maggio 23 modalità calcolo oneri e contributo straordinario

Le modalità di calcolo degli oneri di urbanizzazione.

Le considerazioni effettuate nel paragrafo precedente permettono di passare all’analisi delle modalità di calcolo degli oneri di urbanizzazione come disciplinate dall’articolo 16 del D.P.R. n. 380/2001, per poi soffermarsi sulla normativa posta dal legislatore regionale all’articolo 44 della L.R. n. 12/2005.

Nel dettaglio, l’articolo 16 disciplina al quarto comma le modalità di calcolo degli oneri di urbanizzazione disponendo che: «L’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione:

  1. a) all’ampiezza ed all’andamento demografico dei comuni;
  2. b) alle caratteristiche geografiche dei comuni;
  3. c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti;
  4. d) ai limiti e rapporti minimi inderogabili fissati in applicazione dall’articolo 41-quinquies, penultimo e ultimo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modifiche e integrazioni, nonché delle leggi regionali;

d-bis) alla differenziazione tra gli interventi al fine di incentivare, in modo particolare nelle aree a maggiore densità del costruito, quelli di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), anziché quelli di nuova costruzione;

d-ter) alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica o in deroga. Tale maggior valore, calcolato dall’amministrazione comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da quest’ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l’interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l’intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche»[1].

Il comma 4-bis prosegue sancendo che «con riferimento a quanto previsto dal secondo periodo della lettera d-ter) del comma 4, sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali».

In caso di mancata adozione delle tabelle da parte della Regione, e in ogni caso fino alla definizione delle stesse, il quinto comma prevede che i Comuni provvedano, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale secondo i parametri di cui al comma 4, fermo restando quanto previsto dal comma 4-bis.

Il sesto comma aggiunge che «ogni cinque anni i Comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale».

La Regione Lombardia si è opposta alla norma nazionale disponendo all’articolo 103 della L.R. n. 12/2005, rubricato «Disapplicazione di norme statali», che la disciplina di dettaglio prevista dall’esaminato articolo 16 del D.P.R. n. 380/2001 – a esclusione del comma 2-bis – cessa di avere diretta applicazione a seguito dell’entrata in vigore della presente legge.

La modalità di calcolo degli oneri di urbanizzazione è contenuta nell’articolo 44 della L.R. n. 12/2005 che al primo comma dispone che «gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria sono determinati dai comuni, con obbligo di aggiornamento ogni tre anni, in relazione alle previsioni del piano dei servizi e a quelle del programma triennale delle opere pubbliche, tenuto conto dei prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, incrementati da quelli riguardanti le spese generali».

La norma in menzione, dopo aver individuato rispettivamente al terzo e quarto comma le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, detta diverse modalità di quantificazione della quota degli oneri di urbanizzazione a seconda della tipologia di intervento o della natura delle opere: in particolare, al quinto comma è previsto che «gli oneri riguardanti gli edifici residenziali sono definiti nelle tabelle comunali a metro cubo vuoto per pieno della volumetria oggetto del permesso di costruire, ovvero della segnalazione certificata di inizio attività, calcolata secondo la disciplina urbanistico-edilizia vigente nel comune».  Mentre «per le costruzioni e gli impianti destinati alle attività industriali o artigianali nonché alle attività turistiche, commerciali e direzionali, gli oneri sono calcolati al metro quadrato di superficie lorda complessiva di pavimento, compresi i piani seminterrati e interrati la cui destinazione d’uso comporti una permanenza anche temporanea di persone» (comma 6); «per le costruzioni o gli impianti destinati ad attività industriali o artigianali si computa anche la superficie utilizzabile per gli impianti, con esclusione delle opere necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti liquidi, solidi e gassosi al servizio dell’attività produttiva» (comma 7).

Il comma 8 sancisce che «per gli interventi di ristrutturazione edilizia, nonché per quelli di demolizione e ricostruzione, anche con diversa sagoma, o anche per quelli di ampliamento mediante utilizzo di premialità dei diritti edificatori, gli oneri di urbanizzazione, se dovuti, sono riferiti alla volumetria o alla superficie interessate dall’intervento, a seconda che si tratti rispettivamente di edifici a destinazione residenziale o diversa dalla residenza; gli oneri di urbanizzazione sono quelli stabiliti per gli interventi di nuova costruzione, ridotti del sessanta per cento, salva la facoltà per i comuni di deliberare ulteriori riduzioni» ed il comma 11 che «nel caso in cui l’opera per la quale è richiesto il permesso di costruire, ovvero presentata la segnalazione certificata di inizio attività, preveda diverse destinazioni d’uso all’interno dello stesso edificio, la misura del contributo sia determinata sommando tra loro le quote dovute per le singole parti secondo la loro destinazione».

Il comma 14 specifica che nel contributo richiesto per gli oneri di urbanizzazione non sono comprese le tariffe e gli altri diritti eventualmente richiesti, anche in misura forfetaria, per l’allacciamento alle reti elettriche, telefoniche e del gas e ad ogni altro servizio pubblico dei quali sia già dotata la zona interessata dall’intervento.

Inoltre, in riferimento alle costruzioni o agli impianti da eseguirsi nelle aree comprese nei piani per gli insediamenti produttivi previsti dall’articolo 27 della legge 865/1971, nonché per gli insediamenti produttivi da realizzarsi nelle aree attrezzate industriali in attuazione della normativa regionale vigente, il comma 17 puntualizza che «i contributi dovuti sono determinati in sede di adozione dei piani stessi, con facoltà di riduzione al 50 per cento».

