Febbraio 2023 – Distanze legali tra edifici

Distanze legali tra edifici: come si calcola la distanza di 10 metri nel caso di edifici antistanti e in parte aderenti.

 

In materia di distanze legali tra edifici l’articolo 9 del D.M. n. 1444/1968 ha per oggetto specifico i «limiti di distanza tra i fabbricati»[1], intese come «distanze minime tra i fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee»[2].

Le distanze minime tra fabbricati sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;

2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;

3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12».

Al secondo comma della norma in menzione viene disposto che «le distanze minime tra fabbricati – tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

  • 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
  • 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
  • 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15».

Da ultimo, viene stabilito che «qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».

Con specifico riferimento ai nuovi edifici costruiti nelle parti di territorio non interessate da agglomerati urbani di carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale, il citato articolo al comma 1 n. 2) prescrive l’obbligo per gli edifici di nuova costruzione di mantenere una distanza minima assoluta di dieci metri tra le proprie pareti finestrate e le pareti degli edifici antistanti. Tale previsione vede dunque per la sua applicazione la necessaria sussistenza di una frontalità tra i due edifici e ciò comporta che, in caso di assenza del presupposto, non si assista ad alcuna violazione.

Alla luce di tale quadro normativo, è necessario chiedersi se, ai fini dell’applicazione della distanza minima assoluta di dieci metri, la nozione di edifici antistanti comprenda sempre anche il caso in cui la parete finestrata dell’uno non fronteggi la parete dell’altro, bensì prospetti uno spazio libero (poiché quest’ultima rimane ad un’altezza inferiore).

Per rispondere a tale quesito la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28147 del 27 settembre 2022, ha preso come punto di riferimento quanto enunciato nella pronuncia n. 24471/2019[3] secondo cui la finalità dell’articolo 9 del D.M. n. 1444/1968 è di salvaguardare l’interesse pubblico alla salubrità dell’affacciarsi di esseri viventi agli spazi intercorrenti fra gli edifici che si fronteggiano, quando almeno uno dei due abbia una parete finestrata, a prescindere dal fatto che quest’ultima sia costruita prima o dopo l’altra. Strumento ne è il rispetto di una distanza minima, tale da garantire la circolazione d’aria e la irradiazione di luce idonee a mantenere la salubrità di affaccio.

Ciò posto, «la nozione di “antistanza” o “frontalità” (se si potesse dir così) va riferita e circoscritta a (porzioni di) pareti che si fronteggiano e pertanto presentano, ove non distanziate adeguatamente, un problema di circolazione d’aria e/o d’irradiazione di luce insufficienti, con un pericolo concreto che si crei un’intercapedine nociva. Ove le pareti si fronteggino solo per un tratto – perché di diversa estensione orizzontale, verticale o non perfettamente parallele, il rispetto della distanza D.M. n. 1444 del 1968, ex art. 9, deve essere assicurato entro (e solo entro) le porzioni di pareti antistanti, nell’accezione predetta (cfr. Cass. 4639/1997)». In altre parole, «la distanza di 10 metri – che è misurata in modo lineare (e non radiale, come accade invece rispetto alle vedute: cfr. Cass. 9649/2016) – va rispettata entro il segmento delle pareti tale che l’avanzamento (ideale, meramente pensato) dell’una la porti ad incontrare l’altra, sia pure in quel segmento (cfr. Cass. 4175/2001)».

In ragione di quanto complessivamente dedotto, la verifica di un’attuale situazione di frontalità fra le due facciate costituisce l’essenziale «presupposto per l’operatività del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9». Infatti, laddove la giurisprudenza della Cassazione applica l’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, e pretende il rispetto della distanza minima di dieci metri, pur in presenza di una parete con finestra che non fronteggia l’altra parete, al di sotto vi è invariabilmente una intercapedine o un interstizio – ossia  due pareti o elementi di costruzione di varia fattezza, ma pur sempre racchiudenti uno spazio vuoto tra di loro, con pericolo concreto di recare nocumento alla salubrità di affaccio – giacché  «la disposizione non esige il rispetto di tale distanza minima in sé e per sé, bensì in funzione della salubrità di affaccio sugli spazi intercorrenti tra fabbricati antistanti».[4]

In conclusione, la Cassazione ha enunciato il principio di diritto secondo cui «l’obbligo di rispettare una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, previsto dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, vale anche quando la finestra di una parete non fronteggi l’altra parete (per essere quest’ultima di altezza minore dell’altra), tranne che le due pareti aderiscano in basso l’una all’altra su tutto il fronte e per tutta l’altezza corrispondente, senza interstizi o intercapedini residui».

 

[1] Così la rubrica dell’articolo 9.

[2] Così il primo comma dello stesso articolo.

[3] Cassazione civile sez. II, 1° ottobre 2019, n. 24471.

[4] così, tra le altre, Cass. 11842/201120574/2007 (avancorpo cieco); Cass. 23495/2006 (distanza inferiore a 1,5 metri); Cass. 8383/1999 (fabbricato fronteggiante); Cass. 92017/1991 (distanza prevalentemente di 6,5 metri).