Aprile 2023 art 2 LR 12 2005 Integrazione privati partecipazione diffusa

L’articolo 2 della L.R. n. 12/2005: la possibile integrazione dei contenuti della pianificazione da parte dei privati.

 

La Parte I («Pianificazione del territorio») della L.R. n. 12/2005, al «Titolo II» disciplina gli «Strumenti di governo del territorio».

 

Al fine di analizzare l’impatto del principio di sussidiarietà orizzontale sulla normativa in esame preme soffermarsi sulle «Disposizioni generali» di cui al Capo I, con riguardo, segnatamente, all’articolo 2, rubricato «Correlazione tra gli strumenti di pianificazione territoriale».

 

La norma de qua – dopo aver enunciato che «il governo del territorio si attua mediante una pluralità di piani, fra loro coordinati, coerenti e differenziati, i quali, nel loro insieme, costituiscono la pianificazione del territorio stesso» (comma 1), che «il Piano territoriale regionale (PTR) costituisce il piano di riferimento ai fini della coerenza delle politiche regionali e dei piani e programmi di settore con ricadute territoriali, nonché degli strumenti della pianificazione urbanistica e territoriale ai vari livelli» (comma 1-bis) e che «i piani si caratterizzano ed articolano sia in ragione del diverso ambito territoriale cui si riferiscono sia in virtù del contenuto e della funzione svolta dagli stessi» (comma 2) – afferma che «i piani si uniformano al criterio della sostenibilità, intesa come la garanzia di uguale possibilità di crescita del benessere dei cittadini e di salvaguardia dei diritti delle future generazioni» (comma 3) e che «il piano territoriale regionale e i piani territoriali di coordinamento provinciali hanno efficacia di orientamento, indirizzo e coordinamento, fatte salve le previsioni che, ai sensi della presente legge, abbiano efficacia prevalente e vincolante».

 

Per quanto qui di interesse occorre porre l’attenzione sul comma 5, a mente del quale «il governo del territorio si caratterizza per:

  1. a) la pubblicità e la trasparenza delle attività che conducono alla formazione degli strumenti;
  2. b) la partecipazione diffusa dei cittadini e delle loro associazioni;
  3. c) la possibile integrazione dei contenuti della pianificazione da parte dei privati;

c bis) la riduzione del consumo di suolo, la rigenerazione territoriale e urbana.

c ter) la sostenibilità ambientale e, in particolare, il risparmio di risorse territoriali, ambientali ed energetiche e il riuso di materia in un’ottica di economia circolare».

 

Ciò che già all’indomani dell’introduzione della legge lombarda per il governo del territorio ha assunto un rilievo primario, invero, è stata proprio la possibilità, per i privati, di integrare i contenuti della pianificazione, senza più limitarsi, come accadeva in passato, al ruolo di meri destinatari delle decisioni assunte dalla pubblica amministrazione in tal senso.

 

Gli strumenti della «Pianificazione comunale» – rappresentati, ex articolo 6 della L.R. n. 12/2005, dal «piano di governo del territorio», nonché dai «piani attuativi» e dagli «atti di programmazione negoziata con valenza territoriale» – vedono, difatti, il contributo del privato non solo nella fase attuativa, in base ad un paradigma ormai noto, ma anche in quella progettuale della pianificazione, secondo il modello della pianificazione concertata democraticamente con i cittadini[1].

 

A tal uopo basti pensare all’articolo 13, che nel disciplinare l’«Approvazione degli atti costituenti il piano di governo del territorio» enuncia una serie di disposizioni finalizzate ad esplicitare le modalità in cui può esplicarsi il suddetto apporto:  il comma secondo stabilisce che «prima del conferimento dell’incarico di redazione degli atti del PGT, il comune pubblica avviso di avvio del procedimento su almeno un quotidiano o periodico a diffusione locale e sui normali canali di comunicazione con la cittadinanza, stabilendo il termine entro il quale chiunque abbia interesse, anche per la tutela degli interessi diffusi, può presentare suggerimenti e proposte. Il comune può, altresì, determinare altre forme di pubblicità e partecipazione»; il comma terzo dispone che «prima dell’adozione degli atti di PGT il comune, tramite consultazioni, acquisisce entro trenta giorni il parere delle parti sociali ed economiche» ed il comma quarto che «entro novanta giorni dall’adozione, gli atti di PGT sono depositati nella segreteria comunale per un periodo continuativo di trenta giorni, ai fini della presentazione di osservazioni nei successivi trenta giorni […][2]».

