L’importanza della dichiarazione del titolo edilizio nell’atto traslativo della proprietà alla luce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
La tematica della nullità del contratto per violazione delle norme in materia urbanistica ed edilizia è stata oggetto di un dibattito ultradecennale che ha visto la dottrina e la giurisprudenza contrapporsi sulla questione della natura formale o sostanziale della nullità di cui agli esaminati artt. 17 e 40 della legge n. 47/1985 e dell’art. 46 del D.P.R. n. 380/2001, con differenti risvolti sulla validità o meno del contratto di compravendita di immobili non conformi al titolo esistente.
Invero, un primo orientamento ravvisa nelle norme citate un’ipotesi di nullità formale riconducibile all’art. 1418, comma 3 c.c.[1], nel cui ambito si riscontrano due differenti correnti di pensiero: secondo una prima versione, la sola menzione edilizia è sufficiente per assicurare il contratto all’area della validità, indipendentemente dal contenuto veritiero o mendace della stessa, mentre, la maggioranza degli aderenti alla tesi formalistica accoglie una versione mitigata, in forza della quale il presupposto logico, prima ancora che giuridico, per l’esternazione della dichiarazione del disponente è costituito dalla presenza di un (valido) titolo edilizio, con la conseguenza che un’eventuale dichiarazione avente ad oggetto un provvedimento inesistente è da equiparare alla totale assenza di dichiarazione.
Secondo un differente orientamento la nullità in oggetto, di natura sostanziale, andrebbe ricondotta nell’ambito delle nullità cd. “virtuali” ai sensi dell’art. 1418, comma 1 c.c.[2]: da ciò si è fatta conseguire la nullità, pur in presenza di regolare menzione degli estremi del titolo abilitativo in atto, ove la costruzione risulti da esso difforme, oltre nel caso in cui gli estremi del titolo abilitativo edilizio siano falsamente indicati in atto.
Accanto a questi due filoni principali, che hanno campeggiato in giurisprudenza, si è posto un terzo indirizzo dottrinale secondo cui l’art. 46 del D.P.R. n. 380/2001 (ma le stesse considerazioni valgono per gli artt. 40 e 41 della l. 47/1985) comminerebbe indiscutibilmente una nullità solo formale, ma, accanto ad essa, nel caso di mancanza del titolo abilitativo edilizio o di totale difformità, si configurerebbe anche una nullità ex art. 1418, comma 2[3], in riferimento all’art. 1346 c.c., in quanto l’atto di trasferimento conterrebbe un oggetto illecito (cioè un trasferimento illecito) per contrarietà alle norme imperative che impongono come condizione di negoziabilità dell’opera la sussistenza del titolo abilitativo richiesto, ovvero un oggetto giuridicamente impossibile, in quanto relativo ad una cosa incommerciabile perché urbanisticamente irregolare.
La composizione di tale contrasto giurisprudenziale da parte delle S.U. della Corte di Cassazione con la pronuncia n. 8230/2019 prende le mosse dalla confutazione delle ragioni poste a fondamento della tesi sostanzialistica, per poi giungere, in conclusione, all’affermazione della natura formale della nullità de qua ai sensi dell’art. 1418, comma 3 c.c., seppur con un correttivo consistente nella sua declinazione a “testuale”.
I giudici di Piazza Cavour hanno escluso che la nullità in esame possa farsi rientrare in una delle due tipologie per prima elencate (commi 1 e 2 dell’art. 1418), e in particolare che essa sia comminata per la violazione di una norma imperativa, o per illiceità dell’oggetto o della causa: induce ad escluderlo innanzitutto la circostanza che le stesse disposizioni esaminate contemplano la possibilità di stipulare alcuni negozi giuridici ai quali dette prescrizioni non trovano applicazione (atti di ultima volontà; atti costitutivi di diritti reali di garanzia o di servitù); e che, d’altra parte, l’ambito di applicazione della disciplina non si estende ai negozi ad effetti obbligatori (come il contratto preliminare, o la locazione).[4] In altri termini, non esiste una norma imperativa che vieti la circolazione degli immobili abusivi, altrimenti pure i negozi summenzionati dovrebbero essere nulli in mancanza di indicazione in essi degli estremi del titolo abilitativo edilizio e, per la stessa ragione, non può ipotizzarsi una illiceità dell’oggetto, o della causa negoziale.
Sulla scorta di tali considerazioni, la decisione appena richiamata ha enunciato il principio di diritto secondo cui “La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40 va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, sicché deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile proprio a quell’immobile” (Corte di Cassazione, Sez. Un., 22/03/2019, n. 8230).
Una tale affermazione aggiunge dunque un quid pluris all’impostazione formalistica in senso stretto imponendo l’esistenza di un titolo esistente e non caducato, che formi oggetto della menzione specifica del dichiarante che deve esprimere la verità: pertanto, prosegue la Corte, “In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante circa gli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile oggetto dell’atto traslativo, il contratto è valido, a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”. [5]
I principi espressi dalle S.U. della Corte di Cassazione hanno determinato la necessità di individuare sul piano operativo il contenuto delle menzioni obbligatorie utili a garantire la validità degli atti traslativi e di scioglimento della comunione aventi ad oggetto immobili: nel dettaglio, nell’ipotesi di prima edificazione andranno indicati l’inizio della costruzione anteriormente al 01/09/1967; gli estremi o i dati essenziali identificativi di licenza edilizia, di permesso di costruire; gli estremi o i dati essenziali identificativi della super-D.I.A. in relazione ad opere realizzate a far tempo dall’11/12/2016; gli estremi o i dati essenziali identificativi della super-S.C.I.A. in relazione ad opere realizzate a far tempo dall’11/12/2016 ai sensi dell’art. 23, comma 1 del D.P.R. n. 380/2001 al quale rinvia oggi l’art. 46, comma 5-bis del D.P.R. n. 380/2001; gli estremi o i dati essenziali del titolo abilitativo in sanatoria, emesso in forma provvedimentale (concessione edilizia o permesso di costruire in sanatoria ) o in forma procedimentale (S.C.I.A. o D.I.A. in sanatoria) soltanto in caso di costruzione realizzata in assenza di provvedimento autorizzatorio ovvero in totale difformità dallo stesso titolo; gli estremi della domanda di condono con le ulteriori accessorie richieste dalla legislazione tempo per tempo vigente.[6]
[1] L’art. 1419 – rubricato “Cause di nullità del contratto” – al comma 3 dispone che “il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge [458, 778, 785, 788, 794, 1350, 1354, 1355, 1472, 1895, 1904, 1963, 1972, 2103, 2115, 2265, 2744]”
[2] L’art. 1419 – rubricato “Cause di nullità del contratto” – al comma 1 dispone che “Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente”.
[3] L’art. 1419 – rubricato “Cause di nullità del contratto” – al comma 2 dispone che “Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’articolo 1325, l’illiceità della causa [1343], l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’articolo 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’articolo 1346”.
[4] cfr. paragrafo 8 e 9.
[5] Corte di Cassazione, Sez. Un., 22/03/2019, n. 8230.
[6] Trapani, “La circolazione dei fabbricati dopo la sentenza n. 8230/2019 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione”, in Riv. Not., 2019, pp. 978-980.