Il D.P.R. n. 380/2001 e la gerarchia delle fonti.
La presente trattazione intende esaminare, seppure in termini non esaustivi data la vastità dell’argomento, l’intricato e complesso quadro giuridico pubblicistico nel quale si colloca la materia “edilizia”, la cui disciplina è il risultato di una serie di vicende legislative che hanno raggiunto un primo assetto con il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e più volte integrato e modificato, che costituisce da oltre vent’anni la fonte statale di riferimento del settore.
L’impianto normativo del D.P.R. n. 380/2001 è suddiviso in tre parti: nella PARTE I sono collocate le “Disposizioni generali” che disciplinano l’attività edilizia, con specifico riferimento ai titoli abilitativi, all’agibilità dei manufatti nonché alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia e alle sanzioni applicabili. La PARTE II è dedicata alla “Normativa tecnica per l’edilizia” per la realizzazione dei manufatti pubblici e privati, valida sull’intero territorio nazionale; mentre nella PARTE III, rubricata “Disposizioni finali”, sono elencate espressamente le precedenti norme abrogate e rimaste in vigore.
Orbene, prima di procedere all’analisi del Testo Unico con particolare riferimento alle disposizioni che disciplinano l’attività edilizia, si rammenta che la normativa in menzione ha ridisegnato compiutamente la materia edilizia in funzione dell’esigenza di ricondurre ad una visione unitaria ed organica il precedente assetto normativo, caratterizzato da un’accentuata dispersione e frammentazione, con l’obiettivo di sistematizzare le varie disposizioni legislative e regolamentari esistenti, procedendo altresì alla delegificazione dei profili concernenti gli aspetti organizzativi e procedimentali afferenti all’attività edilizia in generale[1].
Oltre al richiamato D.P.R. n. 380/2001, nell’attuale panorama normativo l’edilizia è regolata a livello regionale dalla L.R. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (“Legge per il governo del territorio”), nonché dalle norme di attuazione degli strumenti urbanistici e dal regolamento edilizio: invero, ai sensi dell’art. 117 Cost., tale materia, quale parte della più generale materia del “governo del territorio” rientra, per i profili pubblicistici, tra quelle di “legislazione concorrente”, nelle quali “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.
In tale prospettazione, il D.P.R. n. 380/2001 fa ripetutamente esplicito richiamo al potere legislativo regionale che, in ogni caso, salvo quanto espressamente previsto dal legislatore statale, non può interferire con le regole di diritto privato né con quelle di diritto penale riservate allo Stato, né ridurre i livelli essenziali delle prestazioni che il sistema vuole garantiti in qualsiasi parte del territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m), tra i quali rientrano anche le garanzie procedimentali e le misure di semplificazione dei controlli amministrativi sulle attività dei privati ex art. 29 della legge n. 241/1990.
Ciò posto, nel puntualizzare che le proprie norme non possono in alcun caso essere interpretate nel senso dell’attribuzione allo Stato di funzioni e compiti trasferiti, delegati o comunque conferiti alle Regioni e agli enti locali dalle disposizioni vigenti alla data della sua entrata in vigore, il D.P.R. n. 380/2001 ricostruisce il quadro delle fonti chiarendo all’art. 2 che “1. Le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico. 2. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione. 3. Le disposizioni, anche di dettaglio, del testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi”.
Con riferimento ai comuni il comma 4 della norma in esame dispone che gli stessi, “nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, disciplinano l’attività edilizia” secondo quanto disposto dall’art. 118 Cost. e dall’art. 3 del T.U. Enti locali. Il ruolo dei regolamenti comunali edilizi è meglio evidenziato dall’art. 4, che ne indica il contenuto minimo, specificando che devono contenere “la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi”.
In linea con la surrichiamata evoluzione generale della materia, l’art. 4, comma 1-sexies[2] ha demandato al Governo, alle Regioni e alle autonomie locali, la conclusione di accordi o intese per l’adozione di uno scheda di regolamento Edilizio-Tipo (R.E.T.) al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti richiesti, sollecitando in modo esplicito l’indicazione dei requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico: “ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, tali accordi costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.
Lo schema in parola — che reca negli allegati 42 definizioni standardizzate uniformi cui dovrebbero adeguarsi tutti i comuni e la raccolta delle disposizioni sovraordinate in materia edilizia — è stato approvato con D.P.C. del 20 ottobre 2016 (G.U. n. 268 del 16 novembre 2016) ed è stato recepito dalla Regione Lombardia mediante la D.G.R. n. XI/695 del 24 ottobre 2018, pubblicata sul B.U.R.L. n. 44, Serie Ordinaria, del 31 ottobre 2018.
La disciplina “basica” dell’attività edilizia di cui sopra è integrata da una serie di norme finalizzate alla tutela degli interessi culturali, paesaggistici, storico-artistici e archeologici (D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42), ambientali (D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152) e degli altri vincoli (idrogeologici, antisismici, ecc.) a vario titolo imposti sul territorio.
La realizzazione degli interventi edilizi nel D.P.R. n. 380/2001 e nella disciplina regionale.
