SETTEMBRE 2023 – Immobili abusivi in successione

Immobili abusivi in successione.

 

La nullità ex art. 46 del D.P.R. n. 380/2001 è relativa ai soli atti tra vivi, restando esclusi gli acquisti di beni immobili abusivi mortis causa , per i quali il legislatore  non ha voluto condizionare la validità della dichiarazione del testatore alla regolarità urbanistica dei beni che devono subire un trasferimento, con la conseguenza che “in tema di reati edilizi, l’immobile realizzato in assenza del permesso di costruire, rispetto al quale è emesso l’ordine di demolizione, facendo parte del patrimonio di colui che lo ha edificato, entra a far parte del suo asse ereditario e, salva la rinuncia all’eredità, si trasmette “mortis causa” agli eredi, nei confronti dei quali l’ordine conserva efficacia” (Cassazione penale sez. III, 21/02/2023, n. 16141).

 

Sicché, nel caso di successione nella proprietà del bene avvenuta dopo l’ordinanza di demolizione, la stessa conserva la sua efficacia nei confronti dei coeredi, con la precisazione che, per ciò che concerne l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune, questa opera nei confronti del proprietario non autore dell’abuso solo ove egli abbia acquistato la disponibilità del bene e non si sia attivato per dare esecuzione all’ingiunzione di demolizione; pertanto, “l’omessa notificazione dell’ordine di demolizione agli eredi impedisce la successiva acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusivamente realizzate” (Consiglio Giustizia Amministrativa Regione Sicilia, Ad. Plen. 10/1/2023 n. 70), per la cui applicazione occorre la sussistenza di un elemento soggettivo almeno di carattere colposo del soggetto proprietario che subisce la sanzione.

 

Posto che l’immobile abusivo entra nella comunione ereditaria, è interessante richiamare la pronuncia n. 25021/2019, con cui le S.U. della Corte di Cassazione hanno statuito una serie di principi di diritto in materia di scioglimento della comunione ereditaria, sconfessando l’orientamento secondo cui lo scioglimento della stessa avrebbe natura di negozio mortis causa e, come tale, sarebbe stato sottratto alla disciplina prevista dalla legge n. 47/1985 – e dal D.P.R. n. 380/2001 – espressamente indirizzati a sanzionare gli atti inter vivos. [1]

 

Le Sezioni Unite ritengono, infatti, che sia da escludere che la divisione della comunione ereditaria costituisca un negozio a causa di morte in quanto quest’ultima produce i suoi effetti indipendentemente dalla morte del de cuius, che costituisce un evento del passato, i cui effetti giuridici si esauriscono con l’insorgere della comunione o con l’eventuale divisione disposta dal testatore ex art. 734 c.c. [2]  Sulla scorta di ciò, la Suprema Corte afferma che “gli atti di scioglimento della comunione ereditaria sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità prevista dall’art. 46, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 (già art. 17 della legge n. 47 del 1985) e dall’art. 40, comma 2, della l. n. 47 del 1985, per gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici o a loro parti, ove da essi non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria”.

 

La regolarità edilizia del fabbricato in comunione, come costituisce presupposto giuridico della divisione convenzionale, costituisce parimenti presupposto giuridico della divisione giudiziale risultando, altrimenti, agevole per i condividenti l’elusione della norma imperativa in questione mediante la pronuncia del giudice. In tal senso, dunque, la Corte ha espresso ulteriormente un principio di diritto, a mente del quale: “Quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dall’art. 46 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dall’art. 40, comma 2, della L. 28 febbraio 1985, n. 47, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell’azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della “possibilità giuridica”, e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale, da ciò derivando che la mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell’edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio”.

 

Ciò posto, l’impossibilità di sciogliere comunioni ereditarie che contemplino immobili abusivi non esclude la possibilità di uno scioglimento parziale della comunione avente ad oggetto unicamente i beni non abusivi della massa ereditaria, in modo da non pregiudicare gli eredi e la libera circolazione dei beni non abusivi, con la conseguenza che “allorquando tra i beni costituenti l’asse ereditario vi siano edifici abusivi, ogni coerede ha diritto, ai sensi all’art. 713 c.c., comma 1, di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della comunione ereditaria per l’intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione degli edifici abusivi, anche ove non vi sia il consenso degli altri condividenti”.

