Rapporti tra azione penale e procedimento amministrativo di sanatoria. Reati urbanistico-edilizi e processo penale: focus su ipotesi di sequestro, ordine di demolizione e confisca.
L’articolo 36 del D.P.R. n. 380/2001 – rubricato «Accertamento di conformità» – nel disciplinare la sanatoria edilizia operante a regime ordinario stabilisce che «in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 23, comma 01, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articolo 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda».
Il comma secondo prevede che «il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall’articolo 16. Nell’ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l’oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso» ed il comma terzo, infine, dispone che «sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata»[1].
L’accertamento di conformità di cui alla norma de qua assolve alla funzione di sanare le opere abusive – realizzate in assenza o in difformità dai prescritti titoli abilitativi – subordinando tale effetto giuridico alla sussistenza del requisito della cd. «doppia conformità»: per giurisprudenza amministrativa da ritenersi ormai consolidata, difatti, «il procedimento per la verifica di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 sfocia in un provvedimento di carattere assolutamente vincolato, il quale non necessita di altra motivazione oltre a quella relativa alla corrispondenza (o meno) dell’opera abusiva alle prescrizioni urbanistico – edilizie (e a quelle recate da normative speciali in ambito sanitario e/o paesaggistico) sia all’epoca di realizzazione dell’abuso sia a quella di presentazione dell’istanza ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001. Ciò determina che in sede di accertamento di conformità è interamente a carico della parte l’onere di dimostrare la c.d. doppia conformità necessaria per l’ottenimento della sanatoria edilizia ordinaria ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 […], attesa la finalità dell’istituto in parola, secondo il quale presupposto indefettibile per il rilascio del permesso in sanatoria è la c.d. doppia conformità, vale a dire la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2660/2023).
In argomento è stato chiarito che «[…] nei casi in cui gli interventi edilizi abusivi siano stati realizzati in assenza o in difformità del permesso di costruire, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono […] ottenere il permesso in sanatoria, a condizione che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione del medesimo, sia alla data di presentazione della domanda (art. 36, cit.).
L’accertamento di conformità, previsto dal citato art. 36, è teleologicamente funzionale a sanare le opere che, sebbene eseguite senza concessione o autorizzazione – purché conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l’area su cui sorgono (vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della realizzazione che al momento della presentazione della domanda di sanatoria: c.d. doppia conformità – sono solo formalmente abusive.
[…] Con la sentenza n. 1386/2017, il Consiglio di Stato ha affermato, in continuità con la propria giurisprudenza […], che la sanatoria di opere edilizie abusive può essere disposta in sede amministrativa solo nei casi previsti espressamente dalla legge, e cioè:
- a) nei casi di c.d. “condono” (già disposti in passato con leggi ad tempus […] applicabili solamente a manufatti abusivi realizzati entro una data prefissata dal legislatore e solo in presenza di specifiche e fondate domande degli interessati);
- b) nei casi in cui vi può essere il c.d. “accertamento di conformità” ai sensi dell’art. 36 del vigente testo unico sull’edilizia.
Ove non sia applicabile questa tipologia di disposizioni e non risulti accoglibile la relativa istanza dell’interessato, le opere realizzate senza titolo vanno demolite, con le conseguenze previste dalla legge”.
Le sanzioni amministrative previste dal d.P.R. n. 380 del 2001 sono determinate in base alla tipologia dell’abuso e si possono così riassumere:
- a) demolizione della costruzione irregolare e messa in ripristino dello stato dei luoghi;
- b) acquisizione al patrimonio comunale in caso di mancata demolizione, in alternativa alla demolizione, pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria adeguata all’entità dell’abuso o all’incremento del valore venale del bene;
- c) per la mancata segnalazione certificata di inizio attività o difformità alla segnalazione, la sanzione pecuniaria è pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile derivato alla realizzazione degli interventi e comunque in misura non inferiore a euro 516 (art. 37, co. 1, d.P.R. n. 380 del 2001).
Quanto alla demolizione […] va rilevato che trattasi di una sanzione amministrativa […] che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configurante un obbligo di fare imposto per ragioni di tutela del territorio, che ha carattere reale.
Per la giurisprudenza costante, l’esercizio dei poteri amministrativi di carattere ripristinatorio in materia di abuso edilizio non incontra alcun termine di decadenza o di prescrizione.
La sanzione della demolizione si distingue dalle sanzioni pecuniarie connotate da una finalità punitiva.
L’ordine di demolizione dell’opera abusiva, disciplinato dagli articoli 27 e ss. del Dpr 380/2001, si qualifica dunque, senza eccezioni, in termini di sanzione amministrativa; in tal senso, anche la giurisprudenza secondo la quale l’ordine di demolizione non è soggetto alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall’art. 28 legge n. 689 del 1981 che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva […]» (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 8631/2021).
