Febbraio 2023 – Abusi edilizi quando demolizione si puo evitare

Abusi edilizi, quando la demolizione può essere evitata.

 

Il principio generale in tema di abusi edilizi secondo cui ogni costruzione abusiva deve essere sempre abolita subisce talvolta un temperamento da parte del legislatore, che scaturisce dal bilanciamento di due contrapposti interessi: da un lato, la tutela dell’affidamento del privato e, dall’altro, la tutela del corretto assetto urbanistico ed edilizio.

In questo senso, il legislatore ha disciplinato all’articolo 38 del D.P.R. n. 380/2001 – rubricato «Interventi eseguiti in base a permesso annullato» – le conseguenze derivanti dall’esecuzione di interventi edilizi sulla scorta di un titolo abilitativo successivamente annullato prevedendo che «in caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa».

Il successivo comma 2 aggiunge che «l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36»; per poi precisare al comma 2-bis che «le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’articolo 23, comma 01, in caso di accertamento dell’inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo».

Orbene, la compensazione degli opposti interessi in rilievo – tutela del legittimo affidamento da una parte, tutela del corretto assetto urbanistico ed edilizio dall’altro – è realizzato dal legislatore per il tramite della “compensazione” monetaria di valore pari «al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite» (cd. «fiscalizzazione dell’abuso edilizio»).

La ragione sottesa a questa previsione – come evidenziato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato[1] – è quella di contemplare un regime particolare per le fattispecie che non si caratterizzano per una abusività “originaria” ma “sopravvenuta” a seguito dell’annullamento del permesso di costruire e, quale eccezionale deroga al principio di necessaria repressione a mezzo demolizione degli abusi edilizi, la disposizione è presidiata da due condizioni:

  1. a) la prima è la motivata valutazione circa l’impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative;
  2. b) la seconda è la motivata valutazione circa l’impossibilità di restituzione in pristino.

Si tratta di due condizioni eterogenee poiché la prima attiene alla sfera dell’amministrazione e presuppone che l’attività di convalida del provvedimento amministrativo ex art. 21-nonies, comma 2 della L. 241/1990, mediante rimozione del vizio della relativa procedura, non sia oggettivamente possibile; mentre la seconda attiene alla sfera del privato e concerne la concreta possibilità di procedere alla restituzione dei luoghi in pristino stato.[2]

Ciò posto, il legislatore ha declinato in modo generico entrambe le condizioni non chiarendo cosa debba intendersi per “vizi delle procedure amministrative” e per “impossibilità” di riduzione in pristino.

Sul punto, con la sentenza n. 136 del 4 gennaio 2023, il Consiglio di Stato si è recentemente pronunciato circa la corretta applicazione dell’articolo 38 del D.P.R. n. 380/2001, e dei presupposti per la cd. «fiscalizzazione dell’abuso edilizio», richiamando il principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria del 7 settembre 2020, n. 17 secondo cui «i vizi cui fa riferimento l’art. 38, t.u. edilizia, approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione». [3]

La norma, dunque, intende fare riferimento all’ipotesi in cui il titolo edilizio sia stato annullato per vizi formali o procedurali non emendabili ai sensi del citato articolo 21-nonies, comma 2 della L. n. 241/1990 in quanto, stante la sostanziale legittimità dell’opera, la tutela dell’affidamento del privato circa la legittimità del titolo edilizio costituisce un limite rispetto al potere di riduzione in pristino dell’amministrazione.

Invero, «la tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito».

Diversamente, qualora il permesso di costruire sia stato annullato per vizi sostanziali, la fiscalizzazione dell’abuso è consentita solo nel caso in cui la restituzione in pristino risulti impossibile alla luce di una valutazione tecnica e non di una ponderazione dei vari interessi in gioco, fra cui l’affidamento del privato nella legittimità delle opere.

Ad avviso della giurisprudenza del Consiglio di Stato, infatti, «nell’ambito delle conseguenze agli illeciti edilizi, deve rilevarsi come l’impossibilità di riduzione in pristino non possa che essere di ordine squisitamente tecnico costruttivo; diversamente opinando, l’art. 38 d.P.R. 380/2001 si presterebbe a letture strumentali, consentendo sanatorie ‘ex officio’ di abusi attraverso lo strumento dell’annullamento in autotutela del titolo edilizio originario».[4]

 

 

[1] Consiglio di Stato sez. VI, 24 aprile 2017, n.1909.

[2] Sul punto, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 7 settembre 2020, n. 17.

[3]  Con la pronuncia in menzione l’Adunanza Plenaria non ha condiviso il diverso orientamento giurisprudenziale secondo cui la fiscalizzazione dell’abuso prescinderebbe dalla tipologia del vizio (procedurale o sostanziale) avendo il legislatore affidato l’eccezionale percorribilità della sanatoria pecuniaria alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, in esecuzione di un potere che affonda le sue radici e la sua legittimazione nell’esigenza di tutelare l’affidamento del privato.

[4] Consiglio di Stato sez. IV, 19 aprile 2022, n. 2919.