I principi che guidano l’applicazione delle sanzioni amministrative e penali.
Atteso quanto espresso finora, prima di procedere con la presente disamina appare utile individuare i principi che guidano l’applicazione delle sanzioni amministrative e penali: in proposito devono essere senz’altro richiamati i principi generali dell’ordinamento ed in particolare quelli che regolano il diritto amministrativo ed il diritto penale.
Ciò posto, con specifico riferimento al tema trattato, assumono parimenti rilievo i principi espressi nel tempo dalla giurisprudenza in materia di abusi edilizi: non potendo esaminarli tutti in questa sede – per evidenti ragioni di sinteticità – preme in particolare ricordarne alcuni di preminente interesse.
In primo luogo giova sottolineare come, ai fini della constatazione delle violazioni urbanistico-edilizie, la giurisprudenza – tanto amministrativa quanto penale – abbia chiarito che la valutazione dell’intervento posto in essere deve essere unitaria, non potendo darsi luogo ad una sorta di “frazionamento” dell’abuso: difatti «[…] per giurisprudenza amministrativa consolidata […] in materia di abusi edilizi, non è prospettabile una valutazione atomistica degli interventi allorché gli stessi facciano parte di un disegno sostanzialmente unitario di realizzazione di una determinata complessiva opera, risultante priva di […]. Ne discende che “i singoli abusi eseguiti vanno riguardati nella loro interezza e, proprio perché visti nel loro insieme, possono determinare quella complessiva alterazione dello stato dei luoghi che legittima la sanzione applicata e persuade della sua appropriatezza e proporzionalità rispetto a quanto realizzato” […]» (T.A.R. Napoli (Campania), sez. IV, n. 67/2023).
Del pari, anche «secondo l’insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, in tema di reati edilizi, la valutazione dell’opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell’attività edificatoria nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti (Cassazione penale, sez. III, n. 29963/2019; cfr. anche Cassazione penale, sez. III, n. 21192/2023)
Sotto altro profilo si è precisato che l’illecito edilizio ha carattere permanente «nel senso che un immobile interessato da un intervento illegittimo conserva nel tempo la sua natura abusiva e la situazione di illiceità posta in essere con la realizzazione di un’opera abusiva viene meno solo con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni in sanatoria, paesaggistiche o urbanistico-edilizie, oppure con il ripristino dello stato dei luoghi […].
Al riguardo, la regola generale che si rinviene nel nostro ordinamento è che […] dalla natura permanente dell’illecito edilizio deriva l’obbligo di applicare la disciplina prevista dalla normativa in vigore al momento dell’adozione del provvedimento sanzionatorio […].
Più precisamente, l’abuso edilizio, avendo natura di illecito permanente, si pone in perdurante contrasto con le norme amministrative sino a quando non viene ripristinato lo stato dei luoghi […] e, pertanto, da un lato, l’illecito sussiste anche quando il potere repressivo si fonda su una legge entrata in vigore successivamente al momento in cui l’abuso è posto in essere […] e, dall’altro, in sede di repressione del medesimo, è applicabile il regime sanzionatorio vigente al momento in cui l’amministrazione provvede ad irrogare la sanzione stessa […].
Tale principio deve applicarsi anche alle sanzioni pecuniarie “sostitutive” di quelle demolitorie.
Chi ha realizzato un’opera abusiva mantiene inalterato nel tempo l’obbligo di eliminare l’opera illecita, con la conseguenza che il potere di repressione può essere esercitato retroattivamente […]» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 204/2022)[1].
In definitiva, il Consiglio di Stato «ha avuto modo di affermare che il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi è, in conformità al principio del tempus regit actum, quello vigente al momento della sanzione, e non già quello in vigore all’epoca di consumazione dell’abuso; e la natura della sanzione demolitoria, finalizzata a riportare in pristino la situazione esistente e ad eliminare opere abusive in contrasto con l’ordinato assetto del territorio, impedisce di ascrivere la stessa al genus delle pene afflittive, cui propriamente si attaglia il divieto di retroattività» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2418/2022)[2].
Infine, si intende richiamare anche l’impatto che il cd. «principio di proporzionalità» esercita sul sistema sanzionatorio: data la complessità del tema – che meriterebbe autonomo approfondimento – basti qui ricordare che il canone di proporzionalità assume rilievo anche con riferimento all’ordine di demolizione (amministrativo o penale) e che la Corte EDU ha evidenziato come tale principio comporti che l’atto ablatorio tenga conto del diritto all’abitazione ed al rispetto della vita privata e familiare previsti all’articolo 8 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in relazione all’articolo 1 del protocollo addizionale alla CEDU che tutela la proprietà, con la conseguenza che a certe limitate condizioni il giudice (amministrativo o penale) debba tener conto del cd. «abuso edilizio di necessità»[3].
Si è ritenuto, invero, che «l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, ed adibito ad abituale abitazione di una persona, rappresenti un principio rispondente all’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte EDU ed è applicabile da parte del giudice italiano in forza di interpretazione sistematica adeguatrice», implicando principalmente, garanzie di tipo «procedurale», atteso che «ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, la Corte EDU ha […] valorizzato essenzialmente: la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilità di un tempo sufficiente per “legalizzare” la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un’altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l’esigenza di evitare l’esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante è stato attribuito alla consapevolezza della illegalità della costruzione da parte degli interessati al momento dell’edificazione ed alla natura ed al grado della illegalità realizzata»; del pari deve osservarsi come le suesposte considerazioni abbiano trovato «ampio riscontro nella giurisprudenza di legittimità che si è già confrontata con le pronunce della Corte EDU» (Cassazione Penale, sez. III, n. 5822/2022; cfr. anche Cassazione penale, sez. III, n. 32869/2022)[4].
[1] https://studiolegaleberto.net/2019/01/abuso-edilizio/
[2] https://www.studiotecnicopagliai.it/abusi-edilizi-applicare-regime-repressivo-vigente/#:~:text=In%20definitiva%2C%20il%20Consiglio%20di,epoca%20di%20consumazione%20dell’abuso
[3] https://ceridap.eu/sanzioni-urbanistico-edilizie-e-canone-di-proporzionalita-alla-luce-dei-principi-sovranazionali/?lng=en
[4] https://www.lavoripubblici.it/news/ordine-demolizione-diritto-abitazione-principio-proporzionalita-29283