GIUGNO 23 – Piano Particolareggiato Piano Lottizzazione Piani Attuativi

Gli strumenti di pianificazione attuativa: il Piano particolareggiato e il Piano di lottizzazione.

Nell’ambito degli strumenti di pianificazione attuativa assumono particolare rilevanza il Piano particolareggiato e il Piano lottizzazione la cui disciplina, come precedentemente anticipato, risale alla legge urbanistica n. 1150/1942.

Il Piano particolareggiato di esecuzione previsto dall’articolo 13 della legge n. 1150/1942 costituisce l’archetipo dei Piani attuativi a cui il legislatore ha affidato la funzione di specificare, in relazione a porzioni del territorio comunale, i contenuti del Piano regolatore al fine di consentire l’attuazione concreta delle previsioni dello stesso.

In particolare, l’articolo 13, comma 1 della legge n. 1150/1942, dopo aver previsto che «il piano regolatore generale è attuato a mezzo di piani particolareggiati di esecuzione», specifica che lo stesso deve contenere l’indicazione delle «reti stradali e i principali dati altimetrici di ciascuna zona», oltre alle «masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze; gli spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico; gli edifici destinati a demolizione o ricostruzione ovvero soggetti a restauro o a bonifica edilizia; le suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili secondo la tipologia indicata nel piano; gli elenchi catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare; la profondità delle zone laterali a opere pubbliche, la cui occupazione serva ad integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze future».

Il Piano particolareggiato deve essere eseguito in un termine prefissato non superiore a dieci anni (articolo 16, comma 5), decorso il quale lo stesso «diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso» (articolo 17, comma 1).

In proposito, con la recente pronuncia n. 112/2023, il T.A.R. Abruzzo si è espresso circa le conseguenze della decadenza del Piano particolareggiato statuendo che «le aree all’interno del piano particolareggiato decaduto, in forza dell’art. 17, comma 1, L. n. 1150 del 1942, non sono prive di regolamentazione urbanistica, in quanto permane la disciplina di pianificazione generale e quella di linea fondamentale ed essenziale di pianificazione attuativa, e ciò a differenza delle aree sprovviste della disciplina dello strumento urbanistico generale o con i vincoli di inedificabilità decaduti (c.d. zone bianche). Infatti, in materia edilizia, il regime delle “zone bianche” di cui all’art. 9 d.P.R. n. 380 del 2001 (ex art. 4 L. n. 10 del 1977) deve ritenersi operante laddove difetti la programmazione d’uso del territorio e rappresenta una salvaguardia al possibile riespandersi indifferenziato dello ius aedificandi, insito nel diritto di proprietà. Pertanto, in presenza del piano attuativo decaduto non può che farsi riferimento alla norma di cui all’art. 17 della Legge n. 1150 del 1942 (legge urbanistica) e, dunque, alle previsioni del medesimo piano, il quale perde la propria efficacia per le sole previsioni di natura espropriativa, ma la preserva per il resto, con l’effetto di essere “ultrattivo” ossia di potere dettare la disciplina d’uso del territori». (T.A.R. Campobasso, (Abruzzo) sez. I, 09/03/2023, n.112).[1]

Strumento attuativo alternativo al Piano particolareggiato è il Piano di lottizzazione che – seppure pensato dal legislatore del 1942 quale Piano integrativo del Piano particolareggiato di esecuzione – a seguito delle modifiche intervenute all’originaria formulazione dell’articolo 28 della legge n. 1150/1942 da parte della cd. «Legge Ponte»[2], si è trasformato in un Piano alternativo ed equiordinato al Piano particolareggiato sotto il profilo dei contenuti pianificatori.

Tuttavia, mentre il Piano particolareggiato è esclusivamente di iniziativa pubblica (articolo 16), il Piano di lottizzazione è ad iniziativa privata (articolo 28, comma 1 e 6 della legge n. 1150/1942) od a iniziativa d’ufficio.  Infatti, accanto alla lottizzazione ad iniziativa privata – che costituisce la regola – l’articolo 28, comma 11 e 12 della legge n. 1150/1942 prevede che, laddove non sia stato raccolto dai proprietari l’invito del Comune a presentare una proposta di Piano di lottizzazione entro un termine stabilito, questa viene redatta dal Comune e notificata ai proprietari per la loro adesione e, in mancanza, lo stesso ha facoltà di variare il progetto di lottizzazione in conformità alle richieste degli interessati o di procedere all’espropriazione delle aree.