Tanto precisato, con riferimento al rapporto tra esercizio dell’azione penale e procedimento amministrativo di sanatoria occorre evidenziare che l’articolo 45 del D.P.R. n. 380/2001 – rubricato «Norme relative all’azione penale» – stabilisce al primo comma che «l’azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria di cui all’articolo 36»; il comma terzo, inoltre, sancisce che «il rilascio in sanatoria del permesso di costruire estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti»[2].
In proposito si osserva che – secondo un prevalente filone giurisprudenziale[3] – il rilascio del provvedimento in sanatoria determina l’estinzione dei soli «reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti», quindi esclusivamente delle contravvenzioni concernenti la materia che disciplina l’assetto del territorio sotto il profilo edilizio, ma non anche di altri reati attinenti ad altri aspetti delle costruzioni aventi oggettività giuridica diversa rispetto a quella della mera tutela urbanistica del territorio, come quelli relativi a violazioni di norme in materia di costruzione in zona sismica, in materia di opere in conglomerato cementizio ovvero in materia di tutela delle zone di particolare interesse paesaggistico-ambientale[4]: è stato invero statuito che il «conseguimento del permesso di costruire in sanatoria ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, comporta l’estinzione dei reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, ma non di quelli previsti dalla normativa antisismica e sulle opere di conglomerato cementizio» (Cassazione penale, sez. III, n. 54707/2018), come pure che «la concessione rilasciata a seguito di accertamento di conformità ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, ma non i reati paesaggistici previsti dal D.Lgs. n. 42 del 2004, che sono soggetti ad una disciplina difforme e differenziata, legittimamente e costituzionalmente distinta, avente oggettività giuridica diversa, rispetto a quella che riguarda l’assetto del territorio sotto il profilo edilizio» (Cassazione penale, sez. III, n. 24111/2016).
Sotto distinti profili preme altresì evidenziare che risulta «[…] granitico l’orientamento della Suprema Corte per cui in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, del cit. D.P.R. e a determinare, se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla cd. “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria”, che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica […]» e che «la causa di estinzione del reato per violazioni edilizie, prevista dall’art. 45 T. U. Edilizia […] a seguito del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, si estende a tutti i responsabili dell’abuso, e non soltanto ai soggetti che abbiano richiesto ed ottenuto il provvedimento sanante, atteso che il meccanismo di estinzione non si fonda, nonostante la impropria formulazione letterale adottata dall’art. 36, comma 2, del citato D.P.R., su un effetto estintivo connesso al pagamento di una somma a titolo di oblazione, bensì sull’effettivo rilascio del permesso di costruire successivamente alla verifica della conformità delle opere abusive alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione sia in quello della richiesta […]» (Cassazione penale, sez. III, n. 2357/2023)[5].
Da ultimo, appare utile soffermarsi brevemente su alcuni provvedimenti che possono essere disposti dall’Autorità giudiziaria penale nell’ambito del procedimento sanzionatorio degli abusi edilizi, mediante un focus relativo alle ipotesi di sequestro, ordine di demolizione e confisca.
Con riferimento alla prima fattispecie si intende richiamare brevemente la disciplina dettata dal codice di procedura penale – agli articoli 321 e seguenti – in ordine al cd. «sequestro preventivo»: l’articolo 321 c.p.p. definisce, in particolare, l’«Oggetto del sequestro preventivo», stabilendo che esso può essere disposto «quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati […]».
Ragioni di sinteticità impongono di tralasciare alcuni profili dell’istituto ed i connessi aspetti procedurali, premendo in questa sede concentrarsi sulla sussistenza del presupposto relativo al periculum in mora che consente l’applicazione di tale misura, atteso che essa viene disposta con decreto motivato[6]: la giurisprudenza, in particolare, ha ritenuto che «il pericolo concreto ed attuale, posto a base del sequestro preventivo di un manufatto abusivo, di prosecuzione del reato edilizio e di aggravamento delle sue conseguenze, non viene meno per l’intervento dell’ordine di sospensione dei lavori impartito dalla pubblica amministrazione; tale provvedimento, infatti, non costituisce atto inidoneo a far cessare le esigenze cui è finalizzata la cautela reale, in quanto è revocabile dalla stessa amministrazione, è caratterizzato da efficacia provvisoria e temporalmente determinata ed è, inoltre, suscettibile di sospensiva nella competente sede giurisdizionale. […] In linea con tale impostazione, si è anche precisato che sussiste il requisito del “periculum in mora”, necessario per l’emanazione di un provvedimento di sequestro preventivo di un’area e del relativo cantiere realizzato in violazione di norme edilizie, ai sensi dell’art. 321 c.p.p., anche nel caso in cui il sindaco abbia sospeso la concessione edilizia e sia stata rigettata dal T.A.R. la richiesta cautelare di sospensiva del provvedimento sindacale.
