L’illegittimità della sanatoria edilizia dopo l’acquisizione al patrimonio comunale: i chiarimenti della Corte di Cassazione
La Cassazione penale ha recentemente reso la sentenza n. 46702 del 2023, rilevando che il D.P.R. n. 380/2001 all’articolo 31 «prevede, quale conseguenza della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, un’automatica fattispecie acquisitiva al patrimonio del comune dell’opera abusiva e della relativa area di sedime», atteso che «i suoi commi 3 e 4 così dispongono:
“3. Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.
- L’accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente”».
Si è ricordato che «secondo consolidata giurisprudenza, l’ingiustificata inottemperanza all’ordine di demolizione dell’opera abusiva e rimessione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla notifica dell’ingiunzione a demolire emessa dall’Autorità amministrativa, determina l’automatica acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’opera e dell’area pertinente. L’effetto acquisitivo si verifica […] senza che sia necessaria né la notifica all’interessato dell’accertamento dell’inottemperanza né la trascrizione, in quanto il primo atto ha solo funzione certificativa dell’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà, costituendo titolo per l’immissione in possesso, mentre la trascrizione serve a rendere opponibile il trasferimento ai terzi a norma dell’art. 2644 c.c. […]».
La Corte ha inoltre aggiunto che, in ossequio ad orientamenti consolidati, «il rilascio di concessione o permesso in sanatoria del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ex art. 36, non presuppone, quale atto implicito, la rinuncia da parte del Comune al diritto di proprietà sull’opera abusiva già acquisita al suo patrimonio a seguito del decorso del termine di 90 giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione, non essendovi coincidenza, sul piano della competenza, tra l’organo adottante l’atto presupponente (permesso in sanatoria) – ufficio tecnico comunale – e l’organo competente alla adozione dell’atto presupposto implicito (rinuncia al diritto di proprietà), da individuarsi in distinti e superiori organi comunali […]» ritenendo, pertanto, che «il permesso di costruire in sanatoria, successivo all’acquisizione al patrimonio immobiliare del comune, sia illegittimo, in quanto emesso a favore di un soggetto che non era più titolare del bene, spettando al comune di stabilire se mantenere o demolire l’opera […]»[1].
Ciò posto, è stato anche chiarito che «tale illegittimità può e deve essere rilevata dal giudice dell’esecuzione» in quanto «la giurisprudenza della Corte ha difatti ribadito che il sindacato del giudice penale sul titolo abilitativo edilizio non costituisce esercizio del potere di disapplicàzione, bensì doverosa verifica dell’integrazione della fattispecie penale […] e che tale potere/dovere deve essere esercitato anche riguardo a provvedimenti amministrativi di sanatoria o condono, poiché il mancato effetto estintivo non è riconducibile ad una valutazione di illegittimità del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale […]» e «questa Corte ha anche affermato che analogo potere/dovere deve essere esercitato nel giudizio di esecuzione; con riferimento al quale ha precisato che il rilascio del titolo abilitativo conseguente alla procedura di “condono edilizio” non determina l’automatica revoca dell’ordine di demolizione, permanendo in capo al giudice l’obbligo di accertare la legittimità sostanziale del titolo sotto il profilo della sua conformità alla legge […]. Infatti, se è ben vero che l’ordine di demolizione legittimamente impartito dal giudice con la sentenza di condanna per un reato edilizio è suscettibile di revoca quando esso risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all’immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività […], è altrettanto vero che il giudice dell’esecuzione – investito dell’istanza di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione conseguente a condanna per costruzione abusiva – ha il potere/dovere di verificare la legittimità e l’efficacia del titolo abilitativo, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, qualora trovino applicazione disposizioni introdotte da leggi regionali, la conformità delle stesse ai principi generali fissati dalla legislazione nazionale […]».
Abusi edilizi ed accertamento di conformità: la P.A. deve verificare la sanabilità dell’opera prima di ingiungere la demolizione?
Il Consiglio di Stato ha di recente confermato il proprio orientamento consolidato a mente del quale la P.A., dopo aver riscontrato un abuso edilizio, non è onerata di verificare la sanabilità dell’opera prima di ingiungere la demolizione: si è affermato, invero, che «la conformità urbanistica delle opere deve essere oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione comunale solo nell’ipotesi in cui il privato abbia presentato un’istanza di accertamento di conformità» (Consiglio di Stato sez. VI, n. 9866/2023 )[2].
A tal uopo è stato peraltro richiamato altro precedente di legittimità con cui si era statuito che «in presenza di abusi edilizi, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all’autorità comunale, prima di emanare l’ordinanza di demolizione, di verificarne la sanabilità ai sensi dell’art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 e tanto si evince chiaramente dagli artt. 27 e 31, del medesimo d.P.R. n. 380, cit. che obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dallo stesso art. 36 che rimette all’esclusiva iniziativa della parte interessata l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica ivi disciplinato […]» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 5457/2021).
[1] https://www.lavoripubblici.it/news/sanatoria-edilizia-acquisizione-patrimonio-comunale-effetti-ordine-demolizione-32265
[2] https://www.lavoripubblici.it/news/abusi-edilizi-accertamento-conformita-nessun-obbligo-verifica-pa-32181