Inoltre, a differenza del Piano particolareggiato – in cui il Comune agisce autoritativamente – il Piano di lottizzazione è fondato sull’accordo con gli interessati: l’articolo 28, comma 5 della legge n. 1150/1942 dispone, infatti, che «l’autorizzazione comunale è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario», quale momento conclusivo dell’iter di formazione del Piano di lottizzazione di iniziativa privata, che ne condiziona la validità ed efficacia.

In merito al rapporto tra approvazione del Piano di lottizzazione e successiva stipula e trascrizione della convenzione di lottizzazione, si segnala la pronuncia Consiglio di Stato Sez. IV, 22/12/2022, n. 11209 secondo cui «l’amministrazione, dopo avere approvato un piano di lottizzazione e prima della stipula della relativa convenzione, può rivedere le proprie determinazioni pianificatorie sulla medesima area (e quindi, conseguentemente, decidere di non stipulare più la convenzione di lottizzazione); ciò discende dalla natura meramente programmatoria del piano di lottizzazione che è, di per sé, inidoneo a far sorgere in capo ai privati aspettative giuridicamente qualificate». Da quanto innanzi detto discende che «solo dopo la stipula della convenzione di lottizzazione si perfeziona lo strumento urbanistico attuativo e l’area interessata riceve una disciplina urbanistica che consente di procedere all’edificazione, in concorso con la dotazione dell’area delle necessarie opere di urbanizzazione, ed al rilascio delle singole concessioni edilizie».

Precisato ciò, il richiamato comma 5 prosegue delineando il contenuto necessario della convenzione di lottizzazione come segue:

«1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate all’articolo 4 della legge 29 settembre 1964, n. 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n 2;

2) l’assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all’entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni;

3) i termini non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere ultimata l’esecuzione delle opere di cui al precedente paragrafo;

4) congrue garanzie finanziarie per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione».

In proposito, si osserva che «la convenzione di lottizzazione, rientrando nel genere degli accordi di cui all’art. 11 della l. n. 241/1990, è soggetta ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti e, quindi, anche alla disciplina in materia di risoluzione del contratto, con la conseguenza che, laddove le parti non abbiano attribuito natura essenziale al termine decennale convenuto per l’esecuzione dei lavori, la semplice scadenza dello stesso non determina l’automatica risoluzione del contratto». (T.A.R. Brescia, (Lombardia) sez. II, 18/11/2022, n.1153)

 

3.1 Focus: durata ed efficacia dei Piani attuativi.

L’analisi dei Piani attuativi, come disciplinati dalla legge n. 1150/1942, richiede di fare un ulteriore approfondimento in riferimento a quanto disposto sulla durata ed efficacia dei Piani particolareggiati alla luce delle pronunce della giurisprudenza che ne hanno chiarito la portata applicativa.

Come si è già avuto modo di evidenziare nel paragrafo precedente, l’articolo 16 della legge n. 1150/1942 – rubricato «Approvazione dei piani particolareggiati» – stabilisce al quinto comma il termine massimo di dieci anni entro il quale il Piano particolareggiato deve essere attuato, per poi prevedere al successivo primo comma dell’articolo 17 che «decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato, questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione», soggiungendo che resta «fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso».

La costante interpretazione giurisprudenziale di tale norma ha condotto, in un’ottica costituzionalmente orientata, a chiarire che l’intervenuta decadenza del Piano per il decorso del tempo fissato ex lege per la sua attuazione non determina automaticamente l’inedificabilità delle aree oggetto della pianificazione ed il conseguente blocco di ogni attività nella zona, dovendosi ritenere consentito il completamento delle opere di urbanizzazione in corso di realizzazione e l’edificazione, in conformità alle prescrizioni urbanistiche di zona (cioè secondo gli indici di edificabilità praticati secondo il piano), nelle aree già lottizzate e dotate delle opere di urbanizzazione.