Infatti, il sequestro di cui al predetto articolo tende ad assicurare le finalità della giustizia penale, le quali sono completamente diverse da quelle cui tendono le norme amministrative […]; cosicché in tema di sequestro preventivo per il reato di edificazione abusiva, l’intervenuta sospensione dei lavori disposta in via amministrativa non comporta, per ciò solo, la mancanza del requisito del “periculum in mora”, essendo comunque necessario accertare se detta sospensione possa soddisfare le esigenze poste alla base del vincolo cautelare […]» (Cassazione penale, sez. III, n. 30623/2022).
Quanto al pericolo di aggravamento del carico urbanistico è stato, inoltre, ritenuto «ammissibile il sequestro preventivo di opere costruite abusivamente, anche nell’ipotesi in cui l’edificazione sia ultimata, fermo restando l’obbligo di motivazione del giudice circa le conseguenze ulteriori sul regolare assetto del territorio rispetto alla consumazione del reato, derivanti dalla libera disponibilità del bene […]» (Cassazione penale, sez. III, n. 13948/2022)[7].
Si intende, peraltro, richiamare un consolidato orientamento «secondo cui, in materia di abusi edilizi, il sequestro penale dell’immobile non influenza la legittimità dell’ordinanza di rimessione in pristino. Il contemperamento con le esigenze della difesa si realizza ritenendo che il termine assegnato dall’ordinanza per la demolizione o la rimessione in pristino non decorre sin quando l’immobile rimane sotto sequestro, restando all’autonoma iniziativa della difesa ovvero della magistratura inquirente attivare gli strumenti che al dissequestro possono condurre […]» (Consiglio di Stato, sez. VII, n. 1721/2023). Difatti «la giurisprudenza sul punto ha evidenziato i seguenti principi:
“La sottoposizione a sequestro penale preventivo di una costruzione abusiva da parte della competente autorità giudiziaria non esime il destinatario dell’ingiunzione demolitoria dall’ottemperanza alla stessa, ben potendo essere richiesto in sede penale il dissequestro del bene al solo fine di provvedere alla demolizione, così da evitare il provvedimento di acquisizione (…) non rientrando il sequestro tra gli impedimenti assoluti che non consentono di dare esecuzione all’ingiunzione. In questi casi, costituisce onere del responsabile dell’abuso motivatamente domandare all’autorità giudiziaria il dissequestro dell’immobile […] al fine di ottemperare all’ingiunzione a demolire” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 10/11/2022, n. 6963);
“Con riferimento alle costruzioni abusive, la pendenza della misura cautelare reale del sequestro penale ex art. 321 c.p.p. non inficia la legittimità dell’ordinanza di demolizione, in quanto implica un mero differimento del termine fissato per la rimessa in pristino, che decorre dalla data del dissequestro penale, che spetta all’interessato chiedere tempestivamente” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 21/03/2022, n. 1873);
“La mancata ottemperanza all’ordine di demolizione può non esser giustificata dal solo fatto che le opere abusive siano state oggetto di sequestro adottato dall’Autorità Giudiziaria Ordinaria; in questi casi tranne che l’Autorità stessa affermi l’attualità di tal misura cautelare, è pur sempre possibile richiederle il dissequestro allo scopo di eseguire tale ordine” (Cons. Stato, sez. VI, 27/04/2020, n. 2677);
“È irrilevante la pendenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo oggetto di ingiunzione comunale di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi, ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione, della sua eseguibilità e, quindi, della validità dei conseguenti provvedimenti sanzionatori” (T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 06/05/2020, n. 286)» (T.A.R. Salerno (Campania), sez. III, n. 1588/2023)[8].
Relativamente all’ordine di demolizione, richiamando quanto complessivamente esposto nell’ambito della presente trattazione, si precisa che l’articolo 31 del D.P.R. n. 380/2001 – il quale reca la disciplina sanzionatoria applicabile agli «Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali» – al comma 9 sancisce che «per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita».
Da ultimo, si evidenzia che l’articolo 44 del D.P.R. n. 380/2001 – nel prevedere le «Sanzioni penali» applicabili in caso di abusi edilizi – stabilisce al comma secondo che «la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione. La sentenza definitiva è titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari».
