SETTEMBRE 2023 – Acquirente buona fede immobile abusivo PA

La posizione dell’acquirente in buona fede dell’immobile abusivo davanti alla P.A.

 

In forza della finalità preminente di ripristino della legalità le sanzioni amministrative in campo edilizio vengono applicate sulla base dei principi di obbligatorietà, tipicità e vincolatezza, con la conseguenza che la relativa imputazione avviene in termini di responsabilità oggettiva, né occorre espressa, specifica o diversa valutazione di interessi pubblici contrari.

 

Sulla scorta di ciò, l’acquirente di un immobile abusivo succede nel diritto reale e nelle posizioni soggettive attive e passive che facevano capo al precedente proprietario e che sono inerenti alla cosa, subendo, così, gli effetti sia del diniego di sanatoria sia dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartito, che precede nel tempo il contratto traslativo della proprietà in suo favore.  Detto altrimenti, “i provvedimenti sanzionatori a contenuto ripristinatorio/demolitorio riferiti ad opere abusive hanno carattere reale con la conseguenza che la loro adozione prescinde dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi gli stessi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato” (Consiglio di Stato sez. VI, 02/02/2023, n. 1148).

 

Devono ritenersi prive di rilievo le considerazioni che fanno leva sull’affidamento sulla buona fede che il nuovo proprietario di un immobile avrebbe riposto incautamente al momento dell’acquisto e sulla necessità di contemperare l’interesse privato con l’interesse pubblico in quanto, come statuito nella richiamata pronuncia, “quantunque il principio della tutela dell’affidamento permei il sistema dei rapporti tra i cittadini e la p.a. e, nel caso della mancata repressione di un abuso edilizio, il fattore tempo opera non in sinergia con l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole che dà l’apparenza e l’aspettativa d’una sorta di sanatoria materiale estintiva di detto illecito, bensì opera in antagonismo con l’azione amministrativa sanzionatoria”.

 

Invero, “Per le funzioni di vigilanza e controllo dell’ordinato assetto del territorio, in mancanza di un’espressa previsione normativa in deroga o di prescrizione della potestà sanzionatoria, vale il principio dell’inesauribilità di questa, a causa della natura d’illecito permanente riconoscibile nell’abuso edilizio. In tal caso, l’attività dei privati è sempre sanzionabile, qualunque siano il tempo già trascorso e l’entità dell’infrazione, donde l’assenza d’un affidamento, per forza di cose tutt’altro che incolpevole, alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, in forza di una legittimazione fondata sul tempo”, con la conseguenza che, stante l’impossibilità di invocare l’illegittimità dei provvedimenti, “l’attuale proprietaria potrà fare valere i diritti risarcitori nei confronti di chi non ha tutelato il proprio interesse ad acquistare un bene privo di difformità urbanistiche (dante causa e ufficiale rogante)”.[1]

 

D’altra parte, giova in proposito rimarcare che gli acquirenti di un immobile incautamente acquistato “sulla fiducia” sono legittimati, ove possibile, a ricondurre alla legalità lo stesso mediante la richiesta di sanatoria ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 ovvero di una sanatoria “straordinaria” ai fini del condono degli abusi sostanziali, e fatta salva l’eventuale possibilità di ricondurre l’immobile a conformità mediante l’esecuzione di lavori a tal fine necessari. In questo senso, infatti, il richiamato art. 36 prevede espressamente che l’accertamento di conformità – da rapportare sia al momento di realizzazione delle opere che a quello di presentazione della domanda – possa essere richiesto dal “responsabile dell’abuso”, o da “l’attuale proprietario dell’immobile”.

