OTTOBRE 2023 – Sanzioni amministrative ripristinatorie e pecuniarie previste

Sanzioni amministrative ripristinatorie e sanzioni amministrative pecuniarie previste dal D.P.R. n. 380/2001.

 

In apertura della presente disamina si è precisato che il D.P.R. n. 380/2001, nella sua PARTE I dedicata all’«Attività edilizia», affronta al TITOLO IV gli aspetti concernenti la «VIGILANZA SULL’ATTIVITÀ URBANISTICO EDILIZIA, RESPONSABILITÀ E SANZIONI».

 

Come chiarito, il CAPO I – che si apre con l’articolo 27 («Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia») ed è chiuso dall’articolo 29 («Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a segnalazione certificata di inizio attività») si occupa di «Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia e responsabilità», mentre il CAPO II – di nostro interesse in questa sede – detta la disciplina in ordine alle «Sanzioni», prevedendo sanzioni sia di tipo amministrativo che penale.

 

Atteso che le sanzioni penali verranno analizzate nel proseguo della trattazione, può procedersi all’analisi delle principali norme del D.P.R. n. 380/2001 che comminano sanzioni amministrative, soffermandosi in particolare su alcuni articoli di primario interesse e facendo cenno ad ulteriori norme di rilievo.

 

Le sanzioni amministrative previste dal cd. «Testo unico edilizia» possono essere ricondotte a differenti tipologie: da un lato quelle di tipo ripristinatorio, che mirano all’eliminazione dell’abuso posto in essere ed al ripristino dello stato dei luoghi; dall’altro quelle di tipo pecuniario, che si aggiungono alla prima tipologia ovvero, al ricorrere di determinate ipotesi e circostanze, vengono comminate in funzione sostitutiva alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi (cd. «fiscalizzazione dell’abuso edilizio»).

 

Inoltre, non può non evidenziarsi come il D.P.R. n. 380/2001 preveda anche l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive laddove non venga ottemperato l’ordine di demolizione previamente impartito.

 

Le norme del D.P.R. n. 380/2001 che si pongono all’attenzione – oltre a quelle fin qui esaminate – sono contenute in alcuni articoli di spicco, tra i quali preme citare, in particolare:

 

  • l’articolo 31, rubricato «Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali» (queste ultime disciplinate dall’articolo 32);
  • l’articolo 33, rubricato «Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità»;
  • l’articolo 34, rubricato «Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire»;
  • l’articolo 35, rubricato «Interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici»[1].

 

Ricordando che l’articolo 36 disciplina il cd. «Accertamento di conformità» – istituto che consente di sanare le opere abusive – e che, per quanto attiene alle opere realizzabili con S.C.I.A., è necessario far primario riferimento all’articolo 37 – rubricato, per l’appunto, «Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità» – appare opportuno menzionare finanche l’articolo 34-bis, il quale definisce le cd. «Tolleranze costruttive», al ricorrere delle quali – come noto – eventuali difformità riscontrate, se rientranti nelle previste ipotesi di tolleranza, non costituiscono violazioni edilizie.

 

Orbene, l’articolo 31 – «Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali» – del D.P.R. n. 380/2001 prevede che «sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile» (comma 1).

 

Il comma secondo stabilisce dunque che «il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3»: il successivo comma terzo dispone invero che «se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita».

 

I commi 4-bis, 4-ter e 4-quater regolano la sanzione amministrativa pecuniaria irrogata dall’autorità competente in caso di inottemperanza all’ingiunzione a demolire, mentre il comma 5 della norma statuisce che «l’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico»[2].

 

Ricordando che il comma 9 prevede l’ipotesi in cui la demolizione venga impartita dall’autorità giudiziaria «con la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 44 […] se ancora non sia stata altrimenti eseguita» – istituto che si inquadra nell’ambito dei profili di rilievo penalistico[3] – appare interessante citare una recente sentenza della giurisprudenza amministrativa di merito, rilevando come «dalla esposta normativa emerge che l’elemento che differenzia il procedimento scolpito dall’art. 27 rispetto a quello del successivo art. 31 è rappresentato dal fatto che nel primo caso, a seguito di accertamento degli abusi il funzionario “provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi”, nel senso che il funzionario senz’altro può materialmente demolire il manufatto abusivo.

 

Ciò è reso evidente dalle parole “e al ripristino dello stato dei luoghi”.

 

Nel caso in cui non ricorrano i presupposti per l’applicazione dell’art. 27 e, dunque, il ripristino dello stato dei luoghi sia perseguito dall’amministrazione secondo il procedimento dell’art. 31, essa assegna (art. 31, comma 2) un termine per l’esecuzione dell’ordine di ripristino da parte dei responsabili dell’abuso con le conseguenze in caso di inottemperanza, scolpite dai successivi commi dell’art. 31» ed osservando, inoltre, «che il potere-dovere del Comune di demolire immediatamente le opere risultate abusive ai sensi dell’art. 27, riguarda senz’altro le aree sottoposte a vincolo, disponendo la norma in parola che per ogni abuso realizzato in tali aree il Comune, nell’esercizio dei suoi poteri repressivi, deve senz’altro disporre il “ripristino dello stato dei luoghi”.

 

Quanto all’art. 31, comma 2 e comma 3, esso si riferisce ai casi in cui il Comune, non avendo statuito ed eseguito la materiale demolizione delle opere ai sensi dell’art. 27, abbia preferito emanare l’ingiunzione di demolizione, con la fissazione del termine di novanta giorni per la sua ottemperanza, decorso il quale il Comune acquisisce il bene al proprio patrimonio.

 

La differenza tra gli articoli 27 e 31 è costituita dunque dall’evenienza se il Comune si determini all’immediata demolizione o se fissi il termine di 90 giorni per la spontanea esecuzione da parte del responsabile dell’abuso» (T.A.R. Napoli (Campania), sez. VI, n. 6190/2021).

 

Tanto evidenziato, si precisa infine che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 9 del 2017, ha enunciato il seguente principio di diritto, chiarendo che «il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino».

 

[1] Ulteriori sanzioni sono comminate, ad esempio, dall’articolo 42 che ha ad oggetto i casi di «Ritardato od omesso versamento del contributo di costruzione».

 

 

[2] La norma prosegue stabilendo che:

«6. Per gli interventi abusivamente eseguiti su terreni sottoposti, in base a leggi statali o regionali, a vincolo di inedificabilità, l’acquisizione gratuita, nel caso di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, si verifica di diritto a favore delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull’osservanza del vincolo. Tali amministrazioni provvedono alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi a spese dei responsabili dell’abuso. Nella ipotesi di concorso dei vincoli, l’acquisizione si verifica a favore del patrimonio del comune.

  1. Il segretario comunale redige e pubblica mensilmente, mediante affissione nell’albo comunale, i dati relativi agli immobili e alle opere realizzati abusivamente, oggetto dei rapporti degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria e delle relative ordinanze di sospensione e trasmette i dati anzidetti all’autorità giudiziaria competente, al presidente della giunta regionale e, tramite l’ufficio territoriale del governo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
  2. In caso d’inerzia, protrattasi per quindici giorni dalla data di constatazione della inosservanza delle disposizioni di cui al comma 1 dell’articolo 27, ovvero protrattasi oltre il termine stabilito dal comma 3 del medesimo articolo 27, il competente organo regionale, nei successivi trenta giorni, adotta i provvedimenti eventualmente necessari dandone contestuale comunicazione alla competente autorità giudiziaria ai fini dell’esercizio dell’azione penale.
  3. Per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita.

9-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’articolo 23, comma 01».

[3] Cfr. par. 9.