Diritti edificatori e cessione di cubatura – regime giuridico dei vincoli conformativi e dei vincoli espropriativi.
Diritti edificatori e cessione di cubatura nella giurisprudenza del Consiglio di Stato.
In tema di diritti edificatori appare di estremo rilievo anche l’istituto della cessione di cubatura, che oltre ad interessare la giurisprudenza civile, è stato recentemente oggetto di una pronuncia del Consiglio di Stato che si intende qui richiamare.
Il Supremo Consesso amministrativo ha, difatti, ricordato che «tale istituto ha trovato la propria specifica ragion d’essere (e si è sviluppato) dopo l’introduzione: i) di limiti inderogabili di densità edilizia in base all’art. 17 della legge n. 765/1967 (che ha introdotto l’art. 41-quinquies della legge urbanistica n. 1150/1942); ii) degli standard edilizi di cui al d.m. n. 1444/1968.
In particolare, l’art. 41-quinquies della legge urbanistica ha stabilito che il piano regolatore debba prevedere limiti inderogabili di densità edilizia, rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi e che tali limiti debbano essere definiti per zone territoriali omogenee.
In tal modo lo ius aedificandi, inerente alla proprietà del suolo e di essa manifestazione, può essere attuato secondo quanto stabilito dagli atti di pianificazione i quali ne stabiliscono, oltre che la destinazione, gli indici di edificazione. Questi ultimi, a loro volta, in rapporto all’estensione dell’area, determinano la capacità edificatoria (o cubatura) realizzabile […].
Con la cessione di cubatura, la capacità edificatoria viene incrementata con il trasferimento di diritti edificatori provenienti da un’altra area, che ne rimane priva, in tutto o in parte, mentre tali diritti sono utilizzati dal fondo ricevente».
Si è dunque precisato che «l’istituto in questione è il frutto della elaborazione giurisprudenziale. Infatti, pur in mancanza di una espressa disposizione scritta, la giurisprudenza – e in particolare la giurisprudenza amministrativa – ha riconosciuto che i diritti edificatori che un terreno possiede possono essere alienati o ceduti autonomamente dall’alienazione o cessione del terreno medesimo poiché gli stessi costituiscono un’utilità separata dal terreno cui ineriscono (v. inizialmente Cons. Stato, sez. V, 28 giugno 1971, n. 632; Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 1973, n. 178; Cass. civ., sez. II, 29 giugno 1971, n. 4245; poi anche sez. V, n. 3637 del 2000, n. 400 del 1998, n. 1382 del 1994, n. 291 del 1991)» e che «il presupposto logico del c.d. “asservimento” (del fondo che si priva della propria capacità edificatoria in favore del fondo che la riceve) consiste nell’interesse della p.a. affinché sia osservato il rapporto tra superficie edificabile e volumi realizzabili nell’area interessata ma, al tempo stesso, nella sostanziale indifferenza alla materiale collocazione di fabbricati, fermi restando evidentemente i limiti di cubatura realizzabile in un determinato ambito territoriale, fissati dal piano, oltre al rispetto degli delle distanze e delle eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5496; Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2006, n. 2488; Cons. Stato, sez. V, 3 marzo 2003, n. 1172; Cons. Stato, sez, V, 11 aprile 1991, n. 530; Cons. Stato, sez. IV, 19 dicembre 1987, n. 795)».
Ciò posto, si è osservato che «il trasferimento della cubatura è tuttavia subordinato al soddisfacimento, pena l’invalidità dell’asservimento, di alcuni presupposti:
- i) l’omogeneità di destinazione d’uso (Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2006, n. 2488; Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 2003, n. 6734; Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 1994, n. 193; Cons. Stato, sez. V, 4 gennaio 1993, n. 26; Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 1991, n. 291);
- ii) la contiguità territoriale (i fondi, seppur non necessariamente adiacenti, devono essere significativamente vicini, cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 marzo 2003, n. 1278), altrimenti ne risulterebbero stravolte proprio le previsioni di piano sulla densità edificatoria di zona e incrinata l’inderogabilità delle relative prescrizioni;
iii) la possibilità che gli stessi strumenti urbanistici vietino, in via immediata e diretta, tali operazioni per alcune aree oppure adottino scelte sui limiti di volumetria che conducano a un esito analogo (Cass. civ., sez. V, 14 maggio 2007, n. 10979; Cass. civ., sez. V, 14 maggio 2003, n. 7417)».
