LUGLIO 2023 – Potere delle Regioni regime di edilizia libera ad interventi ulteriori

Il potere delle Regioni di estendere il regime di edilizia libera ad interventi ulteriori: limiti e confini delineati dalle principali pronunce della Corte costituzionale.

 

Ad integrazione di quanto sancito dal primo comma, l’articolo 6 del D.P.R. n. 380/2001 al sesto comma stabilisce che «le regioni a statuto ordinario:

 

  1. a) possono estendere la disciplina di cui al presente articolo a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dal comma 1, esclusi gli interventi di cui all’articolo 10, comma 1, soggetti a permesso di costruire e gli interventi di cui all’articolo 23, soggetti a segnalazione certificata di inizio attività in alternativa al permesso di costruire[1];

 

  1. b) disciplinano con legge le modalità per l’effettuazione dei controlli[2]».

 

Si evince da tale disposizione che oltre agli interventi elencati nella normativa statale ed alle eventuali previsioni degli strumenti urbanistici comunali, un’ulteriore fonte a cui fare necessario riferimento ai fini della corretta individuazione degli interventi di edilizia libera è rappresentata dalla legislazione regionale, che può specificarne ed integrarne il contenuto: in proposito può osservarsi che la norma – nella formulazione vigente – pone dei limiti a tale facoltà, restando comunque escluso che il legislatore regionale possa liberalizzare degli interventi che la disciplina statale assoggetta a permesso di costruire o a SCIA alternativa al permesso di costruire.

 

A tal uopo, atteso che la suddetta precisazione è stata inserita ad opera del cd. «Decreto SCIA 2», giova ricordare come i confini del potere integrativo in capo alle Regioni siano stati delineati nel tempo attraverso delle interessanti pronunce della Corte costituzionale, dalle quali sono stati ricavati alcuni principi cardine che meritano di essere ricordati.

 

Al riguardo può citarsi la sentenza n. 231 del 3 novembre 2016[3] o la n. 282 dell’8 novembre 2016[4] o, ancora, la n. 68 del 23 gennaio 2018, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di alcuni articoli della legge della Regione Umbria n. 1/2015 («Testo unico governo del territorio e materie correlate»): proprio quest’ultima decisione appare di estremo interesse in quanto offre un significativo parallelismo con la disciplina precedente alla novella legislativa del 2016 di cui al cd. «Decreto SCIA 2».

 

La pronuncia de qua invero ha preliminarmente ricordato che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale «la definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime dei titoli abilitativi costituisce principio fondamentale della materia concorrente “governo del territorio”, vincolando così la legislazione regionale di dettaglio» (sentenza n. 282 del 2016; nello stesso senso, fra le tante, sentenze n. 231 del 2016, n. 49 del 2016 e n. 259 del 2014). Pertanto, «pur non essendo precluso al legislatore regionale di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali, tale esemplificazione, per essere costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia» (sentenza n. 231 del 2016)» e che «in linea con tale orientamento, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una normativa regionale, analoga a quella ora in esame, che escludeva dall’obbligo di comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato (CILA) nonché di comunicazione semplice (CIL) «le opere interne a singole unità immobiliari, ivi compresi l’eliminazione, lo spostamento e la realizzazione di aperture e pareti divisorie interne che non costituiscono elementi strutturali, sempre che non comportino aumento del numero delle unità immobiliari o implichino incremento degli standard urbanistici», per contrasto con i principi fondamentali della materia contenuti nell’art. 6, comma 2, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 (sentenza n. 282 del 2016).

 

Quest’ultimo, infatti, pur intitolato «[a]ttività edilizia libera», assoggettava (congiuntamente con il comma 4, nel testo in vigore nel momento della proposizione del ricorso) «gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici» alla comunicazione di inizio dei lavori asseverata (CILA).

 

Dopo la proposizione del ricorso, le disposizioni (commi 2 e 4 dell’art. 6) indicate come parametro interposto sono state abrogate dall’art. 3, comma 1, lettera b), n. 4, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222 […] senza che mutasse il quadro normativo dei principi fondamentali di riferimento della materia. L’art. 3, comma 1, lettera c), del citato d.lgs. n. 222 del 2016 ha infatti introdotto l’art. 6-bis nel d.P.R. n. 380 del 2001, che ha confermato il regime di CILA già previsto per i predetti interventi.

 

La norma regionale impugnata, pertanto, là dove prescrive per le cosiddette opere interne un regime di edilizia totalmente libera, escludendo la CILA, contrasta con i principi fondamentali della materia fissati dal legislatore statale. Infatti, come si è già precisato con riguardo agli interventi sottoposti a regime di edilizia libera, le Regioni non possono «differenziarne il regime giuridico, dislocando diversamente gli interventi edilizi tra le attività deformalizzate, soggette a CIL e CILA» (sentenza n. 231 del 2016). L’«omogeneità funzionale della comunicazione preventiva […] rispetto alle altre forme di controllo delle costruzioni (permesso di costruire, DIA, SCIA) deve indurre a riconoscere alla norma che la prescrive – al pari di quelle che disciplinano i titoli abilitativi edilizi – la natura di principio fondamentale della materia del governo del territorio», in quanto volto a garantire l’interesse unitario ad un corretto uso del territorio (sentenza n. 231 del 2016)».

 

Orbene, ferme le ulteriori sopravvenienze normative medio tempore intervenute, dalla complessiva ricostruzione che precede emerge dunque con chiarezza il principio che limita la possibilità per il legislatore regionale – anche all’indomani della riforma del 2016 – di estendere i casi di attività edilizia libera solo ad ipotesi non integralmente nuove, ma «ulteriori», ovvero coerenti e logicamente assimilabili agli interventi tipici sottratti a titolo abilitativo dal comma 1 dell’articolo 6[5], non potendo invero spingersi oltre il confine costituito dai principi fondamentali della materia fissati dal legislatore statale.

 

[1] Lettera modificata dall’articolo 1, comma 1, lettera b), numero 5), del D.lgs. n. 222/2016.

[2]  Lettera sostituita dall’ articolo 17, comma 1, lettera c), numero 4), del D.L. n. 133/2014, convertito con modificazioni dalla L. n. 164/2014.

[3] Con tale pronuncia la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute nella legge della Regione Liguria n. 12/2015 («Disposizioni di adeguamento della normativa regionale»), recante modifiche alla legge regionale n. 16/2008 («Disciplina dell’attività edilizia»).

[4] Avente ad oggetto alcuni articoli della legge della Regione Marche n. 17/2015 («Riordino e semplificazione della normativa regionale in materia di edilizia»).

[5] https://www.teknoring.com/guide/guide-edilizia-e-urbanistica/edilizia-libera-2020-guida-completa/