Febbraio 2023 – Decadenza del permesso di costruire

Decadenza del permesso di costruire, il Comune non deve restituire l’importo versato dal costruttore per monetizzazione di aree a standard.

 

Nella pronuncia n. 897 del 3 ottobre 2022, il TAR Lombardia esplica le ragioni per cui, in caso di decadenza del permesso di costruire, il Comune non deve restituire l’importo versato dal costruttore per monetizzazione delle aree a standard.

L’analisi della decisione in commento non può che prendere le mosse dal diritto sostanziale, e cioè dalla natura e dalle finalità della disciplina della monetizzazione sostitutiva della cessione di standard urbanistici – con particolare attenzione alla normativa dettata dal legislatore regionale lombardo.

In via preliminare si rammenta che in caso di interventi di nuova costruzione, ampliamento o di cambi di destinazione d’uso per i quali occorrerebbero aree destinate ad uso collettivo – che tuttavia non sia possibile reperire – i Comuni possono prevedere la monetizzazione delle aree a standards, ossia il versamento allo stesso di un importo alternativo alla cessione diretta delle stesse aree, ogni volta che tale cessione non venga disposta o non sia possibile ai sensi della norma regionale.

L’istituto della monetizzazione in Regione Lombardia trova ora la sua precipua disciplina nell’articolo 46 della L.R. n. 12/2005[1] che – nel normare il contenuto che debbono avere le convenzioni accessorie ai piani attuativi – al comma 1, lett. a) ultimo periodo, prevede che «(…) qualora l’acquisizione di tali aree non risulti possibile o non sia ritenuta opportuna dal comune in relazione alla loro estensione, conformazione o localizzazione, ovvero in relazione ai programmi comunali di intervento, la convenzione può prevedere, in alternativa totale o parziale della cessione, che all’atto della stipulazione i soggetti obbligati corrispondano al comune una somma commisurata all’utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione e comunque non inferiore al costo dell’acquisizione di altre aree. I proventi delle monetizzazioni per la mancata cessione di aree sono utilizzati per la realizzazione degli interventi previsti nel piano dei servizi, ivi compresa l’acquisizione di altre aree a destinazione pubblica».

Visto brevemente il quadro normativo in materia, la pronuncia in menzione ha sottolineato che l’obbligazione relativa alla monetizzazione delle aree a standard, assunta mediante atto unilaterale d’obbligo, nonostante la struttura unilaterale, costituisce un accordo che integra il titolo edilizio ai sensi dell’articolo 11 della L. n. 241/1990, con gli stessi effetti della convenzione urbanistica.

Ad avviso dei giudici, tale circostanza modifica la prospettiva da cui si deve osservare la controversia in quanto lo schema degli accordi sostitutivi o integrativi non contempla il diritto di recedere liberamente: qualora le parti non abbiano stipulato un’espressa pattuizione al riguardo, l’unica ipotesi di recesso è quella dell’articolo 11, comma 4 della L. n. 241/1990, che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse consente all’amministrazione di uscire unilateralmente dall’accordo, liquidando un indennizzo per gli eventuali pregiudizi verificatisi in danno dei privati.

Pertanto, dal lato dei privati, le obbligazioni assunte rimangono sempre vincolanti anche se successivamente alla stipula dell’accordo o alla sottoscrizione dell’atto unilaterale d’obbligo sia venuto meno l’interesse originario, non facendo alcuna differenza che la perdita dell’interesse sia dovuta all’azione di terzi o al caso fortuito poiché il rischio della sopravvenuta impossibilità di completare l’operazione edilizia rimane comunque a carico dei privati, tranne quando l’ostacolo sia costituito da una decisione dell’amministrazione. Infatti, solo in quest’ultimo caso vi sarebbe violazione dell’equilibrio raggiunto con la convenzione urbanistica o con l’atto unilaterale d’obbligo, in quanto la parte pubblica non potrebbe essere contemporaneamente la causa e la beneficiaria della perdita economica della parte privata.

Si è giunto così ad affermare che «le ragioni soggettive che impediscono il completamento dell’operazione edilizia sono inopponibili all’amministrazione, la quale non è tenuta a svolgere un ruolo di garanzia nei confronti delle aspettative dei privati. La restituzione di quanto incamerato sulla base di una convenzione urbanistica o di un atto unilaterale d’obbligo equivarrebbe a fornire una simile garanzia, e correlativamente subordinerebbe l’interesse pubblico, oggettivo e ormai consolidato, all’erratica evoluzione della situazione economica dei privati».

In questo quadro, ad avviso del TAR Lombardia, «non vi è arricchimento ingiusto da parte dell’amministrazione, perché la causa del pagamento era chiara fin dall’inizio, e corrispondeva al diritto edificatorio regolato dal titolo edilizio, non al risultato stesso dell’edificazione. Il titolo edilizio non è mai stato cancellato, semplicemente è decaduto in quanto non esercitato per vicende proprie della parte privata».

Precisato ciò, è stato aggiunto che i privati, una volta assunta un’obbligazione pecuniaria in vista dell’esercizio dei diritti edificatori, non hanno alcun potere di verifica circa la destinazione che l’amministrazione imprime in concreto alle somme incamerate. In tale prospettazione, non è dunque possibile ottenere la restituzione di quanto versato, o la cancellazione del resto del debito, deducendo l’inutilità delle infrastrutture che il Comune intende acquisire o realizzare poiché ciò che viene imposto attraverso la monetizzazione delle aree a standard è un contributo alla realizzazione di infrastrutture da mettere a disposizione dell’intera collettività, la cui localizzazione e dimensionamento rientrano esclusivamente nelle scelte discrezionali dell’amministrazione.

Volendo concludere, «rispetto alle obbligazioni assunte nelle forme dell’art. 11 della legge 241/1990, che hanno essenzialmente natura perequativa, estendendosi alla realizzazione di opere di urbanizzazione extra-comparto o al reperimento di aree a standard con eventuale monetizzazione, il contributo di costruzione collegato al permesso di costruire semplice si avvicina invece allo schema tariffario su domanda. Nel primo caso l’edificazione assume quindi un rilievo sociale, nel secondo rimane un’operazione edilizia circoscritta all’interesse del richiedente. Ne consegue che solo la rinuncia al permesso di costruire semplice, formulata espressamente o per inerzia, può consentire il recupero della tariffa versata, mancando un più ampio coinvolgimento dell’interesse pubblico».

 

[1] La monetizzazione veniva espressamente prevista dalla L.R. della Lombardia 5 dicembre 1977, n. 60 con specifico riferimento alla lottizzazione di aree edificabili; la L.R. n. 60/1977 è stata abrogata dall’art. 104 della L.R. n. 12/2005 e tale norma è stata trasfusa nel citato articolo 46.