Tanto chiarito, si è parimenti sottolineato che «la cessione di cubatura costituisce un genus, al cui interno si pongono sia gli atti tra privati volti a fare transitare direttamente potestà edificatoria da una proprietà all’altra, nei limiti consentiti, sia i diritti edificatori direttamente generati dalla p.a. nell’ambito della c.d. urbanistica consensuale, nelle forme della perequazione, della compensazione e della premialità, variamente declinate dalla legislazione regionale e dagli strumenti pianificatori locali.
Il tratto distintivo tra i due modelli è costituito in primo luogo dalla necessaria associazione, nella seconda ipotesi, di una procedura pubblicistica (o che comunque coinvolge direttamente la p.a. attraverso lo schema convenzionale) all’atto o agli atti conclusi iure privatorum, mentre nella prima ipotesi la p.a. interviene esclusivamente al momento del rilascio del permesso di costruire.
Inoltre, nella prima ipotesi è già individuata, al momento della cessione, anche l’area che beneficia dell’incremento di capacità edificatoria, mentre la seconda ipotesi conosce la c.d. fase di volo, durante la quale i diritti edificatori sono temporaneamente privi di area di riferimento.
Il tratto comune a entrambe le ipotesi è peraltro dato dal distacco e dalla separata negoziazione e trasferimento dello ius aedificandi rispetto alla specifica proprietà del suolo da cui originano».
In questa prospettiva il Consiglio di Stato ha affermato – richiamando quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – che «la cessione di cubatura si inscrive pertanto comunque nell’ambito della materia dei diritti edificatori globalmente considerati (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 16080 del 2021). Nella cessione di cubatura il trasferimento (totale o parziale) della capacità edificatoria del fondo avviene – tra privati – a favore di un’area fin dall’inizio ben determinata, se non necessariamente contigua quantomeno prossima, e di destinazione urbanistica omogenea. Come si è detto, non vi è incidenza sulla pianificazione generale, attesa l’invarianza della cubatura complessiva, l’omogeneità delle aree coinvolte e l’estraneità alla cessione in sé della p.a. (tanto che viene talvolta definita come intervento di “micropianificazione urbanistica ad iniziativa privata”), alla quale sarà tuttavia demandato di assentire il rilascio, a favore del cessionario, del permesso di costruire maggiorato della quota di cubatura trasferita (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 23902 del 2020)».
In termini di qualificazione giuridica i giudici di Palazzo Spada hanno, infine, notato che «sebbene si tratti di tema ampiamente discusso, un orientamento assegna alla cessione di cubatura natura di atto costitutivo o traslativo di un diritto reale, quale espressione del diritto di proprietà insito nello sfruttamento edilizio del suolo.
Occorre ammettere tuttavia che maggiori sono le difficoltà a collocare la cessione di cubatura in un coerente quadro, che a ben vedere sfugge alle tradizionali classificazioni dei diritti reali per essere spesso ricondotto a una figura atipica di diritto reale, non disciplinata espressamente dal codice civile.
In tal senso risulta comunque problematica la completa assimilazione al diritto di superficie (mancando l’alterità tra proprietà del suolo e proprietà della costruzione), al diritto di servitù prediale quale impedimento alla costruzione o alla sovraelevazione (risultando problematici, rispetto alla categoria codicistica della servitù, l’assenso della p.a. al permesso di costruire conseguente, l’attivazione del privato cedente ai fini del rilascio del permesso in favore dell’acquirente, l’assenza di una necessaria vicinanza tra i fondi laddove è dato rilievo all’appartenenza alla medesima zona urbanistica).
