Gli abusi edilizi realizzati durante la pendenza di un’istanza di condono: le posizioni espresse dalla giurisprudenza
Il T.A.R. del Lazio ha ribadito il principio, già espresso nella giurisprudenza amministrativa, che impone di ritenere che «un’istanza di condono vada esaminata solo qualora alla data di emanazione del provvedimento esista ancora l’opera edilizia per la quale essa è stata presentata, non essendo consentito, in pendenza del procedimento di condono, alcun intervento se non quelli atti a garantire la conservazione del manufatto (cfr. Cons. St., Sez. II, 30 luglio 2019, n. 5367; Cons. St., Sez. V, 27 agosto 2014, n. 4386)» (T.A.R. Roma (Lazio), sez. II, n. 288/2024).
Giova rammentare, inoltre, che il Consiglio di Stato – pronunciandosi su un ricorso teso a censurare, tra l’altro, la circostanza per la quale il T.A.R. adito in primo grado «[…] non avrebbe considerato che l’intervento in questione […] rientra tra quelli di completamento che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 35, comma 14, e 31, comma 2, legge n. 47/1985, “il presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria” poteva realizzare “sotto la propria responsabilità”, decorsi 120 giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell’oblazione, notificando al Comune il proprio intendimento, “allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi”, ed iniziando i lavori “non prima di trenta giorni dalla data della notificazione” […]» – ha osservato che «per legge non è consentito sanare interventi effettuati sull’immobile abusivo dopo la presentazione dell’istanza: l’imposizione di un termine, anteriore alla data di scadenza per la presentazione della domanda, entro cui gli immobili devono essere ultimati ha proprio lo scopo di evitare che si chieda di “sanare” un abuso non ancora commesso o ultimato, tanto che la prova dell’integrazione del requisito dell’anteriorità dell’ultimazione dell’opera rispetto al termine di legge (sia in sede procedimentale, sia in sede giudiziale) fa carico al soggetto privato che abbia presentato la domanda di condono, atteso il carattere eccezionale di tale istituto e stante l’operatività del principio della “vicinanza alla prova” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 settembre 2019, n. 6107)» (Consiglio di Stato, sez. VII, n. 9084/2023)[1].
Si è sostenuto altresì che «in pendenza dell’istanza di condono è precluso all’interessato modificare l’assetto del bene, anche nell’ipotesi nella quale l’istante intenda riportare il manufatto nei limiti strutturali e volumetrici per renderlo compatibile con la sanatoria» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 6239/2018).
La disciplina applicabile alla valutazione della domanda di condono
La Corte di Cassazione ha recentemente riaffermato che «ogni procedimento di condono non può che valutarsi rispetto alla disciplina cui afferisce la domanda […] senza che sia evocabile alcuna automatica estensione – non prevista – di altre distinte e diverse successive discipline, ancorchè afferenti in astratto al medesimo istituto del condono […]», rimarcando – peraltro – «il principio di tipicità degli atti e procedimenti amministrativi, che impone una correlazione tra domanda, relativa disciplina e decisione finale», oltre che «la differenza, per così dire strutturale, delle diverse discipline di condono, quanto ai requisiti richiesti, che anche sotto tale aspetto esclude, in assenza di una esplicita previsione, la possibilità di estendere ad un tipo di domanda solo un requisito[…]stabilito in altra successiva disciplina, fermi rimanendo gli altri originariamente previsti» (Cassazione penale, sez. III, n. 50318/2023).
Sanatoria operante a regime ordinario: il requisito della doppia conformità e l’orientamento consolidato in ordine alla sanatoria cd. Condizionata
Con riferimento all’istituto della sanatoria edilizia operante a regime ordinario occorre richiamare gli articoli 36 («Accertamento di conformità») e 37 («Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità»), comma 4 del D.P.R. n. 380/2001, che disciplinano l’accertamento di conformità in caso, rispettivamente, di interventi eseguiti in assenza o in difformità dal permesso di costruire o dalla S.C.I.A. alternativa al permesso di costruire ovvero realizzati in assenza o in difformità dalla S.C.I.A. (cd. «normale») richiesta ex articolo 22, commi 1 e 2 del medesimo testo unico, prevedendo la possibilità di ottenere tale sanatoria laddove l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda (cd. «doppia conformità»).