 

In un’ottica complessiva si è dunque osservato come la necessità di consentire la partecipazione dei cittadini e delle loro associazioni nelle scelte dell’amministrazione – in particolare nella formazione dello strumento urbanistico generale e delle sue varianti – risulti strettamente connessa al principio di sussidiarietà orizzontale, di cui – come si vedrà – costituiscono applicazione le prescrizioni che svincolano la nozione di standard urbanistico dalla necessità di un intervento soggettivamente pubblico, valorizzando la realizzazione delle attrezzature di interesse pubblico da parte dei privati[3].

 

 

Partecipazione diffusa dei cittadini e delle loro associazioni nel governo del territorio.

 

L’articolo 2 («Correlazione tra gli strumenti di pianificazione territoriale») della L.R. n. 12/2005, nel delineare i tratti caratteristici del piano di governo del territorio, fa riferimento – come anticipato – anche alla «partecipazione diffusa dei cittadini e delle loro associazioni», secondo quanto esplicitato dal comma 5 alla lettera b).

 

In proposito appare utile una digressione volta ad illustrare come in dottrina, nell’intento di analizzare le modalità partecipative dei cittadini e di chiunque ne abbia interesse, sia stato posto in evidenza come detta partecipazione possa avvenire in base a modalità di inclusione differenziate, secondo quella che può essere definita come una scala di partecipazione pubblica in cui si verifica un progressivo ampliamento del potere decisionale di abitanti, cittadini, soggetti interessati alla decisione.

 

È stato così elaborato una sorta di modello, che vede implicati la governance, la democrazia deliberativa, la progettazione interattiva o progettazione partecipata, l’autorganizzazione, nonché i conflitti urbani e territoriali.

 

Preme esplicitare che la governance rappresenta ad oggi una modalità piuttosto diffusa, nella quale le decisioni e le politiche pubbliche vengono costruite mediante il coordinamento tra istituzioni, amministrazioni e rappresentanze degli interessi economici e sociali: tale prassi presenta tuttavia il limite di coinvolgere, oltre agli attori istituzionali, solo gli appartenenti ad associazioni strutturate già titolari di un potere decisionale riconosciuto.

 

La democrazia deliberativa, come si ricorderà, si esprime attraverso una riflessione basata sul dibattito informato, che non ha come punto conclusivo l’assunzione di una decisione finale (la quale continua ad essere gestita altrove), pur verificandosi – attraverso gli strumenti che ne sono propri – una discussione approfondita in ordine alle opere interessate.

 

La progettazione interattiva, o progettazione partecipata, dà concretezza alla democrazia partecipativa e comporta il coinvolgimento diretto dei cittadini che partecipano attivamente alla redazione dei progetti: in tali ipotesi si assiste invece ad una decisione condivisa tra popolazione ed attori istituzionali.

 

L’autorganizzazione sociale, che comporta iniziative dirette ed autonome di elaborazione e gestione dei processi di trasformazione nati nella società: a titolo esemplificativo può menzionarsi il caso di comitati e gruppi di quartiere che si propongono all’Amministrazione per la gestione di uno spazio pubblico.

 

Infine, con riguardo ai conflitti urbani e territoriali – i quali producono azioni collettive di lotta, resistenza e protesta sociale – si è peraltro posto in luce come gli stessi non debbano stupire, poiché consolidate modalità di partecipazione – quali, ad esempio, quella del «Planning for real» – sono nate come forma di lotta[4].