Anche di recente, tuttavia, è stato escluso che la cessione di cubatura consista in un atto traslativo, ed ancor meno costitutivo, di un diritto reale (Cass. civ., n. 18291 del 2020, con ulteriori richiami) per affermarne il carattere obbligatorio, mentre il trasferimento della cubatura – nei confronti dei terzi, così come tra le parti – deriverebbe esclusivamente dal provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato (Cass. n. 1352 del 1996; Cass. n. 20623 del 2009 in motiv., Cass. n. 24948 del 2018), tanto per evitare che si configurino contratti fra privati in danno dell’interesse pubblico al corretto governo del territorio la cui cura è affidata in primis all’ente locale.
La medesima esigenza è salvaguardata dalla giurisprudenza amministrativa che pure colloca l’atto in questione in un contesto di tipo meramente obbligatorio (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, n. 4861 del 2016). Il trasferimento di cubatura, infatti, non dipenderebbe dall’accordo tra le parti, ma solamente dal rilascio del permesso di costruire da parte della p.a. (per la qualificazione dell’asservimento quale fattispecie negoziale atipica ad effetti obbligatori, che realizza una specie particolare di relazione pertinenziale v. Cons. Stato, Ad. plen. n. 3 del 2009; sez. IV, n. 3969 del 2015; sez. V, n. 4757 del 2013; n. 4531 del 2013).
Ne costituisce conferma la procedura necessaria al fine dell’apposizione del vincolo di asservimento; infatti, il c.d. vincolo di asservimento rispettivamente a carico e a favore del fondo si costituisce, sia per le parti che per i terzi, per effetto del rilascio della concessione edilizia, che legittima lo ius aedificandi del cessionario sul suolo attiguo, sì che nessun risarcimento è dovuto al cedente (Cass., 12 settembre 1998, n. 9081; in senso conforme, 22 febbraio 1996, n. 1352; 29 giugno 1981, n. 4245; Cons. Stato, sez. IV, n. 3969 del 2015)».
Si è quindi rammentato – come già si è avuto modo di ricordare – che «alcuni elementi di maggiore certezza e stabilità sono stati immessi nel sistema di diritto positivo dal n. 2-bis del primo comma dell’art. 2643 c.c. (introdotto dal decreto-legge n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106/2011), il quale prevede che siano resi pubblici con il mezzo della trascrizione i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.
Sebbene già prima dell’introduzione del n. 2-bis al primo comma dell’art. 2643 del codice civile il trasferimento di cubatura fosse stato ritenuto opponibile ai terzi poiché l’asservimento del fondo cedente a favore del fondo accipiente costituisce comunque una qualità obiettiva del fondo opponibile anche al terzo acquirente […] è indubbio tuttavia che la modifica codicistica abbia rafforzato la pubblicità e la tutela dei terzi.
Pur non avendo disciplinato espressamente e compiutamente la cessione di diritti edificatori, dalla novella al codice possono essere chiaramente enucleati almeno i seguenti principi:
- i) l’autonomia delle disposizioni regionali o di quelle di piano nella disciplina della cessione di cubatura;
- ii) l’ampiezza della cessione di cubatura (“diritti edificatori comunque denominati”, il che – al di là degli obiettivi principalmente perseguiti dal legislatore – non consente di circoscrivere la novella ai soli trasferimenti di diritti edificatori di uno solo dei due tipi prima citati);
iii) il favor con cui il legislatore nazionale ha guardato all’istituto (ferma la specifica disciplina statale, regionale o di piano).
Di tale favor costituiscono espressione alcune decisioni della giurisprudenza amministrativa volte a valorizzare l’istituto in questione, perché altrimenti “negare la possibilità del trasferimento di diritti edificatori nell’ambito di una stessa zona omogenea, con la motivazione del mancato rispetto del parametro dell’indice edificatorio fondiario del lotto beneficiario, equivarrebbe ad una sostanziale abrogazione dell’istituto introdotto dal citato art. 5 d.l. n. 70/2011, perseguendo l’istituto in esame il precipuo fine di aumentare la capacità edificatoria del lotto di proprietà del cessionario, anche e proprio nei casi in cui la capacità edificatorio del lotto sia già esaurita, ché, diversamente, non sarebbe necessario l’acquisto di diritti edificatori provenienti da altro immobile (il tutto, purché venga rispettato l’indice territoriale dell’intera zona)” (Cons. Stato, sez. VI, n. 4861 del 2016, che ha inoltre escluso, ai fini dell’ammissibilità del trasferimento dei diritti edificatori, la rilevanza che nel caso di specie l’interessata avesse, in aggiunta, già usufruito anche di un bonus di cubatura connesso al risanamento energetico, trovando tale bonus applicazione sulla base di precise disposizioni provinciali, di natura primaria; analogamente, cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 1398 del 2016).