In questo assetto normativo caratterizzato dalla competenza ripartita tra Stato e Regioni in materia edilizia, la classificazione degli interventi dal punto di vista urbanistico-edilizio trova il proprio riferimento normativo all’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, nell’ambito del quale il legislatore ha individuato sei macro-categorie di interventi edilizi che si distinguono in:
- i) interventi di manutenzione ordinaria (art. 3, comma 1 lett. a): sono interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;
- ii) interventi di manutenzione straordinaria (art. 3, comma 1, lett. b): include le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso. All’interno di detta categoria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purché l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del D.lgs. n. 42/2004;
iii) interventi di restauro e di risanamento conservativo (art. 3, comma 1 lett. c): riguarda gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio;
- iv) interventi di ristrutturazione edilizia (art. 3, comma 1 lett. d): sono gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza; resta fermo che, in caso di immobili sottoposti a tutela ai sensi D.lgs. n. 42/2004, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lett. c) e d), e 142 del medesimo, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al D.M. 1444/1968, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico devono essere mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non devono essere previsti incrementi di volumetria;
- v) interventi di nuova costruzione (art. 3, comma 1 lett. e): si configurano in questa categoria tutti gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti, oltre a quelli specificatamente richiamati dalla norma[3].
- vi) interventi di ristrutturazione urbanistica (art. 3, comma 1 lett. f): sono quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.
È da osservarsi che le su indicate definizioni in ordine alle tipologie di intervento ai sensi art. 3, comma 2 “prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Resta ferma la definizione di restauro prevista dall’art. 29, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004[4]”.
Richiamato il quadro normativo di riferimento, che sarà oggetto di approfondimento nel proseguo della trattazione, deve rammentarsi che, secondo quanto statuito dalla Corte costituzionale nella nota pronuncia n. 309/2011[5], le disposizioni che definiscono le categorie di interventi edilizi, alla quale si collega il regime dei titoli abilitativi, costituiscono principi fondamentali della materia del “governo del territorio”, vincolando, in tal modo, la legislazione regionale di dettaglio che può introdurre disposizioni più restrittive di quelle statali e, quindi, assoggettare a titoli abilitativi interventi che per la legge statale sarebbero liberi, ma non viceversa.
In ossequio al principio affermato nella sentenza in riferimento, la L.R. n. 12/2005 ha subito una profonda trasformazione ad opera della L.R. n. 18/2019 (“Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre leggi regionali”), la quale – in ordine a tale profilo – ha inteso operare un riallineamento delle disposizioni regionali alla normativa in materia dettata a livello statale, con la conseguenza che, dall’elenco delle norme del T.U. che non trovano diretta applicazione in Regione Lombardia[6], è stato ineluttabilmente soppresso il riferimento all’art. 3 del d.p.r. n. 380/2001 che è divenuta norma di riferimento anche nell’ordinamento regionale lombardo. Invero, l’art. 27 della L.R. n. 12/2005, rubricato “Interventi edilizi”, attualmente dispone che “gli interventi edilizi sono definiti all’articolo 3 del d.p.r. 380/2001” quando, come si ricorderà, nella versione previgente la norma riportava una dettagliata declaratoria degli interventi, completamente eliminata a seguito della richiamata riforma del 2019.
[1] L’archetipa disciplina – che ha la sua fonte “storica” nei regolamenti edilizi comunali risalenti agli ordinamenti degli Stati preunitari che affidavano ai Comuni la regolamentazione dell’attività edilizia nei centri urbani – è stata infatti tracciata dalla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, che ha avuto interventi riformatori tramite la legge 6 agosto 1967 n. 765 (cd. “Legge Ponte”) e la legge 28 gennaio 1977 n. 10 (cd. “Legge Bucalossi”) a cui erano seguite altre disposizioni normative, spesso settoriali e disorganiche, collocate in testi di diversa natura, quali quelle sulla agibilità (già nel T.U. sulle leggi sanitarie), quelle tecniche sui sistemi costruttivi (legge n. 10/1991), quelle per le zone sismiche e quelle più recenti sui consumi energetici.
[2] Comma introdotto dall’art. 17-bis della legge n. 164/2014.
[3]“e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6); e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal Comune; e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato; e.4) l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione; e.5) l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti; e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale; e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato”;
[4] Sull’ambito applicativo di tale norma si segnala la recente pronuncia Consiglio di Stato, Sez. IV, 20/07/2023 n. 7132 secondo cui “L’art. 3, ultimo comma, del d.P.R. n. 380/2001, nella parte in cui afferma che le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi, va interpretato in modo tale che la disciplina urbanistica comunale non possa offrire agli interventi una classificazione diversa da quella ivi stabilita, né traslare i medesimi dall’una all’altra tipologia, ma non può essere inteso pure nel senso che, in sede di pianificazione generale e/o esecutiva, non possano essere definite le modalità quali-quantitative degli interventi e, quindi, anche limitare la portata di questi ultimi in termini di impatto sull’esistente impianto urbanistico, tanto più quando il singolo intervento si inserisce in un piano inteso al risanamento di un contesto urbano secondo linee filologiche di recupero dei caratteri storico-architettonici, anche al fine di ripristinare un armonico sviluppo di una più ampia schiera edilizia”.
[5] Nella sentenza Corte Costituzionale, 23/11/2011, n. 309 è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della L.R. n. 12/2005 che, nel definire come ristrutturazione edilizia interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma, si poneva in contrasto con il principio fondamentale stabilito dall’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380/2001, con conseguente violazione dell’art. 117, comma 3 Cost., in materia di governo del territorio. Parimenti, è stato giudicato lesivo dell’art. 117, comma 3, Cost., l’art. 103 nella parte in cui, qualificando come “disciplina di dettaglio” numerose disposizioni legislative statali, prevedeva la disapplicazione della legislazione di principio in materia di governo del territorio dettata dall’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 con riguardo alla definizione delle categorie di interventi edilizi.
[6] Secondo quanto disposto dall’art. 103 della L.R. n. 12/2005.