 

Tra le forme di conflitti si intende citare quella che viene comunemente indicata con l’acronimo «NIMBY» (inglese per «Not In My Back Yard», «non nel mio cortile») e si riferisce alla protesta da parte di membri di una comunità locale contro la realizzazione di opere pubbliche con impatto rilevante (quali grandi vie di comunicazione, cave, sviluppi insediativi o industriali, termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, centrali elettriche e simili) in un territorio che viene dagli stessi avvertito come vicino ai loro interessi quotidiani, laddove non vi sarebbe – verosimilmente – opposizione alla realizzazione di tali opere se poste in essere in un altro luogo ritenuto meno prossimo o importante: in tali casi l’opposizione può risultare motivata dal timore di effetti negativi per l’ambiente, di rischi per la salute o sicurezza degli abitanti o di una riduzione dello status del territorio[5].

 

Con il termine «Planning for Real» ci si riferisce invece ad una tecnica utilizzata per condurre un processo di progettazione urbana partecipata, che appare ormai ampiamente utilizzata nel nord Europa dagli esponenti del «New Urbanism»: si tratta di un procedimento complesso che coinvolge le differenti professionalità (architetti, ingegneri, urbanisti, sociologi, avvocati), che svolgono la funzione di facilitatori e coordinatori, e gli abitanti del luogo dove si vuole intervenire, nel ruolo di giocatori, in un processo articolato in diverse fasi che vanno dalla costruzione di un plastico della zona interessata dalle ipotetiche trasformazioni a quella della comunicazione, in cui detto plastico viene esposto in luoghi molto frequentati dalla comunità, fino all’indicazione – mediante l’apposizione sullo stesso di idonee figurine – delle ipotesi di intervento. Successivamente si procede alla negoziazione e scelta delle priorità, mediante la discussione democratica che ha ad oggetto l’urgenza con cui si ritiene che le opere indicate debbano essere realizzate, per giungere alla decisione finale dopo il consulto popolare, allorquando i tecnici di settore verificano l’effettiva fattibilità e danno inizio ai lavori[6].

 

In Italia un significativo esempio di tale modello di cittadinanza attiva ha interessato qualche anno fa il progetto di riqualificazione della zona del Pigneto a Roma, dove si è sperimentato lo strumento de quo per incentivare la progettazione partecipata[7].

 

 

[1] FREGO LUPPI S. A., Il governo del territorio tra Stato, regioni ed Enti locali: aspetti problematici della legge lombarda (l.r. n. 12 del 2005), Riv. giur. edilizia, fasc. 2, 2006.

[2] Ai sensi del comma de quo «gli atti sono altresì pubblicati nel sito informatico dell’amministrazione comunale. Del deposito degli atti e della pubblicazione nel sito informatico dell’amministrazione comunale è fatta, a cura del comune, pubblicità sul Bollettino ufficiale della Regione e su almeno un quotidiano o periodico a diffusione locale».

[3] FREGO LUPPI S. A., Il governo del territorio tra Stato, regioni ed Enti locali: aspetti problematici della legge lombarda (l.r. n. 12 del 2005), Riv. giur. edilizia, fasc. 2, 2006.

[4] MAGGIO M., Teorie e tecniche di partecipazione pubblica in La partecipazione nel governo del territorio in Toscana, a cura di  DE SANTIS F. (https://www.regione.toscana.it/documents/10180/22524463/la-partecipazione-nel-governo-del-territorio-in-toscana.pdf/55582065-3881-0bf2-d3c0-c954c860c715?t=1595416023733).

[5] https://it.wikipedia.org/wiki/NIMBY

[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Planning_for_Real

[7] https://www.labsus.org/2015/01/planning-for-real-progettazione-partecipata-al-pigneto/; cfr. anche https://www.romatoday.it/zone/pigneto/pigneto/progettazione-partecipata-piazza-del-pigneto.html