Si potrebbe anzi derivare dall’espressa previsione argomento per il carattere non reale dei diritti edificatori (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 16080 del 2021), se non altro perché altrimenti sarebbero stati già prima trascrivibili in base alla disciplina generale. Va poi considerato che la qualificazione di “diritti” edificatori affrancherebbe tale istituto da posizioni giuridiche meno piene. Come ha sottolineato la Cassazione (cfr. n. 16080/2021 cit.), va rimarcata “la collocazione dell’istituto all’interno del sistema di tutela dei diritti per mezzo della trascrizione, a sua volta intrinsecamente connesso alla vicenda traslativa, costitutiva o modificativa…il che comporta la netta rivalutazione del sostrato privatistico della cessione di cubatura, ricollocando l’effetto traslativo suo proprio nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti, non già del procedimento amministrativo”. Il permesso di costruire concorrerebbe non al trasferimento in sé tra i privati della cubatura, quanto alla sua fruibilità in conformità alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie; “il permesso di costruire – seppure per certi versi anomalo perché chiesto e rilasciato per una volumetria aumentata – continua ad operare su un piano non dissimile da quello ‘normale’ dei provvedimenti genericamente ampliativi della sfera giuridica del privato e, segnatamente, da quello che regola ordinariamente l’esercizio diretto dello ius aedificandi da parte del proprietario”. Peraltro, le implicazioni di non-realità non comporterebbero la negazione dell’inerenza al fondo del diritto sulla cubatura ceduta, quanto l’attribuzione ad essa di un’incidenza più identitaria e funzionale che coessenziale alla natura dell’istituto.
Come ha posto in evidenza il Consiglio di Stato (v., sez. IV, n. 4861 del 2016), “la disposizione normativa, peraltro, quale unico presupposto di disciplina resta evidentemente lacunosa perché trascura la circostanza che la cessione di cubatura non è un mero negozio bilaterale tra privati ma, per trovare la propria concreta attuazione ancorché prevista dalla legge statale, necessita inevitabilmente non solo di “non essere vietata” dagli strumenti urbanistici ma anche di coordinarsi con gli stessi, inserendovisi in modo armonico. Fermo quindi che il legislatore nazionale ha inteso dettare una indicazione di favore per la cessione di cubatura in un’ottica di sviluppo economico, resta evidente come, al di là dell’affermazione di principio, si sia trascurato di dettagliare il non semplice aspetto di quali siano gli elementi imprescindibili del PRGC che possono comunque ostare, al di là dell’espresso divieto, alla cessione. In tale contesto la giurisprudenza ha svolto una inevitabile funzione di supplenza elaborando, in linea di massima, i seguenti principi: la cessione di cubatura può trovare concreta attuazione là dove i due fondi rispettivamente cedente e cessionario siano omogenei e contigui”».
In conclusione si è sancito che «[…] coerentemente con i principi richiamati, la giurisprudenza amministrativa, per la legittimità della cessione di cubatura, richiede non solo l’omogeneità d’area territoriale ma anche la contiguità dei fondi, e ha riconosciuto utilizzabili asservimenti riferiti ad aree, anche se non contigue sul piano fisico, vicine però in modo significativo (Cons. Stato, sez. VI, n. 1515 del 2016, in precedenza cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. VI, n. 6734 del 2003).
La giurisprudenza è inoltre intervenuta per chiarire i rapporti tra strumenti di pianificazione, densità edilizia territoriale, densità edilizia fondiaria e la necessità che l’indice di edificabilità sia rapportato all’effettiva superficie suscettibile di edificazione in modo da potere individuare la volumetria assentibile con il permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5419 del 2017)» (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4417/2022).
