Il permesso di costruire in deroga e il rapporto con le previsioni urbanistiche.
A conclusione della presente disamina si intende soffermarsi sull’istituto del «Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici», quale ipotesi eccezionale di permesso di costruire contemplata all’articolo 14 del D.P.R. n. 380/2001 che si distingue dall’ordinario titolo edilizio in quanto consente di autorizzare interventi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti.
La particolarità dell’istituto, la sua natura sostanzialmente discrezionale e le possibili conseguenze che il suo utilizzo possono determinare sul programmato assetto del territorio hanno indotto il legislatore a delimitarne – nei limiti più avanti precisati – l’ambito di operatività allo scopo di evitare che un uso poco accorto dell’istituto si risolvesse, nella pratica, in un surrettizio aggiramento della pianificazione.
L’articolo 14, comma 1 del D.P.R. n. 380/2001, innanzitutto, ne ha ammesso il rilascio esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia».
Non è necessario che l’interesse pubblico attenga al carattere pubblico dell’edificio o del suo utilizzo, ma è sufficiente che coincida con gli effetti benefici per la collettività che dalla deroga potenzialmente derivano, in una logica di ponderazione e contemperamento calibrata sulle specificità del caso, ed esulante da considerazioni meramente finanziarie.[1]
Al comma 1-bis – introdotto all’interno dell’articolo 14 D.P.R. n. 380/2001 da parte del decreto cd. «Sblocca Italia» e modificato dal decreto cd. «Semplificazioni» – è specificato che «per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l’interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell’insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall’articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214».[2]
La norma in esame, dopo aver precisato al comma 2 che «dell’avvio del procedimento viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241», aggiunge al successivo comma 3 che «la deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché le destinazioni d’uso ammissibili, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444».[3]
Pertanto, la deroga al permesso di costruire non può incidere sulle scelte di tipo urbanistico, potendo operare solo nel caso in cui l’area sia edificabile secondo le previsioni di Piano, con la conseguenza che «non può ritenersi ammissibile il rilascio di permessi in deroga, ad esempio, per aree a destinazione agricola o a verde pubblico o privato mancando in tal caso il presupposto dell’edificabilità dell’area necessario non per il rilascio in deroga del permesso di costruire ma per il permesso stesso. Analogamente, si è escluso che la deroga possa riguardare aumenti di volumetria rispetto a quelli oggetto di pianificazione potendo consentire soltanto, a parità di volume edificabile, che l’intervento si concretizzi, ad esempio, con altezza, superficie coperta, destinazione diverse da quelle previste dal PRG. Ne consegue che, al di fuori dei limiti indicati dalla disposizione contenuta nell’art. 14 D.P.R. n. 380/2001, viene a configurarsi un’ipotesi di variante urbanistica la cui approvazione è soggetta alla specifica disciplina». (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. II, 05/01/2023, n.117).
Ciò posto, secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa il permesso di costruire in deroga «rappresenta l’espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale», il quale è «chiamato ad operare una comparazione tra l’interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l’interesse costruttivo». (Consiglio di Stato, sez. VI, 14/06/2021, n.4591).
Va precisato che, nell’ambito di tale complesso procedimento, il Consiglio comunale assume competenze non sovrapponibili rispetto a quelle dell’ufficio tecnico che, prima di trasmettere la documentazione al Consiglio comunale per la valutazione tecnico-politica sull’assentibilità o meno della istanza di variante in deroga, istruisce la pratica in ordine alla “fattibilità” tecnico-giuridica dell’operazione. Con la conseguenza che – ove riscontri ostacoli tecnico-edilizi che escludono già dal punto di vista edilizio l’accoglibilità della richiesta – l’ufficio tecnico ben può concludere la verifica di “prefattibilità” con un diniego rivolto alla parte interessata, senza investire inutilmente il Consiglio comunale.
Sulla scorta di quanto sopra, «la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all’art. 14, commi 1-bis, 2 e 3, d.P.R. 380/2001 per il rilascio dei permessi di costruire in deroga costituisce condizione minima necessaria, ma non sufficiente, per l’assentibilità dell’intervento, permanendo in capo all’amministrazione un’ampia discrezionalità circa l’an e il quomodo dell’eventuale assenso».[4]
In tale prospettazione, si è giunti ad affermare che «la disciplina del silenzio-assenso ex art. 20, comma 8, del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 non si applica alle ipotesi di permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 del medesimo d.P.R., in considerazione del percorso procedurale che connota le stesse, in cui si innesta una imprescindibile valutazione ampiamente discrezionale del Consiglio comunale in ordine all’interesse pubblico dell’intervento».
Inoltre, l’esistenza di una così particolare articolazione procedimentale evidenzia una incompatibilità funzionale e strutturale altresì con la disciplina prevista dall’articolo 36 del D.P.R. n. 380/2001[5] per l’accertamento di conformità delle opere edilizie realizzate in assenza di titolo abilitativo.[6]
In primo luogo, sembra ostarvi il tenore letterale dell’articolo 14 che disciplina il procedimento amministrativo finalizzato al rilascio del permesso in deroga prevedendo la previa deliberazione del Consiglio comunale e specifiche garanzie partecipative per i soggetti interessati che risultano del tutto incompatibili con una valutazione postuma di tali dati.
In secondo luogo, risulta assai arduo immaginare come possa rinvenirsi il requisito della cd. “doppia conformità” delle opere sia al momento della realizzazione dell’intervento senza titolo, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria «alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente» con un titolo abilitativo che ha come presupposto la deroga agli strumenti urbanistici generali.
[1] Consiglio di Stato, Sez. IV, 05/06/2015, n.2761.
[2] Comma così sostituito dall’art. 10, comma 1, lettera f), della legge n. 120/2020.
[3] Comma modificato dall’articolo 17, comma 1, lettera e), della legge n. 164/2014, poi dall’articolo 10, comma 1, lettera f), della legge n. 120/2020.
[4] Consiglio di Stato, Sez. VI, 14/06/2021, n.4591.
[5] Si rammenta che l’articolo 36, comma 1 – rubricato «Accertamento di conformità» – dispone che «In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 23, comma 01, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda».
[6] Cassazione penale, sez. III 28/04/2011 n. 16591.