 

Risolte le suddette questioni di ordine generale, la Corte affronta la questione riguardante l’applicabilità delle nullità disposte dalle leggi su menzionate alla divisione ereditaria di un immobile abusivo che si renda necessaria all’interno di una procedura esecutiva immobiliare o di una procedura concorsuale per fare cessare lo stato di comunione relativamente al fabbricato medesimo e liquidare la quota spettante al debitore statuendo che “in forza delle disposizioni eccettuative di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 5 e al L. n. 47 del 1985, art. 40, commi 5 e 6, lo scioglimento della comunione (ordinaria o ereditaria) relativa ad un edificio abusivo che si renda necessaria nell’ambito dell’espropriazione di beni indivisi (divisione c.d. “endoesecutiva” o nell’ambito del fallimento (ora, liquidazione giudiziale) e delle altre procedure concorsuali (divisione c.d. “endoconcorsuale”) è sottratta alla comminatoria di nullità prevista, per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi, dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46, comma 1, e dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2”.

 

La sottrazione della divisione endoesecutiva e quella endoconcorsuale dalla comminatoria di nullità è giustificata dal fatto che non avrebbe senso una comminatoria di nullità estesa agli atti traslativi attuati in seno a procedure esecutive individuali o concorsuali, poiché essa, anziché svolgere la sua tipica funzione di sanzione nei confronti del proprietario dell’edificio abusivo finirebbe, al contrario, per avvantaggiare quest’ultimo, in pregiudizio ai creditori.

 

In conclusione alla presente disamina, si evidenzia come la pronuncia in commento si ponga nel medesimo solco tracciato dalle S.U. della Corte di Cassazione nella pronuncia n. 8230/2019 sulla vendita di immobile abusivo per quanto concerne la circoscrizione del perimetro applicativo delle sanzioni civili disposte dall’ordinamento per arginare l’abusivismo edilizio: entrambe le sentenze si rivolgono espressamente agli atti di trasferimento di immobili in cui manchi l’indicazione del titolo urbanistico, indipendentemente dalla conformità o difformità della conformazione del manufatto a quanto dichiarato nel titolo medesimo, con l’intento di agevolare la libera circolazione dei beni, epurando la vicenda negoziale dal profilo propriamente amministrativo della regolarità urbanistica dell’immobile.

 

Sul punto, è stato sottolineato come una delle conseguenze della pronuncia in menzione sembra consistere nel dar luogo ad una marcata convenienza, per chi abbia nel proprio patrimonio edifici “abusivi”, a provvedere alla ripartizione/attribuzione di essi direttamente per mezzo di un’adeguata disposizione testamentaria, come può essere la “divisione” disposta dal testatore di cui all’art. 734 c.c. , oltre che, ovviamente, la disposizione che trasmetta il cespite a titolo particolare, vale a dire il legato, così da prevenirne la caduta in una comunione ereditaria il cui scioglimento potrebbe essere assai complesso.[3]

 

 

[1] Tale affermazione si fondava sul dato offerto dall’art. 757 c.c. che assegna efficacia retroattiva alle attribuzioni scaturenti dall’atto divisionale, che trarrebbe così la propria origine dalla morte del de cuius. Tuttavia, le Sezioni Unite hanno escluso che potesse argomentarsi il carattere mortis causa sulla base di tale norma in quanto l’efficacia retroattiva sancita dallo stesso si accompagna necessariamente ad atti con effetti costitutivo-traslativi che modificano la realtà giuridica, non potendo retroagire gli effetti di un atto che si limiti a dichiarare o ad accertare una situazione giuridica preesistente.

[2] Come osservato nella pronuncia de qua, “la comunione ereditaria è, perciò, indipendente dalla volontà dei chiamati alla eredità (non è una comunione “volontaria”, mancando un atto negoziale diretto a costituirla) e va annoverata tra le comunioni “incidentali” (“communio incidens”), in quanto sorge per il verificarsi del mero “fatto giuridico” della pluralità di acquisti della medesima eredità; tale fatto è indipendente ed esterno rispetto al negozio di accettazione, diretto com’è – quest’ultimo – solo a perfezionare l’acquisto della eredità (per la qualificazione della comunione ereditaria come comunione incidentale, cfr. Cass., Sez. 2, n. 355 del 10/01/2011Cass., Sez. 2, n. 1085 del 30/01/1995). Con l’apertura della successione e con l’accettazione, gli eredi subentrano in universum ius defuncti in modo indistinto e promiscuo, divenendo (con)titolari dell’intero patrimonio del de cuius e di tutte le attività che lo compongono”.

[3] https://www.cfnews.it/diritto/sulla-divisione-ereditaria-di-un-edificio-abusivo/.