La norma si chiude prevedendo al comma 19 che «qualora gli interventi previsti dalla strumentazione urbanistica comunale presentino impatti significativi sui comuni confinanti, gli oneri di urbanizzazione possono essere utilizzati per finanziare i costi di realizzazione di eventuali misure mitigative o compensative».

 

Previsione del contributo straordinario per il maggior valore generato dalle varianti urbanistiche.

Nell’ambito della disciplina sul contributo di costruzione contenuta nel D.P.R. n. 380/2001 e, in particolare all’esaminato articolo 16, è stata inserita per effetto dell’integrazione apportatagli dal D.L. n. 133/2014 (cd. «Sblocca cantieri») una nuova modalità di calcolo degli oneri di urbanizzazione, recentemente riformulata ad opera del D.L. n. 120/2020 (cd. «Decreto Semplificazioni») quanto all’individuazione degli interventi soggetti al contributo straordinario.

In particolare, il D.L. n. 133/2014 ha aggiunto al comma quarto la lettera d-ter) secondo cui le tabelle parametriche devono essere definite dalle Regioni anche in relazione «alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione». La norma prosegue specificando che «tale maggior valore, calcolato dall’amministrazione comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da quest’ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l’interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l’intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche».

Il riportato articolo 16, comma 4, lettera d-ter) è stato oggetto di svariate pronunce giurisprudenziali che ne hanno chiarito la finalità e la portata: in particolare, il Consiglio di Stato, Sez. IV, con sentenza 12/04/2019, n. 2382 ne ha illustrato la natura come segue: «viene in tal modo previsto, più che un criterio di calcolo degli oneri di urbanizzazione “ordinari”, un ulteriore onere rapportato all’aumento di valore che le aree e gli immobili hanno conseguito per effetto di varianti urbanistiche, deroghe o mutamenti di destinazione d’uso. Si tratta, pertanto, di un “contributo straordinario” diverso ed aggiuntivo rispetto agli oneri di urbanizzazione, che va ad aggiungersi nei casi in cui a monte dell’intervento vi sia stata una determinata scelta pianificatoria di natura eccezionale».

In coerenza con le pronunce della giurisprudenza amministrativa e, al fine di superare ogni dubbio interpretativo circa il predetto “contributo straordinario”, come anticipato, la disposizione in commento è stata modificata dall’articolo 10, comma 1, lettera g), del D.L. n. 120/2020 secondo cui «all’articolo 16, comma 4, lettera d-ter), le parole “in deroga o con cambio di destinazione d’uso” sono sostituire dalle seguenti: “o in deroga”».

Come argomentato nella Relazione al Disegno di legge n. 1183 – Senato della Repubblica – XVIII Legislatura, l’eliminazione delle parole «cambio di destinazione d’uso» risulta giustificata dal fatto che il Legislatore ha voluto chiarire che, laddove il cambio d’uso avviene tra quelli considerati ammissibili dallo strumento urbanistico, non essendovi alcuna attribuzione straordinaria di valore immobiliare, non è giustificata la richiesta di pagamento  del contributo straordinario che, altrimenti, risulterebbe avere il carattere del pagamento indebito.[2]

Nello specifico, è stato argomentato che «tale quota del contributo di costruzione è infatti diretta a riservare all’amministrazione comunale almeno metà del plusvalore di cui beneficia il privato a seguito dell’approvazione di una variante urbanistica, che abbia accresciuto le facoltà edificatorie precedentemente riconosciutegli, ovvero per effetto del rilascio di un permesso in deroga. Il mero cambio d’uso tra quelli considerati ammissibili dal piano urbanistico generale non presenta dunque tale carattere di attribuzione straordinaria di valore immobiliare (ed infatti come evidenziato con riferimento alle modifiche relative all’articolo 3, comma 1, lettera b), del testo unico dell’edilizia, il cambio d’uso risulta urbanisticamente rilevante solo quando comporta l’aumento del carico urbanistico ed è già subordinato al pagamento della differenza del contributo di costruzione dovuto tra l’uso originario e quello di progetto). Questa previsione è già presente in ordinamenti regionali vigenti».

Ne consegue che, il versamento del maggior valore di cui all’articolo 16, comma 4, lettera d-ter è esigibile solo  a fronte di una richiesta dell’operatore che abbia domandato una diversa destinazione urbanistica tale da introdurre, mediante variante, nello strumento urbanistico generale, un accrescimento delle facoltà edificatorie precedentemente riconosciutegli, oppure perché questi ha ottenuto un permesso di costruire in deroga con aumento delle capacità edificatorie o di sfruttamento immobiliare.  Laddove, invece, il diverso uso di un fabbricato sia compatibile senza aggravio del carico urbanistico, il legislatore ha inteso agevolare detta attività al fine di non aumentare il consumo di suolo e favorire il riutilizzo di fabbricati esistenti che sono spesso lasciati in condizioni di degrado proprio perché il recupero degli stessi risulta essere troppo oneroso.

 

[1] Il comma 4, lett. d-ter) sarà oggetto di approfondimento al successivo paragrafo 5.

[2]https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1161385/index.html?part=ddlpres_ddlpres1-relpres_relpres1.