L’articolo 17, comma 1 della legge n. 1150/1942 – nel disciplinare la cd. “ultrattività residuale dei piani particolareggiati decaduti per decorso del tempo” – ha la duplice funzione, per un verso, di precludere la proroga sine die di Piani attuativi mai avviati (o rimasti inattuati o quasi del tutto inattuati) ed ormai scaduti (e presumibilmente obsoleti in quanto non più conformi alle mutate esigenze urbanistiche) e, per altro verso, di salvare le opere già realizzate, consentendo comunque (al fine di evitare un “danno urbanistico/ambientale” maggiore rispetto a quello cagionato dalla visione della incompiutezza delle opere) il completamento urbanistico delle aree nelle quali la pianificazione sia stata correttamente avviata, consentendo, cioè, l’ultimazione delle opere di urbanizzazione in corso e l’ordinata edificazione, in conformità agli indici praticati nella zona secondo le disposizioni del Piano stesso. [3]

La giurisprudenza amministrativa è ferma nel ritenere che tale normativa trovi applicazione anche con riferimento ai Piani attuativi diversi dal Piano particolareggiato ed ha statuito che «i piani attuativi e i piani ad essi equiparati rimangano efficaci dopo la scadenza del termine previsto per la loro esecuzione, con riguardo alle previsioni dello strumento attuativo che comportino la concreta e dettagliata conformazione della proprietà privata; tali previsioni rimangono efficaci a tempo indeterminato poiché costituiscono le regole determinative del contenuto della proprietà delle aree incluse nel piano attuativo; mentre con il decorso del termine decennale diventano inefficaci le sole previsioni del piano attuativo che non hanno concreta attuazione, nel senso che non è più consentita la sua ulteriore esecuzione, cosicché non possono più eseguirsi gli espropri preordinati alla realizzazione delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria, salva la possibilità di ulteriori costruzioni coerenti con le vigenti previsioni del piano regolatore generale e con le prescrizioni del piano attuativo». (Consiglio di Stato, Sez. VI, 25/10/2022, n.9065).

A corollario discende che «alla scadenza del termine di efficacia, sopravvivono, quindi, la destinazione di zona, la destinazione ad uso pubblico di un bene privato, gli allineamenti, le prescrizioni di ordine generale e quant’altro attenga all’armonico assetto del territorio, trattandosi di misure che devono rimanere inalterate fino all’intervento di una nuova pianificazione, non essendo la stessa condizionata all’eventuale scadenza di vincoli espropriativi o di altra natura».[4]

Occorre precisare che, «le conseguenze della scadenza dell’efficacia del piano attuativo (ovvero dei piani a questo equiparati) si esauriscono nell’ambito della sola disciplina urbanistica, non potendo invece incidere sulla validità ed efficacia delle obbligazioni assunte dai soggetti attuatori degli interventi. Quindi, resta in vigore il complesso delle prescrizioni in cui questo si articola, in particolare per quanto concerne gli obblighi correlati alla cessione delle aree destinate alle opere di urbanizzazione». (Consiglio di Stato, Sez. IV, 30/12/2022, n.11734).

Altro tema di interesse riguarda le condizioni che devono essere rispettate quando sopravviene una nuova norma di P.R.G. affinché quest’ultima ponga nel nulla le disposizioni ultrattive. In particolare, secondo i giudici di Palazzo Spada «nel caso in cui le previsioni di un sopravvenuto piano regolatore generale vadano a sovrapporsi su quelle del precedente piano attuativo, dall’art. 17 in argomento si evince un ulteriore principio, secondo il quale l’autorità urbanistica può modificare le specifiche prescrizioni dello strumento attuativo, in base a una motivata valutazione dello stato dei luoghi e delle posizioni venutesi a consolidare e su cui si va ad incidere; con la conseguenza che se tale modifica è effettuata con una variante speciale, prevalgono le prescrizioni disposte con la variante al piano regolatore, approvata proprio per incidere su quelle desumibili dallo strumento attuativo. Invece, nel caso di approvazione di una variante generale al piano regolatore generale, o vi è un espresso e specifico richiamo alle prescrizioni del precedente strumento attuativo su cui si intenda incidere, oppure – in assenza di tale richiamo – tale approvazione è irrilevante per la perdurante efficacia delle prescrizioni del piano attuativo». (Consiglio di Stato, Sez. IV, 12/07/2018, n.4273)

In definitiva, affinché cessi la ultrattività, una successiva variante al P.R.G. deve prevedere espressamente e motivatamente una disciplina diversa rispetto a quanto risultante dal Piano attuativo, non essendo sufficiente una diversa regolazione dell’area senza alcun riferimento ai Piani attuativi non attuati, in presenza della quale e mancando la deroga espressa, quelli approvati e non attuati vanno ad integrare il Piano regolatore nuovo.

 

[1] Il tema sarà oggetto di approfondimento al paragrafo 3.1.

[2] Legge n. 765/1967.

[3] Consiglio di Stato, Sez.VI, 23/08/2021 n. 6012.

[4] Consiglio di Stato, Sez. VI, 25/10/2022, n.9065.