 

A ciò si aggiunga che, per consolidata giurisprudenza, la stessa qualità di promissario acquirente dell’immobile legittima la presentazione della richiesta di sanatoria in quanto “in tema di contratto preliminare, il promissario acquirente è legittimato, al fine di sanare l’irregolarità urbanistica dell’immobile promesso ed evitare il rischio della sua demolizione, a presentare istanza di concessione edilizia in sanatoria senza necessità del consenso, od anche contro la volontà, del proprietario del bene, restando distinto il regime della sanatoria, quanto a presupposti ed elementi propri, da quello della concessione edilizia (cfr. Cassazione civile, sez. II, 27/05/2016, n. 11039)”; ed ancora, in tema di condono, ma con considerazioni sostanzialmente sovrapponibili, è stato rilevato che “legittimati all’istanza di condono edilizio ex l. n. 724 del 1994 sono oltre coloro che hanno titolo a richiedere la concessione edilizia/permesso di costruire anche il promissario acquirente o il conduttore e più in generale tutti coloro che vi abbiano interesse” (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. II, 14/03/2023, n. 1663).

 

Tanto rappresentato, deve darsi atto dell’esistenza di una specifica situazione in cui il legittimo affidamento ha trovato riconoscimento quale elemento impeditivo alla repressione di abusi edilizi: si tratta del caso del terzo acquirente, in esito ad un’asta giudiziale, a fronte della perizia di stima resa dal tecnico incaricato dinnanzi all’AGO in sede di esecuzione forzata che non riportava l’esistenza di abusi edilizi nell’immobile o da altro certificato reso dal Comune innanzi all’AGO in sede di esecuzione forzata.

 

In base all’art. 569, comma 1 c.p.c., ed all’art. 173-bis delle relative disposizioni di attuazione, il perito deve controllare “la completezza dei documenti di cui all’articolo 567, secondo comma, del codice, segnalando immediatamente al giudice quelli mancanti o inidonei”, “pertanto, è plausibile che si verifichino eventuali errori od omissioni della perizia, specie per la parte urbanistico-edilizia quando, come nella specie, l’edificio ha subito una pluralità di interventi trasformativi ed è stato coinvolto da plurimi titoli edificatori e che possa ridondare in danno al soggetto acquirente, ma ciò non inficia né la correttezza della perizia (al più, si può parlare di mera incompletezza, non già d’infedeltà di essa), né l’affidamento qualificato del vincitore dell’asta, che acquista a titolo originario”; con la conseguenza che “la relazione di stima non rileva più solo come strumento necessario per la determinazione del valore dell’immobile e, quindi, del prezzo base per la vendita, ma diventa la fonte di tutte le informazioni che interessano gli aspiranti acquirenti, cui essi possono accedere attraverso i sistemi di pubblicità che saranno indicati tra breve, esaurendone la due diligence” (Consiglio di Stato sez. VI, 23/06/2022, n. 5185).

 

Ne deriva che “nella vendita forzata devono esser tutelate le aspettative del terzo acquirente,  come evincesi dalla salvezza degli effetti della vendita forzata posta dall’art. 187-bis disp. att. c.p.c., che s’esprime tanto nell’affidamento qualificato dell’acquirente alla legittimità del processo esecutivo civile (ove questo non sia stato riformato o annullato), quanto nell’obbligo di diligenza del perito, segnatamente se non ricorrano errori manifesti e se, a sua volta, l’interessato abbia adoperato invero la diligenza e la cautela prima di partecipare all’asta, con verifica di tutti i documenti allegati”. [2]

 

Nella richiamata pronuncia, i giudici di Palazzo Spada hanno statuito che  “la vendita giudiziale è nella specie attuazione d’un giudicato, che questo non è revocabile in dubbio da atti amministrativi inerenti ad un tempo anteriore alla res judicata, che tale assetto è modificabile solo per imperiose e gravi esigenze d’interesse generale (e, certo, non per perseguire illeciti urbanistici quando pare al Comune) e che la regola generale sull’imprescrittibilità delle sanzioni edilizie trova il suo legittimo contemperamento nei casi in cui l’Autorità giudiziaria abbia accertato, con la forza formale del giudizio, una realtà giuridica diversa da quella altrimenti indicata dal Comune”, da cui deriva l’onere di una motivazione rafforzata che giustifichi l’ordinanza di demolizione, in assenza della quale la stessa deve ritenersi illegittima.

 

 

[1] Consiglio di Stato sez. VI, 02/02/2023, n. 1148.

[2] Consiglio di Stato sez. VI, 23/06/2022, n. 5185.