Il costante orientamento del Consiglio di Stato ritiene, invero, che la sanatoria di cui all’articolo 36 del D.P.R. n. 380/2001 «”[…] si fonda sul rilascio di un provvedimento abilitativo sanante da parte della competente Amministrazione, sempre possibile previo accertamento di conformità o di non contrasto delle opere abusive non assentite agli strumenti urbanistici vigenti nel momento della realizzazione e in quello della richiesta, previo accertamento di compatibilità paesaggistica nelle ipotesi in cui l’area sia assoggettata a vincolo paesaggistico e che è tassativamente limitato alle sole fattispecie contemplate dall’art. 167 comma 4, [del D.Lgs.] 22 gennaio 2004, n. 42 […]” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 marzo 2019, n. 1874). La sentenza appena citata evidenzia come sia “la stessa qualificazione in termini di sanatoria del provvedimento scolpito dall’art. 36 che import[i] l’esclusione dal suo ambito di quelle opere progettate al fine di ricondurre l’opus nel perimento di ciò che risulti conforme alla disciplina urbanistica e quindi assentibile” […]. Questo Consiglio rileva, difatti, che “il rilascio di un permesso in sanatoria con prescrizioni, con le quali si subordina l’efficacia dell’accertamento alla realizzazione di lavori che consentano di rendere il manufatto conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della domanda o al momento della decisione, contraddice, innanzitutto sul piano logico, la rigida statuizione normativa poiché si farebbe a meno della doppia conformità dell’opera richiesta dalla norma se si ammettesse l’esecuzione di modifiche postume rispetto alla presentazione della domanda di sanatoria” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 luglio 2014, n. 3410). Inoltre, “la valutazione di compatibilità paesaggistica non può riferirsi al manufatto ottenuto grazie alle modifiche proposte, in quanto, ai sensi dell’art. 167, co. 4, d.lgs. n. 42 /2004, è consentita la sanatoria delle opere così come esistenti al momento dell’istanza e non delle opere progettate in maniera da alterarne la consistenza originaria” […]» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 8713/2022).
La sanatoria giurisprudenziale o impropria: è ammissibile?
L’istituto della cd. «sanatoria giurisprudenziale» – di origine pretoria ed in virtù del quale per regolarizzare un immobile abusivo sarebbe sufficiente la mera conformità alla disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento di presentazione dell’istanza – secondo un orientamento ormai pressoché granitico «deve considerarsi normativamente superato, nonché recessivo rispetto al chiaro disposto normativo vigente e ai principi connessi al perseguimento dell’abusiva trasformazione del territorio, essendo il permesso in sanatoria ottenibile soltanto in presenza dei presupposti espressamente delineati dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, ossia a condizione che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto sia della presentazione della domanda […]».
Discende da quanto precede – come peraltro già evidenziato – «che il titolo in sanatoria non può contenere alcuna prescrizione, in particolare sub specie di previsione di interventi modificativi dello stato di fatto rilevato al momento dell’accertamento degli abusi, poiché un simile titolo “condizionato” postulerebbe, in contrasto con l’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, non già la “doppia conformità” delle opere abusive, ma una sorta di conformità ex post, condizionata all’esecuzione delle prescrizioni e, quindi, non esistente né al momento della realizzazione delle opere, né al tempo della presentazione della domanda di sanatoria, bensì eventualmente solo alla data futura e incerta in cui il ricorrente abbia ottemperato a tali prescrizioni» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 10317/2022).
Del resto, si è osservato che «in base alla disciplina vigente è irrilevante che alla data di presentazione dell’istanza di sanatoria le previsioni dello strumento urbanistico comunale renderebbero assentibile l’intervento», posto che «la praticabilità dell’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale è stata da tempo esclusa dalla giurisprudenza (cfr.Cons. Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3194; Cons. Stato, Sez. VI, 5 giugno 2015, n. 2784; Cons. Stato, Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2306; Corte Cost., 29 maggio 2013, n. 101).
Invero, l’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 disciplina l’accertamento di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si consente la sanatoria di manufatti od opere realizzati in assenza di titolo edilizio, deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi “formali”, ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, ma conformi alla normativa applicabile […] come noto, al fine del rilascio del permesso in sanatoria, è necessario che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di cui all’art. 36 cit. […].
Tale opzione non si pone in contrasto con alcun principio costituzionale, essendosi al riguardo già pronunciata la Corte Costituzionale nel senso che costituisce principio fondamentale nella materia del governo del territorio la verifica della “doppia conformità”, in quanto adempimento “finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” (così la sentenza Corte Cost., 8 novembre 2017, n. 232; […]» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 5708/2023)[2].
Abusi edilizi: la valutazione unitaria delle opere. È possibile una sanatoria parziale?
Il costante orientamento del Consiglio di Stato – recentemente ribadito – ritiene che «la valutazione degli abusi edilizi e/o paesaggistici richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio o al paesaggio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall’insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e paesistico e nelle reciproche interazioni […])» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4070/2023).
Un altro precedente ha ricordato che «la Corte di Cassazione, in consonanza con la giurisprudenza amministrativa sul tema, ha inoltre chiarito che tutta la legislazione urbanistica e la giurisprudenza formatasi in materia di condono edilizio escludono la possibilità di una sanatoria parziale, sul presupposto che il concetto di costruzione deve essere inteso in senso unitario e non in relazione a singole parti autonomamente considerate, per cui non è possibile scindere la costruzione tra i vari elementi che la compongono ai fini della sanatoria di singole porzioni di essa […]» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 10864/2023).
Con riferimento ai profili di rilevanza penale si è osservato pure che l’ordine di demolizione del manufatto abusivo previsto dal D.P.R. n. 380/2001 al comma 9 dell’articolo 31 – a mente del quale «per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita» – «riguarda l’edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all’esercizio dell’azione penale e/o alla condanna, atteso che l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di “restitutio in integrum” dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell’originaria costruzione […]» (Cassazione penale, sez. III, n. 17412/2023).
[1] https://www.studiotecnicopagliai.it/domanda-di-condono-edilizio-non-consente-di-sanare-opere-effettuate-dopo-la-presentazione/
[2] https://www.studiotecnicopagliai.it/sanatoria-giurisprudenziale-atto-atipico-problemi-legittimita