione”: “e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6)”;“e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale”.

[2] Sul punto, si rammenta che l’art. 33-quater, D.L. n. 115/2022 ha integrato l’elenco contenuto nell’art. 6 comma 1, indicando alla lett. b-bis) un altro caso di edilizia libera: “gli interventi di realizzazione e installazione di vetrate panoramiche amovibili e totalmente trasparenti, cosiddette VEPA, dirette ad assolvere a funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle dispersioni termiche, parziale impermeabilizzazione dalle acque meteoriche dei balconi aggettanti dal corpo dell’edificio o di logge rientranti all’interno dell’edificio, purché tali elementi non configurino spazi stabilmente chiusi con conseguente variazione di volumi e di superfici, come definiti dal regolamento edilizio-tipo, che possano generare nuova volumetria o comportare il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile anche da superficie accessoria a superficie utile. Tali strutture devono favorire una naturale microaerazione che consenta la circolazione di un costante flusso di arieggiamento a garanzia della salubrità dei vani interni domestici ed avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche”. Sicché, come osservato da T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 12/10/2023, n.15129, solo le verande dotate di queste caratteristiche morfologiche sono state esoneraste dal preventivo titolo edilizio.

[3] L’art. 6, comma 1 lett. e-bis) dispone che sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo “le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale”.

[4] In proposito, si segnala Consiglio di Stato sez. VI, 24/01/2022, n.467 secondo cui “Non sono riconducibili tra gli interventi c.d. di “edilizia libera”, individuati dall’art. 6 d.P.R. n. 380/2001, nonché dall’art. 3, lett. e.5), quelli che si compendiano nella trasformazione di finestre in porte-finestre. Simili interventi, infatti, comportando una modifica dei prospetti, sono sussumibili tra gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380/01, e pertanto devono essere segnalati con s.c.i.a. (art. 22, lett. b), d.P.R. 380/2001)”.

[5] L’art. 22, comma 1 lett. c) del D.P.R. n. 380/2001 ricomprende “gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell’articolo 10, comma 1, lettera c)”.

[6] L’art. 10, comma 1 lett. c) del D.P.R. n. 380/2001 sottopone alla presentazione della presentazione del permesso di costruire “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, , e, inoltre, gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, situati nelle medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di volumetria”.

[7] Lettera modificata dall’art. 10, comma 1, lett. b), della legge n. 120/2020, poi dall’art. 28, comma 5-bis, lett. a), legge n. 34/2022, poi dall’art. 14, comma 1-ter, legge n. 91/2022.

[8] cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 13/06/2023, n.5769.