Al riguardo si segnala un’interessante pronuncia di legittimità, con la quale si è recentemente rilevato che «[…] come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, anche successivamente alla sentenza della Grande Chambre della Corte EDU del 28 giugno 2018 (nel caso G.I.E.M. S.r.l. e altri contro Italia, nel quale i giudici sovranazionali hanno ribadito la riconducibilità della confisca urbanistica nell’ambito della materia penale, secondo i noti criteri Engel e la nozione di “pena”, di cui all’art. 7 CEDU, evidenziandone l’autonomia alla luce dei propri precedenti […] e della sentenza 49 del 2015 della Corte Costituzionale, e hanno riconosciuto la compatibilità della confisca urbanistica con la declaratoria di estinzione per prescrizione di un reato di lottizzazione abusiva accertato nei suoi elementi costitutivi, all’esito di un’istruzione probatoria rispettosa dei principi del giusto processo e della presunzione di non colpevolezza, ossia quando le persone fisiche o giuridiche destinatarie siano state “parti in causa” di tale processo e sempre che la misura ablativa sia proporzionata rispetto alla tutela della potestà pianificatoria pubblica e dell’ambiente), il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato, purché, come nel caso in esame, sia stata comunque accertata, con adeguata motivazione e nel contraddittorio delle parti, la sussistenza del reato nei suoi elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo […]».
In aggiunta, «con riferimento alla questione della proporzionalità della misura ablatoria», si è ricordato che «la Corte E.D.U., nell’esaminare la dedotta violazione dell’art. 1 del Protocollo 1 alla Convenzione E.D.U. (“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”) ha precisato che l’articolo contiene tre norme distinte (la prima, espressa nella prima frase del comma 1 e di carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, contenuta nella seconda frase dello stesso comma, riguarda la privazione di proprietà e la subordina a determinate condizioni; quanto alla terza, inserita nel comma 2, essa riconosce agli Stati il potere, tra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale e di assicurare il pagamento delle ammende) tra di loro correlate, poiché la seconda e la terza riguardano particolari esempi di violazione del diritto di proprietà e devono essere interpretate alla luce del principio sancito dalla prima, operando un rinvio alla propria giurisprudenza […]. Pertanto, l’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni, da un lato, deve avere un fondamento giuridico, poiché la privazione della proprietà è consentita solo alle condizioni previste dalla legge; dall’altro, deve avvenire in modo che sia assicurato un giusto equilibrio tra le esigenze d’interesse generale e quelle del singolo, alla stregua di un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, secondo alcuni indicatori espressamente elencati al p. 301 della decisione (la possibilità di adottare misure meno restrittive, quali la demolizione di opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione; la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi; il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione). La Corte E.D.U. ha anche sottolineato l’importanza degli obblighi procedurali di cui all’art. 1 cit., poiché l’ingerenza nei diritti ivi previsti non può essere legittimamente esercitata in assenza di un contraddittorio che rispetti il principio della parità delle armi e consenta di discutere aspetti importanti per l’esito della causa.
Tenendo conto di tali indicazioni, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, ai fini della valutazione della conformità della confisca al principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, assume rilievo anche l’aspetto dell’individuazione dei beni oggetto della misura, nel senso che il provvedimento ablatorio è legittimo se limitato ai beni immobili direttamente interessati dall’attività lottizzatoria e ad essa funzionali […].
Si è anche precisato che è conforme al principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, la confisca di tutta l’area oggetto della lottizzazione, compresi gli edifici sulla stessa realizzati, laddove la complessiva operazione edilizia realizzata abbia determinato il completo stravolgimento della destinazione urbanistica dei terreni, modificandola […]» (Cassazione penale, sez. III, n. 18527/2022)[9].
[1] Per mero spirito di completezza occorre segnalare che anche l’articolo 37 del D.P.R. n. 380/2001 – rubricato «Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità» – prevede, al comma quarto, un’analoga ipotesi di sanatoria in relazione agli interventi edilizi di cui all’articolo 22, commi 1 e 2, realizzati in assenza della o in difformità dalla S.C.I.A., sancendo che «ove l’intervento realizzato risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento, sia al momento della presentazione della domanda, il responsabile dell’abuso o il proprietario dell’immobile possono ottenere la sanatoria dell’intervento versando la somma, non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro, stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all’aumento di valore dell’immobile valutato dall’agenzia del territorio».
[2] Il comma secondo dell’articolo in commento è stato abrogato dall’articolo 4, comma 1, punto 26), dell’Allegato 4 al D.lgs. n. 104/2010.
[3] Ex multis cfr. Cassazione penale, sez. III, n. 19256/2005.
[4] Fonte: DeJure, note giurisprudenziali alla sentenza Cassazione penale, sez. III, n. 24111/2016.
[5] https://studiolegaleberto.net/2019/01/abuso-edilizio/
[6] Cfr. articolo 321 c.p.p. e la disciplina di cui agli articoli successivi.
[7] https://www.studiotecnicopagliai.it/sequestro-immobile-per-abusi-edilizi-condizioni-e-casistiche-penali/
[8] Cfr. https://legal-team.it/ordinanza-demolizione-sequestro-penale/
[9] https://studiolegaleberto.net/2019/01/abuso-edilizio/