Presunzione di legittimità del titolo abilitativo edilizio: i chiarimenti del Consiglio di Stato.
Con la recente sentenza n. 9664 del 4 novembre 2022 il Consiglio di Stato- nel pronunciarsi su una complessa vicenda riguardante alcune opere edilizie realizzate, secondo il ricorrente, in violazione delle norme antisismiche – ha ribadito che il titolo edilizio è sempre riferito ad uno specifico progetto, ragion per cui, una volta riscontrata la conformità dello stesso alla normativa urbanistica, il suo rilascio ne attesta la conformità senza che possa predicarsi una sorta di invalidità sopravvenuta del titolo medesimo o il suo successivo annullamento implicito in autotutela.
Così conformato l’esercizio del potere urbanistico, «il titolo entra nell’ordinamento giuridico assistito dalla presunzione di legittimità, che ne attesta la validità fino alla sua rimozione dall’ordinamento medesimo mediante i tipici strumenti previsti dal sistema, ovvero l’annullamento in via giudiziaria, giustiziale, in autotutela espressa o, nei soli casi consentiti, straordinaria da parte dell’autorità competente».
La presunzione di legittimità che assiste il provvedimento nel momento in cui esso è adottato risponde, come osservato nella sentenza in esame, a canoni costituzionali di certezza del diritto, stabilità dei rapporti, effettività del potere siccome funzionalizzato al perseguimento dell’interesse pubblico.
Il Consiglio ha ricordato anche che «il permesso di costruire è un provvedimento autoritativo che, per quanto privo di indole concessoria, ha natura solo tendenzialmente vincolata perché richiede sempre un minimo esercizio di discrezionalità e lo svolgimento di una attività istruttoria complessa, quantomeno in ordine all’accertamento dei presupposti di fatto e diritto previsti dalla legge e dalla disciplina pianificatoria per il rilascio dei titoli».[1]
Sulla scorta di tali argomentazioni, nel respingere l’appello proposto, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto dirimente la circostanza che i titoli edilizi via via rilasciati nel tempo dal Comune si fossero consolidati nell’ordinamento giuridico, siccome rimasti inoppugnati, ragion per cui gli stessi non possono più essere rimessi in discussione in sede giudiziaria.
Inoltre, non è ravvisabile in capo al Comune un obbligo giuridico di rimuoverli in autotutela, ancorché conculcato dal privato, trattandosi di poteri (quelli di avvio del procedimento di autotutela decisoria) connotati dalla massima discrezionalità nell’an, appartenenti piuttosto alla sfera libera di determinazione dell’amministrazione, come tali insindacabili e incoercibili.
[1] cfr. Consiglio di Stato sez. IV, n. 7373 del 2021, n. 2965 del 2021, n. 6327 del 2018, n. 6265 del 2018, n. 2366 del 2018.