Il regime giuridico dei vincoli conformativi e dei vincoli espropriativi nella pianificazione urbanistica: differenze e ripercussioni.
Una delle questioni che più di frequente rileva nella prassi amministrativa concerne la distinzione tra vincoli urbanistici di tipo conformativo ed espropriativo, anche alla stregua delle significative ripercussioni che tale qualificazione viene ad assumere in concreto.
In ordine alla problematica de qua la giurisprudenza è stata più volte chiamata a pronunciarsi: non potendo, per ovvie ragioni di sinteticità, riportare tutte le molteplici pronunce intervenute sull’argomento, preme segnalare una recente decisione che ha il pregio di fornire un quadro sufficientemente esaustivo della posizione attualmente prevalente.
È stato osservato, invero, che «[…] in sostanziale sintonia con la giurisprudenza civilistica, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha rilevato come, per stabilire la natura conformativa o espropriativa di un vincolo, occorra verificare se la sua imposizione consenta al privato di realizzare l’opera: “secondo gli insegnamenti della giurisprudenza (v. Corte cass, sez. 1, sentenza n. 10325/2016), per affermarsi la natura espropriativa del vincolo deve concorrere un triplice ordine di presupposti:
– in primo luogo, che si traduca in un’imposizione a titolo particolare incidente su beni determinati al precipuo fine della precisa e puntuale localizzazione di un intervento edilizio che, per natura e scopo, sia di esclusiva appropriazione e fruizione collettiva;
– in secondo luogo, che la relativa realizzazione risulti incompatibile con la proprietà privata e, perciò, presupponga ineluttabilmente, per il suo compimento, l’espropriazione del bene;
– in terzo luogo, che l’imposizione determini l’inedificabilità del bene colpito e, dunque, lo svuotamento del contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul suo godimento, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero da diminuirne in modo significativo il valore di scambio. Ciò nel quadro del più generale principio secondo cui “la variante al piano regolatore generale che imponga solo un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, lo stesso va qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, dunque, prescindersi nella qualificazione dell’area” (Cons. Stato, sez. IV, 17 marzo 2022, n. 1940, sulle orme di Cass. civ., sez. I, 19 maggio 2016, n. 10325; si vedano anche Cons. Stato sez. II, 4 febbraio 2022, n. 782; sez. VI, 30 gennaio 2020, n. 783)».
Si è pure ricordato che «la particolare importanza che assume la possibilità che il privato possa continuare ad usufruire del valore di mercato del bene ai fini dell’individuazione della natura conformativa o espropriativa del vincolo urbanistico è poi ben sottolineata da una decisione amministrativa di primo grado che è pienamente condivisa dalla Sezione e che può pertanto essere utilmente richiamata: “sotto altra angolazione interpretativa giurisprudenziale, ….onde stabilire la natura – conformativa o espropriativa – di un vincolo, occorre verificare se la sua imposizione ammetta, comunque, la realizzazione dell’opera da parte del privato e se, in presenza di tale possibilità, quest’ultimo possa porre l’opera medesima sul mercato e sfruttarla economicamente (come nell’ipotesi destinazione ad attrezzature ricreative o sportive, a verde pubblico, a parcheggio pubblico: cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 5582/2015; n. 4022/2016; n. 4748/2017; sez. VI, n. 783/2020; sez. II, n. 6455/2020; TAR Puglia, Lecce, sez. I, n. 1027/2018; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, n. 6634/2018): solo in tal caso, infatti, si può affermare che non vi sia uno svuotamento del diritto di proprietà; diversamente, qualora dell’opera realizzata, comunque destinata ad una pubblica utilizzazione, l’unico esclusivo fruitore sia l’ente pubblico, si ha un sostanziale svuotamento del contenuto economico del diritto di proprietà, con relativa configurazione del vincolo a guisa sostanzialmente espropriativa (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, n. 3623/2016; TAR Emilia Romagna, Parma, n. 187/2018; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, n. 519/2020)” (T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 21 luglio 2021, n. 1810)» (T.A.R. Firenze (Toscana), sez. I, n. 656/2023).